Ritratto d'artista
L’attesa e la necessità
Tino Caspanello: «I miei testi nascono dall’attesa, dal desiderio di dire qualcosa che in quel momento diventa una necessità, una urgenza, nascono a volte da un gesto, da una parola che ne nasconde tante altre»
Nome e cognome: Tino Caspanello.
Professione: Drammaturgo, regista.
Età: 56.
Quando nasce la tua passione per la drammaturgia e quando hai deciso di farne un mestiere? Non ricordo un periodo preciso, ma, se dovessi pensare a un tempo in cui l’interesse cominciava a diventare più forte, allora potrei affermare intorno ai vent’anni, quando, studente di Scenografia a Perugia, leggevo un testo teatrale al giorno, un po’ come mangiare ciliegie.
Il tuo film preferito? Cabaret di Bob Fosse.
Il tuo spettacolo teatrale preferito? Non è facile rispondere, ci sono molti spettacoli che mi sono piaciuti e che hanno lasciato una traccia indelebile, indico quello che parecchi anni fa mi colpì in modo particolare: Persephone di Robert Wilson.
Qual è l’autore da cui hai imparato di più? Non ce n’è uno in particolare, perché da tutto ciò che ho letto e leggo, che ho visto e vedo continuo sempre a imparare qualcosa.
Il libro sul comodino: Orcynus Orca di Stefano D’Arrigo: un pozzo senza fondo o meglio, un mare senza fondale.
La canzone che ti rappresenta: Santa Lucia di Francesco De Gregori, non so se mi rappresenta, però mi piace, mi è sempre piaciuta. Mi torna spesso in mente, soprattutto quando mi preparo per un viaggio o quando qualcuno se ne va. In ogni senso.
Descrivi il tuo giorno perfetto. Non saprei farlo, e chiedo perdono, per la semplice ragione che mi porta a credere che ogni nostro giorno sia perfetto, anche quando dobbiamo fare i conti con i piccoli o grandi incidenti, con il dolore e con tutto ciò che ci può accadere di tragico. Più che di giorno perfetto, potrei parlare di istante perfetto, quando mi accorgo, ma sono istanti, di essere in totale sintonia con le persone, con i luoghi, con ciò che sto vivendo; allora, proprio in quegli istanti, credo che guardare mia moglie che sta lavorando al computer, ascoltare il silenzio della strada davanti casa, accarezzare il gatto che dorme o scrivere finalmente la frase o la parola che mi mancava, credo che tutte queste cose e tante altre siano la misura di quel tempo che raggiunge la perfezione, perché non ha più limiti.
Come nascono i tuoi testi e come coniughi l’atto creativo alle esigenze di pubblico e di mercato? I miei testi nascono dall’attesa, dal desiderio di dire qualcosa che in quel momento diventa una necessità, una urgenza, nascono a volte da un gesto, da una parola che ne nasconde tante altre, dalla riflessione su alcune pieghe della nostra anima; in conclusione, credo che ci sia un fondo oscuro che si illumina nel momento in cui un frammento vi è caduto, allora bisogna dare forma a quello che abbiamo percepito, ai suoni, ai corpi, alle parole. Non ho mai scritto per le esigenze di un pubblico, anche se, ovviamente, si scrive per un pubblico, né per quelle del mercato: se c’è una cosa che non so assolutamente fare è il mercante.
Strategia di conquista: qual è la tua? Non ho strategie, non almeno strutturate al punto da mettere in atto piani precisi per conquistare. Sarà un limite? Forse, ma tutto ciò che pianifica, organizza, sistema, mi ha fatto sempre un po’ paura.
Categorie umane che non ti piacciono? Non amo le categorie, non vedo perché abbiamo la necessità di definire la nostra identità secondo scelte, comportamenti, gusti, mode; c’è però chi continua a catalogare, a etichettare, ecco sono proprio queste persone a non piacermi.
Classifica per sedurre: bellezza, ricchezza, cervello, humour. Humour. Come faremmo senza?
Qual è la tua visione del rapporto scena-parola? Anzitutto la mediazione tra scena/spazio e corpo. Mi pare fondamentale la relazione spazio – corpo – azione – parola, perché la parola, così come ogni altro tentativo o segno di comunicazione, è relazione tra un dentro e un fuori, e poi tra il sé e l’altro, perché penso al teatro, allo spazio del teatro, come al luogo in cui la relazione tra corpi, voci, acquista finalmente una luce che altrove è offuscata, se non spenta.
