Itinerari per un giorno di festa
Nella Casa della vita
Boom di visitatori nei soliti noti, e poco interesse per quelli “minori” ma non meno carichi di meraviglie. Per questo con una serie di conferenze e una mostra si rilancia a Roma il Museo Praz, dimora dell’illustre anglista al 3° piano di Palazzo Primoli
A inizio gennaio il ministro Dario Franceschini ha trionfalisticamente annunciato che nel 2016 sono stati 44,5 milioni gli ingressi nei luoghi della cultura italiani, con un incremento di 1,2 milioni in più rispetto al 2015. Il boom viene trainato da Colosseo-Palatino-Foro Romano, Pompei, Firenze. I soliti noti, insomma. Invece ci sono dati negativi per il “museo diffuso”, spesso suggestivo, ricco di meraviglie, epperò snobbato dai turisti frettolosi e dai cittadini pigri. Prendiamo uno dei dati che più ci dispiace: i 2007 ingressi in meno al Museo Praz di Roma. Davvero un’ingiustizia perché la dimora dell’anglista (titolare di cattedra alla Sapienza di Roma) e critico d’arte e letteratura è una rarità da premiare con grandi numeri di visitatori. Oltretutto è al terzo piano di un palazzo in faccia al Tevere che fu dell’eclettico conte Giuseppe Primoli, nobiluomo imparentato con i Bonaparte e magister elegantiarum del primo Novecento nonché fotografo versatile nei reportage di città e ambienti mondani. Egli dispose che alla propria morte (avvenuta nel 1927) l’edificio ad angolo tra il lungotevere e via Zanardelli divenisse la sede della Fondazione Primoli, che vanta una biblioteca di 50 mila volumi, mentre il piano terra diventasse, con i suoi quadri, mobili, arredi, abiti, documenti, un Museo Napoleonico amministrato dal Comune.
Insomma, varcare la soglia di Palazzo Primoli vuol dire tuffarsi nella Roma francesizzante e poi dannunziana (il Vate era tra i più assidui ospiti del salotto di Primoli, insieme con Verga, la Serao, Eleonora Duse e, provenienti d’oltralpe, Maupassant, Bourget, Dumas figlio, Sarah Bernhardt). Una Roma crepuscolare, “bizantina”, estetizzante, votata alla ricerca spasmodica del raro, del prezioso, dell’antico. Sia Gegè Primoli, come lo chiamava confidenzialmente D’Annunzio, che Mario Praz furono accaniti collezionisti. Il che spiega anche perché l’anglista fu chiamato, nel 1958, a dirigere la Fondazione Primoli. Sicché abitò al terzo piano del palazzo dal 1968 al 1982, l’anno nel quale morì. Anche lui fece un regalo all’istituzione che aveva presieduto: così alle cinquecentine, agli incunaboli, ai testi di letteratura francese, ai libri di viaggio e ai volumi del Fondo Stendhal, molti postillati dallo scrittore stesso, si unirono i 19 mila volumi di Praz, con edizioni rare dal ‘500 all’800 e raccolte di emblemi.
Dunque, se visitare un museo (e qui di musei ce ne sono due, oltre alla affascinante biblioteca) è ora percepito nel senso di “fare un’esperienza”, il che vuol dire anche emozionarsi, a Palazzo Primoli davvero si palpita nel passato, lo si respira, e perciò lo si comprende. Eppure, niet, resta il segno negativo per l’affluenza di visitatori. Ecco allora che Edith Gabrielli, al vertice del Polo Museale del Lazio nato nel marzo 2015, e la direttrice del Museo Praz, Giuseppina Di Monte, calibrano strategie per accendere qui i riflettori. Nelle sale della Biblioteca – che nelle boiseries degli scaffali ospitano nobili volumi ma anche sculture e vedute di Roma sparita – si tiene mensilmente (fino al 4 maggio) un ciclo di letture su Flaubert e i suoi personaggi (il prossimo incontro, il 16 febbraio, ore 17,30 con Luca Pietromarchi della Università Roma Tre) oltre a essere allestita una mostra di opere su carta di Alfonso Fiieri e Nelio Sonego intitolata La Tempesta e l’Isola degli Incantesimi – Omaggio a William Shakespeare (fino al 15 marzo). Alcune opere sono anche in una stanza destinata alle esposizioni della Casa Museo-Praz. Il che consente, al di là delle visite guidate, di entrare nell’universo del grande collezionista.
Il Professore fu un tutt’uno con quell’appartamento che contiene gli oggetti radunati negli anni, durante i viaggi, i soggiorni di lavoro, gli expertise. Al punto che uno dei suoi più coinvolgenti libri (a parte il fondamentale La carne, la morte, il diavolo nella letteratura romantica) si intitola La casa della vita. Fu grazie a questa opera, recentemente ripubblicata da Adelphi, che quando lo Stato acquistò dagli eredi Praz la sua collezione pagandola due miliardi e cento milioni di lire si è potuto allestire nuovamente i dieci ambienti dell’appartamento così com’erano quando lo studioso li abitava. E li “abita”, stando a certe suggestioni riportate da qualche guida che avverte: le coltri del letto ben distese la sera si ritrovano smosse la mattina…Voci, alimentate dall’aura demoniaca che il personaggio emanava, anche in virtù dei temi indagati. E dalla sua nomea di menagramo, alimentata forse dall’invidia dei colleghi e che il Nostro si divertiva a sfruttare, un po’ per sviare gli impegni mondani, un po’ per ridere dei nemici.
E però entriamoci in questa dimora evocativa. Sciorina mobili inglesi, bronzi francesi, malachiti russe, cristalli boemi, porcellane tedesche. E poi dipinti, armi, cere, miniature, statue. Una fantasmagoria di 1200 pezzi acquistati sul mercato antiquario nell’arco di sessant’anni. Ma questa mole di oggetti riesce a mostrarsi con naturalezza, in virtù proprio della disposizione in una residenza privata come poteva apparire a cavallo tra Otto e Novecento. E infatti, niente cartelli didascalici. Né faretti a illuminarla, o cordoni e paletti per difenderla. Essa si offre in raffinati scorci di interni. Ecco nell’ingresso la libreria appartenuta a D’Annunzio. Ecco nella Galleria col soffitto a cassettoni d’oro e bianco neoclassico, una libreria-alcova che incornicia il divano ricamato da Praz e, di fronte, i busti in terracotta della Marchese d’Elci (con l’acconciatura en giraffe) e di Elisa Bonaparte. Lo studio gioca sui colori verde e rosso e una scala lignea, sormontata da teste di drago e strumenti musicali, conduce al soppalco-biblioteca. La camera nella quale il Professore dormiva ha un letto a baldacchino che fu costruito per Giuseppe Bonaparte. Una poltroncina napoletana ha i braccioli sorretti da cigni, una libreria inglese di legno rosa si fa vanto di due telamoni. Alle pareti occhieggiano dal ritratto di Ugo Foscolo di Fabre, lo stesso riprodotto in tutti i testi scolastici, a una Scena di conversazione di Gerard. Il tavolo da pranzo è inglese, la camera di una bimba (ma la figlia di Praz, Lucia, era trentenne quando l’intellettuale si trasferì a Palazzo Primoli) conserva culla e giocattoli d’arte.
Bellezza e memorie s’affacciano ovunque, ordinate con estro curioso e colto. Parlano ai turisti che vogliono ascoltare confidenziali sussurri e non comizi per grandi masse.