Ella Baffoni
Un dibattito su come mettere a norma il Paese

La terra trama?

In Italia siamo più bravi a gestire l'emergenza che a prevenire i danni dei terremoti. Eppure sarebbe più economico il contrario. Coma ha spiegato il geologo Roberto De Marco.

Se si digita “terremoto” su Google escono 50 milioni di risultati. Le informazioni recenti soprattutto (ad esempio: «Nuove scosse di terremoto in centro Italia, paura all’Aquila, trema anche la Sicilia», venerdì 27 gennaio 2017, 08:29) poi le cronache, le dichiarazioni, i dibattiti, i paragoni con gli altri terremoti… Qualunque cosa succeda nei prossimi mesi, è certo che l’emozione è forte, come la paura; tantissime persone hanno scaricato l’app dell’Ingv sul proprio smartphone. Ecco perché, a volte, è meglio cercare analisi e idee tra gli esperti fuori dal circo mediatico e chiedersi: che bisognerebbe fare, davvero?

Un ottimo luogo di discussione è stato il seminario presso il dipartimento di architettura di RomaTre, all’Argiletum. Fitto di addetti ai lavori, come ha poi dimostrato il dibattito, il seminario è stato introdotto dall’ospite accademico, Giovanni Caudo, che ha ricordato il ruolo centrale dello Stato, sottolineando il fatto che sul famoso fax dell’albergo che chiedeva aiuto ci fossero quattro intestatari; un fatto che la dice lunga sull’imprecisione delle responsabilità, che finirà – facile immaginarlo – in un generale rimpallo.

aquila spaini5Poi la pianificazione, la grande rimossa. Eppure nei comuni di fascia 1, massimo rischio sismico, tra il 1946 e il 2001 sono stati costruiti 550.000 edifici residenziali (10.000 l’anno, 28 al giorno) mentre gli abitanti sono diminuiti di 370.000 persone (dati dell’Università dell’Aquila e Wwf). In zona 2 (ancora forte rischio sismico) le case costruite schizzano a poco meno di un milione (18.000 al giorno), davvero una valanga. Saranno seconde case, certo: ma quante sono costruite a norma? Fatto è che dopo la grande emozione dei terremoti – l’estrazione dei vivi, i funerali dei morti, il rimpallo sterile di responsabilità, le promesse dei politici – si va avanti con i condoni edilizi, con la trascuratezza sulla pianificazione, considerata un lacciolo per le imprese e lo sviluppo. Gli stessi sindaci che oggi gridano, domani chiuderanno un occhio: dovranno pure essere rieletti. Una situazione che si ripete sempre uguale, ha detto nella sua relazione Roberto De Marco, geologo, a lungo direttore del Servizio sismico nazionale. Se nell’emergenza in Italia siamo bravi, persino delle eccellenze, come nella classificazione territoriale, invece la politica di prevenzione ha ottenuto modestissimi risultati. Perché?

No, i terremoti non si possono prevedere. Meglio: non si può prevedere quando. Dove e cosa invece sì, possiamo ragionevolmente prevederlo. Sappiamo già con statistica certezza che in un secolo si verificheranno almeno sei o sette terremoti importanti. Come ci attrezziamo? «Guardate Amatrice e Norcia – ha spiegato De Marco – appena coinvolte da sisma importanti. Il centro storico di Amatrice, classificata ad alto rischio da più di cento anni, non esiste più. Norcia, invece, ha avuto danni ma ha resistito: ha avuto due buone ricostruzioni. Inutile dire, come avviene nei salotti televisivi: sarà rivista la classificazione affinché queste cose non capitino più, la classificazione è stata appena rivista. O ancora: saranno avviate le indagini, dobbiamo individuare le responsabilità. Infine la promessa delle promesse: sarà avviato un programma di messa in sicurezza del territorio». Tutti più rassicurati, nessun effetto pratico.

L'Aquila10Anche perché non si sa da dove cominciare. Intanto: nessuna legge stabilisce che i proprietari danneggiati debbano essere risarciti. Ma poiché la Costituzione ancora recita che l’Italia è uno stato solidale, si fa giustamente leva su questa garanzia. A mettere in fila le magnitudo, i morti, gli sfollati, i costi degli eventi sismici più devastanti si scopre che il costo post sisma è sempre più alto. I relativi mutui gravano sul bilancio dello stato a lungo: il Friuli è appena esaurito, il Belice finirà l’anno prossimo, l’Aquila nel 2033.