Meglio le affinità elettive o l’elogio degli opposti? Entrambi. Perché le affinità elettive, soltanto quelle, alla fine rischiano di diventare noiose, mentre l’elogio degli opposti ci fa correre il rischio di un conflitto perenne, allora credo che sia meglio mediare: una sana dialettica, che permetta di confermare ma anche di mettere in crisi.
Hai mai pensato di scrivere anche per la televisione o per il cinema? No.
C‘è qualcosa che rimpiangi di non avere detto a qualcuno? Qualcosa?
Shakespeare, Eduardo o Beckett? Un po’ di tutto. Nelle scritture dei tre autori, come in quelle di tutti gli altri, ci sono alcuni aspetti che mi interessano, mentre altri mi lasciano indifferente.
Qual è il tuo ricordo più caro? Una sera d’estate, ero molto piccolo, forse non sapevo nemmeno parlare, con mia madre, mio padre e mia sorella, seduti su una panchina al buio; non ho parole per quel ricordo, solo suoni, stelle, le voci soffuse della mia famiglia. Una fotografia indelebile.
E il ricordo più terribile? Quando alcuni dei protagonisti della foto sopra descritta se ne sono andati.
Racconta il tuo ultimo spettacolo: Niño, questo il titolo. Il testo era nato a Grenoble, nel 2011, durante la mia permanenza al festival Regards Croisés, organizzato dal Troisième Bureau. Ogni giorno, tutti gli autori presenti sceglievamo un tema che potesse essere rielaborato in una drammaturgia. Dopo qualche anno, il desiderio di tornare su quella scrittura e farla diventare un testo completo. “Niño” è una storia vera, la storia di una donna, emigrata dalla Sicilia in Argentina, che non è più tornata alla sua casa, una storia di sogni, di desideri, di speranze che si infrangono nel momento in cui la protagonista rimane vittima della scelta di altri, ma anche di una mentalità, del pregiudizio e dell’ignoranza. Solo l’alienazione e un velo di poesia appena accennata le offriranno un conforto e una salvezza. In scena soltanto una sedia che è stanza, casa, balcone, nave.
Perché il pubblico dovrebbe venire a vederlo? Anzitutto perché l’interprete, Cinzia Muscolino, è molto brava. Posso dichiararlo? Sono di parte? Ma non è un peccato, certamente. Inoltre, perché cerchiamo di dipingere durante lo spettacolo, quasi come in un acquerello, una terra, una famiglia, una condizione sociale ed economica, ma soprattutto perché crediamo che la partecipazione del pubblico possa finalmente concedere alla protagonista quella felicità che non ha più conosciuto.
Il mondo del teatro è veramente corrotto come si dice? C’è un luogo, un ambiente lavorativo, un sistema, in cui la parola corruzione è assente dalle coscienze, dai comportamenti e dai vocabolari? La questione esiste, non possiamo fare finta che non ci sia, soprattutto lì dove è forte la connessione denaro-politica-potere.
La cosa a cui nella vita non vorresti mai rinunciare. Agli affetti.
Quella cosa di te che nessuno ha mai saputo (fino ad ora). E che nessuno saprà mai…
Piatto preferito. I maccheroni fatti in casa da mia suocera.
C’è parità di trattamento nel teatro tra uomini e donne? Stiamo ancora a discuterne? Non è possibile! Oggi non è più possibile alcuna disparità. Non lo è mai stato, tuttavia…
Quale testo ti sarebbe piaciuto avere scritto. “Sogno di una notte di mezza estate”
Chi vorresti dirigesse una tua drammaturgia? C’è qualcuno che vorrebbe farlo? Bene, si faccia avanti.
Hai il potere di formare la squadra attoriale. Chi convocheresti? I nomi? Ah, beh, troppo complicato! Conosco attrici e attori molto bravi e poco conosciuti. Con questi.
