Pasquale Di Palmo
La voce del poeta: Eliza Macadan

L’attimo inevitabile

Per la poetessa romena (che scrive in italiano e francese oltreché nella sua lingua madre) la poesia è qualcosa che per sua stessa natura sfugge alla spiegazione, al dibattito, all’analisi. È quel preciso istante, potente e irreprimibile, in cui il pensiero sceglie quelle e solo quelle parole…

La figura di Eliza Macadan, nata in Romania, è piuttosto anomala nel nostro panorama letterario, in quanto scrive e pubblica in italiano, romeno e francese. Autrice di varie sillogi, tra le quali segnaliamo Il cane borghese (2013) e Anestesia delle nevi (2015), la Macadan ha pubblicato nel 2016 per Joker Passi passati (90 pagine, 14 euro), con un’accurata introduzione di Sandro Montalto il quale osserva: «Come già accaduto in precedenti raccolte la realtà si presenta frammentaria e incerta (“un pezzo di cielo”, “pezzi di donna”, “resti di me cadono sulle scale”)». In effetti tale poetica del frammentismo, dell’incompiutezza (si pensi al caso eccelso del poeta romeno per eccellenza, anche se germanofono: Paul Celan) si configura come una sorta di viatico a quella sofferenza, a quella solitudine che permeano in maniera così radicale i versi della Macadan: «non so più cosa sono / il dolore mi annega / fino alle ossa». Giustamente Montalto rileva come il malessere dell’autrice sia «sempre a un tempo esistenziale e sociale», investendo questa poesia di connotazioni plurime, aperte a una condivisione non passiva della realtà. Non è un caso che in un componimento dedicato alla figura di Marguerite Yourcenar l’autrice osservi: «non avrei mai potuto scrivere / i tuoi libri / senza aver saputo amare come te».

La sua ultima raccolta Passi passati risente di un vissuto che presenta aspetti spesso controversi e dolorosi, risolti in un frammentismo che conosce esiti originali. Quali sono le tematiche di questo libro?
Avrebbe dovuto lasciare la domanda più difficile per la fine di questo dialogo, andare per gradi di difficoltà, soprattutto perché non penso ci sia cosa che mi destabilizzi di più che parlare della mia poesia. La verità è che sento un forte disagio nel commentare la mia scrittura poetica, cosa che non avviene nel caso dei racconti, per esempio. C’è, a mio parere, una zona che sfugge alla spiegazione, al dibattito, all’analisi, e questo spazio è tipico delle arti maggiori: musica e poesia in primis e poi, magari, scultura e altre zone della creazione artistica. Gli addetti ai lavori di queste due arti sono in qualche modo esseri come tutti gli altri, fino a un certo punto della loro attività emotiva ed intellettiva; da quel punto in poi, sono in balia di meccanismi, chiamiamoli così, – oppure forze, energie, impulsi – che sfuggono a qualsiasi spiegazione e tanto meno a una interpretazione. Di me posso dire che, quando scrivo, non penso a tematiche, mai, non ho guardato mai i miei libri come specchi di un tema, sviluppi di idee intorno a un argomento o un altro. È per questo che non credo sia compito del poeta il dovere di sistematizzare, organizzare il suo lavoro dentro a un libro. Ci sono quelli che lo fanno, chapeau, ma io non sono tra quelli. Nei miei libri ci sono le sequenze dei miei giorni, le sequenze del mio vivere quotidiano – e certo il vivere quotidiano è fatto di azione, attività lavorativa, convivenza con il mondo e con i propri cari, è fatto di affetti, pensieri, letture, sogni a occhi aperti, svago, solitudine disperata o entourage inadeguato – più una dose di non so cosa sia e da dove venga: quel preciso istante in cui il pensiero sceglie determinate parole, quelle e solo quelle, ed è così potente da non poter essere in nessun modo represso. È questa, a intuito, la poesia. Non so chi e dove lo diceva, ma i grandi poeti sarebbero esseri banali, a volte miserabili, che hanno avuto la fortuna o la grazia di qualche istante di trascendenza, hanno preso la penna e hanno scritto. Punto.

