Lettera da Chicago
L’orto di Michelle
Chissà se Trump spianerà con le ruspe (anche) l'orto che Michelle Obama aveva impiantato alla Casa Bianca. Comunque sia, la Firts lady uscente rimarrà un simbolo politico forte. Fino alla sua futura candidatura?
Dopo il 20 gennaio cosa ne sarà dell’orto di Michelle Obama alla Casa Bianca? Quel giardino che la First Lady inaugurò il 20 marzo 2009 prese subito un significato diverso da quelli più recenti, di Eleanor Roosevelt e Hillary Clinton. Mentre la prima infatti creò quello che fu chiamato victory garden durante la seconda guerra mondiale allo scopo di promuovere tra i cittadini americani l’uso di coltivazioni personali in un periodo di scarsità alimentare, alla seconda fu negato di fare un orto davanti alla Casa Bianca per motivi formali legati all’alta rappresentatività della residenza presidenziale. Cosicché Hillary fu costretta a crearne uno sul tetto dell’edificio. Ma è stato certamente quello (biologico e locale i cui prodotti vengono in massima parte donati alle cucine per poveri) di Michelle Obama di circa 100 metri quadrati, situato nel South Lawn vicino ai campi da tennis al 1600 di Pennsylvania Avenue e dunque in una parte più decentrata della Casa Bianca, che ha avuto il significato di un manifesto politico. Chissà se il nuovo presidente eletto lo manterrà. O se invece, come ha promesso per ogni altra cosa targata Obama, se ne libererà.
Anche se in questo caso, volendo seguire il suo costume di rottamatore estremo, avrà bisogno delle ruspe per spianare tutto. Infatti Michelle ha fatto installare una pavimentazione di pietra su cui tra l’altro si trova la scritta «GIARDINO DELLA CASA BIANCA creato nel 2009 dalla First Lady Michelle Obama con la speranza di aiutare a far crescere una nazione più sana per i nostri figli».
E che quello di Michelle fosse un intento politico lo si evinse fin dall’inizio, da quando cioè specificò che motivo principale di questa scelta era quello di combattere una delle sue crociate più sentite nei confronti della popolazione afroamericana: quella contro l’obesità. Che colpisce in massima parte la popolazione americana di colore con conseguenze gravissime per la salute soprattutto dei giovanissimi. «Sono onorata di sapere che questo piccolo giardino vivrà come simbolo delle speranze e dei sogni che tutti noi coltiviamo, quelli di far, crescere una nazione più salutare per i nostri figli» disse, commovendosi, la First lady a pochi giorni dalle ultime elezioni presidenziali di fronte ad un’audience di difensori del cibo biologico, di leader dell’industria alimentare e di altri che l’hanno aiutata con la sua campagna Let’s Move contro l’obesità dei giovani soprattutto neri. E ha aggiunto in conclusione: «Mi auguro che le prossime famiglie presidenziali si prendano cura di questo orto come ha fatto la nostra». Indirettamente auspicando una continuità con il passato e ponendo a tutti noi un quesito che è di fondamentale importanza: cosa ne sarà della mole di riforme che Obama ha portato a conclusione? E cosa faranno la First lady e l’ex presidente nel prossimo futuro?
Nel suo discorso finale, il presidente ha parlato di tutto ciò che ha realizzato. A cominciare dal salvataggio dell’economia con particolare riferimento all’industria automobilistica: quella stessa che adesso per bocca di Marchionne si dimentica del piccolo particolare dei milioni di dollari infusi nel settore da Obama e, messa di fronte alle accuse di avere barato sulle norme ambientali, le ignora affermando che tratterà solamente con il nuovo presidente. Che, come sappiamo, non crede all’inquinamento ambientale né tantomeno all’effetto serra, cioè al surriscaldamento del pianeta. E poi della riforma sanitaria (più di venti milioni di americani adesso hanno l’assistenza medica che non hanno mai avuto), di quella sull’immigrazione, della legislazione che ha aumentato il salario minimo fortemente sostenuta e incoraggiata dal presidente, dei passi in avanti sui problemi ambientali, del supporto appassionato alla decisione della Corte Suprema di rendere legali i matrimoni gay, della chiusura di Guantanamo e, in campo internazionale, della riapertura dei rapporti con Cuba e dello stop al riarmo nucleare dell’Iran. Infine della decapitazione di Al Qaida attraverso l’uccisione di Osama bin Laden. Per non parlare dei suoi tentativi di regolamentare l’uso e l’abuso delle armi. Un genocidio che, come ha dimostrato anche Spike Lee nel suo Chi-raq proprio sulle stragi che avvengono a Chicago, va a colpire soprattutto la popolazione nera.