Cosa accadrebbe all’umanità se il teatro scomparisse? Da qualche parte qualcuno lo reinventerebbe; bastano due persone, è un teatro, e anche se fosse una sola, beh, sarebbe anche un teatro. Mi preoccupa invece la diminuzione o addirittura la sparizione del desiderio di esso, perché non è il teatro, non è il sedersi davanti a qualcuno, ascoltare e guardare, ma è l’assenza di partecipazione che mi pare sia molto pericolosa per una comunità che voglia dirsi realmente e profondamente umana.
Gli alieni ti rapiscono e tu puoi esprimere un solo ultimo desiderio. Quale? Rapite anche mia moglie!
La frase più romantica che tu abbia scritto. “Iò sempri ti gghiamu, puru quannu n’o fazzu.” (Io ti chiamo sempre, anche quando non lo faccio) L’Uomo alla Donna in Mari.
La frase più commovente che tu abbia scritto. “È proprio facile sparire, sai. Basta un soffio. Siamo così… così delicati.” La Madre al Figlio in Quasi notte.
Gli attori dimenticano le battute ed improvvisano facendo perdere il senso di ciò che volevi. Condannati o graziati? Capita di dimenticare, di sbagliare e di improvvisare per rimediare al danno, ma fare perdere il senso, questo non dovrebbe capitare! Se accade c’è da chiedersi: sono stato io a non avere chiarito? Oppure la responsabilità è degli attori che non hanno capito? Perché il senso di ciò che hai studiato, imparato e ripetuto in scena non si può perdere all’improvviso.
Cosa vorresti che il pubblico ricordasse di te? Non lo so, non ci ho mai pensato e continuo a non pensarsi, mi sembra una questione troppo narcisistica.
Hai mai litigato con un regista o un attore per una questione di interpretazione del personaggio? Sì, con degli attori, ma non era una lite, non litigo per una questione del genere; la definirei una conversazione animata durante la quale ognuno di noi ha cercato di difendere i propri punti di vista.
Se potessi svegliarti domani con una nuova dote, quale sceglieresti? Bene! Domani mi sveglierò, mi siederò al pianoforte e suonerò perfettamente.
Se potessi scoprire il tuo futuro, cosa vorresti sapere. M’immagino la scena: arriva la persona che finalmente mi dirà del mio futuro e, come l’Oratore de Le sedie di Ionesco, è muta e traccia solo segni incomprensibili.
Che cosa è troppo serio per scherzarci su? Su tante cose non riesco a scherzare: la sopraffazione, la violenza, l’intolleranza, il pregiudizio, la prepotenza…. Che strano! Vedo tanta gente in giro in preda a questi atteggiamenti incivili.
La figura del dramaturg perché in Italia non è riconosciuta? Mi piacerebbe saperlo. Qual è l’impedimento? Un teatro, soprattutto un teatro che percepisce denaro pubblico, dovrebbe avere all’interno un dramaturg. Non so veramente qual è la ragione di questo mancato riconoscimento. Forse bisognerebbe chiederlo ai direttori, ai presidenti, ai consigli di amministrazione, ai ministri.
L’ispirazione: come costruisci storie e personaggi? Storie e personaggi sono strettamente connessi, nascono e si sviluppano insieme, do loro il tempo di sedimentare, di svilupparsi, fino a quando sento che ogni elemento è pronto a staccarsi dal bassorilievo dal quale è appena emerso e diventare vivo sotto ogni aspetto.
Cosa ti piace andare a vedere a teatro? In genere vedo di tutto, quando è possibile.
Parallelamente al tuo percorso artistico, trovi che in questi anni ci sia stata un’evoluzione o un deterioramento del teatro? Le arti sono in continua evoluzione, legata indubbiamente alle contingenze e ai cambiamenti della storia, della cultura, dell’economia. Credo che un’arte si deteriori solo nel momento in cui non è più libera, quando la sua genesi e la sua diffusione sono legati al gusto imposto da terzi, dalle mode, dal consumo facile, dalla politica. Mi pare che oggi molto si stia facendo in un senso e anche nell’altro.
Il rapporto con la parola. La interroghi, la ricerchi, la domini o ti fai dominare? La interrogo, la ricerco, la domino e mi faccio dominare. Non c’è un altro modo. Non ne conosco altri, ma sono aperto a tutte le novità.
Cosa è oggi il teatro di sperimentazione? C’è ancora questa categoria? Dire “teatro di sperimentazione” a me sembra una oziosa ripetizione. Il teatro, le arti sono sperimentali, sono sperimentali per vocazione, essenza, scelte.