Lei traduce dall’italiano al rumeno. In base a quali criteri opera la scelta degli autori tradotti?
Di recente ho fatto un vero esercizio acrobatico in materia di traduzione: è appena uscita per una casa editrice di Lecce una raccolta da me tradotta dal francese, un poema scritto da Eric Sarner il cui titolo in italiano è Salto nel sole oscuro. Le traduzioni dall’italiano al romeno sono cominciate quattro anni fa, pensavo di fare un regalo a un amico poeta, ma anche una specie di esercizio di disciplina e terapia per la mia dislessia, poiché tradurre è, come dicono in molti, anche riscrittura nella lingua d’importazione. Io credo che sia prima di tutto comprensione al cento per cento dell’opera, di quel determinato corpo che in qualche modo devi uccidere per farlo risuscitare a una nuova vita. Poi sono andata avanti un po’ per desiderio di condividere con gli altri qualcosa di bello a cui non avrebbero accesso per via della barriera linguistica, poi per rispondere ad alcune dirette richieste di traduzione, poi per inerzia, poi… ora sono stanca. La traduzione è anche un atto di grande generosità – non me ne vogliano i traduttori professionali, io parlo delle mie traduzioni di poesia, dove mai e poi mai si è posto il problema di una forma di pagamento e non si potrebbe mai porre. Ma allo stesso tempo, per uno che, come dicevo nella risposta alla domanda precedente, è soggetto a trasporti creativi, la traduzione è una grossa perdita di energia; noi non parliamo qui di quanto sia un arricchimento leggere gli altri che scrivono poesia, con il giusto discernimento però; noi parliamo di spendere tempo della propria vita per fare tradurre scrittori che molte volte rimangono sconosciuti se non poco o per niente apprezzati. Non scordiamoci che i poeti sono esseri molto egoisti, hanno l’impressione che il mondo giri intorno a loro, ma non è affatto così, i poeti nel più fortunato dei casi sono piccoli profeti e nel più disastroso dei casi sono poveri esseri smarriti in cerca di un po’ di attenzione, quando non scrivono per guarire dei loro mali di vivere. Il discorso è molto ampio…

Lei scrive in italiano, rumeno e francese. Può dirci in base a quali criteri opta per una lingua anziché per un’altra?
Non è un’opzione, può essere un bisogno interiore, la voce viene fuori già impostata, il materiale utilizzato è una questione di ispirazione dell’artista, no? Per materiale intendo, in questo caso, il linguaggio. Immaginiamo per un attimo che siamo dei gioiellieri che lavorano un collier e che lo progettano mentalmente; tante volte l’idea scaturisce da un ricordo, altre volte da un’immagine e così via… cosa fa il poeta? Sceglie quello che ritiene più adatto alla sua proiezione dell’opera finale. Da cosa sia dettata quella scelta già è misterioso e tale dovrebbe rimanere. Io non so se ho un sistema, un metodo, sono troppo pigra anche per avere logica in quello che faccio.

Qual è la differenza tra l’attuale poesia italiana e quella romena?
Non seguo da vicino la scena letteraria in generale e la poesia in particolare. Può sembrare inverosimile, forse è condannabile, ma è così. Con i libri è un po’ come con gli amici o le conoscenze, man mano che si avanza nell’età, si è più esigenti, si fanno delle scelte o così dovrebbe essere. Forse anche perché ci si rende conto che nulla è per sempre, che si deve apprezzare ogni singolo istante di questa esistenza terrena… certo, non si possono permettere questo lusso quelli che per mestiere si occupano di letteratura, di critica in primis. Una sana critica letteraria, che non sia uno strumento di manipolazione a danno dei lettori e a beneficio di alcuni elementi che chiamerei di illusorio potere, farebbe piazza pulita nel campo delle lettere dovunque. Viviamo un’epoca di terribile esibizionismo a tutti i livelli. Tante volte questo virus si intrufola nei luoghi dove meno te l’aspetti. Tutti vogliono a ogni costo stare davanti, mettersi in mostra, e se non hanno qualcosa da dire, fa lo stesso; comunque la triste verità è che tutti ascoltano ma nessuno capisce; la gente prende per verità e bene e bellezza qualsiasi paradigma le venga presentato come tale dall’alto di una tribuna, anche improvvisata. Questa non è tendenza ormai, è un male strutturale, un male che fa danni irreparabili all’animo umano, al nostro vivere spirituale. La poesia in tutte le lingue dovrebbe aiutarci a un risveglio. Un risveglio che ci renda coscienti delle nostre angosce umane ma anche delle meraviglie dell’esistenza. In tempi come il nostro dovrebbe essere un segnale d’allarme.

Può commentare la poesia inedita presentata?
Magari sul divano di uno psicanalista… scherzo… non sono capace, però so il momento in cui l’ho scritta, in piedi mentre aspettavo che mi fosse lavata la macchina, in un quartiere periferico di Bucarest, un sabato assolato di un qualsiasi mese di primavera o autunno, guardando una giovane mamma zingara che molto probabilmente ritornava a casa da un negozio vicino, con i suoi piccoli, uno in braccio, altri due o tre che le correvano intorno… questa è stata la mia riflessione in quel preciso momento. Potrei fare un poemetto partendo da questi 9 versi, ma perché farlo? I cieli che si aprono si dice che siano 9…

***

eliza-macadan

 

mezzogiorno vuoto

il sole gocciola

sulla mia pelle

il futuro

sta arrivando

con bambini in braccio

allaccio le scarpe all’amore

e scendo svogliata

al mare

Eliza Macadan

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