Insomma, Obama è stato un presidente che ha avuto a cuore il bene comune e la cosa pubblica. La sua presidenza si è contraddistinta inoltre per l’assenza di scandali e di macchinazioni occulte. Credo ci vorrà del tempo per capirne e assaporarne tutti gli effetti positivi anche se ce ne vorrà davvero poco per rimpiangerlo. L’unica fortuna che avremo, e lo dico con fierezza da abitante di Chicago, è che tornerà a breve in questa città che l’ha incoronato astro nascente del Partito democratico e dove continuerà insieme alla moglie a fare politica. Nel suo ultimo discorso infatti Obama ha chiesto alla sua audience di impegnarsi nelle comunità locali per migliorarle e fare in modo che crescano le opportunità per tutti, specie per i giovani. Ed è per questo che la Fondazione che il Presidente e la First lady vogliono costruire nel South Side della città a Jackson Park dovrebbe essere un centro di ispirazione per tutti «coloro che amano le sfide» si legge nella brochure che reclamizza la nuova istituzione. Perché, si legge ancora, «lo scopo della candidatura storica del presidente non è mai stato semplicemente quello di vincere: è sempre stato quello di costruire un movimento che riuscisse ad affrontare le sfide che definiscono una generazione. Questo lavoro vivrà nella Fondazione Obama che avrà lo scopo di ispirare i cittadini di tutto il globo a migliorare le proprie comunità, i propri paesi e il mondo».
Ma c’è un’altra realtà che vedrà il presidente Obama profondamente impegnato: quella dell’iniziativa dell’associazione My Brother’s Keeper che il presidente ha sempre detto avrebbe seguito anche dopo la fine dei suoi due mandati. Infatti, tre anni fa, dopo l’uccisione di Trayvon Martin e sull’onda dell’emozione di quella e di altre numerose uccisioni di giovani neri disarmati, Obama che era sempre sfuggito a prese diposizioni troppo di parte in favore della popolazione di colore nel tentativo di promuovere opportunità per tutti, ammise che c’erano troppe uccisioni di giovani neri e ispanici e si disse pronto a fare qualcosa. «L’America deve fare qualcosa di più per questi giovani». Così, alla scadenza dell’ultimo mandato, ha affermato che dopo una vacanza con Michelle, la coppia si sarebbe occupata di questa iniziativa tesa a incoraggiare i giovani neri a proseguire negli studi e a trovare opportunità di lavoro e di vita. Perché questa è una sfida nazionale che deve essere affrontata e risolta. Pena la salute della democrazia americana e mondiale.
Tuttavia adesso in America si presenteranno sfide enormi che metteranno in discussione lo stesso concetto di democrazia. Come dice Fareed Zakaria, noto editorialista del Washington Post e della CNN, ci stiamo avviando verso una democrazia, che come in altri paesi del mondo, sembra avere dimenticato il valore del bene comune in favore di quello personale. Continua a essere democrazia perché votata dai cittadini, ma ha dimenticato quei progressi che sono stati faticosamente conquistati negli anni delle lotte per i diritti civili, per l’ambiente, per una maggiore giustizia sociale. A vantaggio dei molti che non avevano voce. E quindi bisognerà vigilare perché non si passi ad una democrazia “illiberale” come la chiama Zakaria che faccia invece del vantaggio dei pochi un mantra. Specie considerando che sono soprattutto uomini. Infatti come queste ultime elezioni hanno dimostrato si è potuto a fatica tollerare il primo presidente nero, (e il backlash si è già fatto sentire), ma non una donna presidente. Perché questo mette davvero in pericolo il nostro sistema occidentale e quel concetto di democrazia su di esso basato. Che è tutto maschile. Speriamo dunque che l’orto di Michelle abbia un futuro e soprattutto che tra qualche anno la ex First Lady si presenti alle elezioni.