La figura del critico ha ancora valore o conta solo il botteghino ed il benvolere del pubblico? La figura del critico serio ha ancora valore. Il benvolere di un pubblico critico anche. Il botteghino non mi interessa.
Un testo teatrale può essere equiparato ad un romanzo? No. Se succede c’è qualcosa che non va, però non dobbiamo perdere di vista la pari dignità letteraria
Cosa pensi di chi passa direttamente dai talent al palcoscenico? In realtà non saprei cosa rispondere, perché non mi è capitato, non ancora, di vedere in scena qualcuno che abbia fatto quel passaggio; però ho notizia della questione ed è singolare che, dopo un programma di durata abbastanza breve, qualcuno dei partecipanti possa avere più spazio di chi invece ha investito nella sua formazione e forse non trova nemmeno la possibilità di esprimere qualità ben più alte.
Il cinema ha influenzato la tua scrittura teatrale? Sì, ma come tante altre cose. La scrittura nasce da suggestioni, da segni che possono arrivare da ogni parte. Nel caso del cinema, l’alta definizione delle immagini ha una grande forza di penetrazione, alcune inquadrature, alcuni tagli sono per me un grande stimolo.
Com’è lo stato di salute della drammaturgia italiana? Dalla quantità di testi di cui ho notizia e che leggo mi pare che lo stato di salute della drammaturgia sia ottimo, e non possiamo certamente stare a discutere della qualità. Il problema invece è da un’altra parte. La maggior parte dei testi vengono ormai scritti all’interno di una compagnia, rimangono suo esclusivo appannaggio, non c’è diffusione né la possibilità di proporre i testi a comitati di lettura, teatri, compagnie.
Ti viene data la possibilità di presentare tre proposte di legge in materia spettacolo. Cosa proponi? L’istituzione presso i teatri pubblici di comitati di lettura. Alleggerire il carico fiscale delle compagnie più piccole e di quelle che gestiscono uno spazio. Eliminare l’etichetta “Compagnia professionale” cioè riconosciuta dal Ministero: se lavori, paghi chi lavora, paghi le tasse e tutto il resto, perché hai pure bisogno di un riconoscimento ministeriale? Avrei anche una quarta proposta, di riserva: distribuire meglio i fondi pubblici; mi pare che si siano delle disparità, dei privilegi, delle mancanze e delle gravi distrazioni.
Hai un sogno nel cassetto che oggi può aprire. Cosa viene fuori? Un teatro gonfiabile da montare dappertutto e rimettere in valigia alla fine dello spettacolo.
I soldi fanno la felicità? Se è solo tua, no.
Descrivi il tuo rapporto con i social network. È limitato a facebook, che uso per pubblicizzare gli appuntamenti della mia compagnia, per scoprire, nella cascata dei post, qualche informazione che può interessarmi, o seguire le attività di amici e colleghi. Non sono molto interattivo.
Una critica che più ti ha ferito. Una sola, ma non mi ha ferito, mi ha fatto invece arrabbiare e non per le parole usate, ma perché chi le ha scritte non ha avuto il buon senso di chiedere, di avvicinarsi, di informarsi, mostrando così tutti i limiti di un approccio che sicuramente è stato superficiale.
Il teatro può riuscire ancora a stimolare la passione civile del pubblico in modo attivo? Fino a quando avremo ancora una passione civile. Fino a quando?
Con i tagli economici alla cultura, secondo te il teatro diventerà un’arte di nicchia, oppure ci sarà una prevalenza di teatro di medio-basso livello o amatoriale? Aspettiamo gli effetti? Nel frattempo c’è chi continuerà a farlo, il teatro, indipendentemente dai tagli e dai contributi. Amatoriali compresi.
C’è un autore teatrale che secondo te viene poco considerato e che invece andrebbe rivalutato e rappresentato? Direi che ci sono dei testi, testi di ogni singolo autore, che andrebbero sicuramente rivalutati e rappresentati, e la lista è molto lunga.
Progetti futuri? Ancora scrittura e un nuovo spettacolo.
Un consiglio a chi voglia intraprendere questo mestiere. Proteggere il proprio lavoro, la sua indipendenza e la sua integrità.
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Foto di Mario Gelardi, Angelo Maggio.