Bisogna pensarci subito: il 44% dell’Italia è in zona 2, alto rischio; qui sono più della metà dei centri storici, il 36% della popolazione. Se non all’Aquila, dal 1908 (Messina) a oggi mai un terremoto ha travolto una città capoluogo e il suo hinterland. Che avverrebbe, nel caso? Ci sono vie di fuga, aree di attendamento, luoghi dove organizzare servizi? Gli amministratori ci pensano, davanti alla terra che trema altrove? Neanche nel corso delle procedure di condono si è mai riuscito a fare un inventario dell’abusivismo, a prescrivere adeguamenti costruttivi. E ancora: prefetture, scuole, comuni, caserme, sedi della protezione civile sono edifici di primaria necessità, devono poter funzionare nell’emergenza: invece, come si è visto all’Aquila e a Amatrice, vengono giù facilmente. C’è un enorme gap, secondo De Marco, tra la conoscenza e l’attività concreta di prevenzione: «Il piano nazionale per la riduzione del rischio sismico stanzia 965 milioni in sette anni. Spalmato sui 2893 comuni a rischio fa 330 mila euro, 27 mila l’anno. E invece l’impatto dei futuri terremoti sarà devastante, richiederà risorse enormi». Che fare dunque?

L'Aquila5Intanto dobbiamo sapere che la prevenzione, la messa a norma prima, costa molto meno della ricostruzione dopo. Poi riflettere sulla ricostruzione. Le new town di berlusconiana memoria hanno mostrato tutta la loro pochezza, ma anche lo slogan «ricostruire tutto dove e come prima» va preso in modo letterale? Non bisogna perdere l’identità di quei luoghi, certo, e la bellezza e la ricchezza culturale dei centri storici. Ma nell’identità ci sono anche le persone, che rendono concretamente vivi quei luoghi. C’è da preservare un sistema abitativo, le infrastrutture, il sistema produttivo, il lavoro.

Serve una nuova cultura, dice De Marco. Invece di promettere tutto in un tempo indefinito – l’impossibile sicurezza – sarebbe meglio concentrarsi sui 750 siti dove è più probabile si ripetano eventi sismici, con criteri di intervento definiti, in tempi definiti. Aggregare in macroaree i 2.983 comuni a rischio, strutturando piani territoriali con responsabilizzazione centrale. E poi nessuno impara dalle tragedie. In Emilia a venir giù sono stati soprattutto i capannoni del parmigiano, strutture rigide. Qualcuno si è posto il problema? Ad Amatrice infatti sono venuti giù i capannoni di salsicce e prosciutti, danni enormi.

L'Aquila8Infine la ricostruzione. L’urgenza non è una buona consigliera, le ricostruzioni vanno fatte con tempi ordinari, dice De Marco. Ma non essendoci norme generali, ogni terremoto si ricostruisce con regole sempre diverse. E non viene rispettato il principio di equità: chi ha 50 appartamenti di 200 mq avrà molto di più di una famiglia che vive in 6 in due stanze. E a volte il contributo supera il valore dell’indennizzo, producendo ingiustamente valore. Oggi formalmente – secondo De Marco – lo Stato non fa ricostruzione: assegna i soldi ai privati. Ma chi ne garantisce una gestione virtuosa? Chi controlla? Possiamo permetterci questo modo di gestire le risorse? Soprattutto – ha spiegato ancora De Marco – va superata la separazione tra previsione, prevenzione e gestione dell’emergenza. Studiare i sistemi, verificarne la risposta, proporre interventi e attuarli con un pressante monitoraggio, valutarne passo passo i risultati. Occorre una legge che raccolga criteri e regole e garanzie, condizionati dalla specificità del territorio. Solo così sarebbe possibile diminuire il rischio sismico.

Fitta la discussione, molti i contributi competenti e appassionati alla sfida: cambiare la cultura dell’emergenza, pensare oggi a domani. Il disegno di legge approvato nel 2015 dalla Camera arriverà in questi giorni al Senato dopo anni di coma. Possibile migliorarlo? Possibile cambiare, anche lì, la cultura dell’intervento? Possibile che lo stato – dopo la privatizzazione di questi anni, firmata Berlusconi e Bertolaso – prenda di nuovo il timone della gestione degli eventi sismici? Senza populismi, ma senza rimuovere la probabile tragedia futura. Questo terremoto non sarà l’ultimo, prepariamoci anche al prossimo.

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Nelle foto, cantieri all’Aquila, otto anni dopo il terremoto del 2009.

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