La voce del poeta: Rosita Copioli
La mente assediata
Miti, costruzioni teologiche, pitture: nella sua ultima raccolta la poetessa romagnola mette a fuoco immagini per lei fondanti, legate alla forza dell’immaginazione che sembra vincere la morte nell’arte
Rosita Copioli, poetessa coltissima e raffinata la cui opera riattualizza i miti classici, ha al suo attivo le seguenti raccolte poetiche: Splendida lumina solis (1979), Furore delle rose (1989), Elena (1996), Odissée au miroir de Saint-Nazaire (1996), Il postino fedele (2008), Animali e stelle (2010). Attiva anche sul versante saggistico nonché come curatrice e traduttrice, la Copioli ha licenziato nel 2016 nello “Specchio” mondadoriano la silloge Acque della mente (152 pagine, 18 euro) che si configura come uno dei lavori più intensi di questi ultimi anni, in cui estro e versatilità si coniugano a un dettato “alto” al fine di affrontare le tematiche più svariate. Dalla cronaca efferata che si fa storia a un umanissimo bestiario che non conserva alcunché di araldico, dalle variazioni intorno ad alcuni capolavori artistici, sulla falsariga dell’assunto oraziano ut pictura poesis (Odighitria di Torcello, la Madonna del Parto di Piero, Duccio, Leonardo, Bellini, per arrivare fino a Picasso e Pollock) e letterari (Saffo, Ildegarda di Bingen, Potocki) a un tormentato canzoniere amoroso, la lirica della Copioli ci consegna un’articolata, splendida riflessione sul tempo («Vieni qui, tempo che adoro, vieni / sulla mia spalla, sulle mie guance») che l’ultima sezione del libro rende manifesta, approdando al respiro lungo e cadenzato del poemetto.
Una sezione della sua ultima raccolta, Gli spazi della mente, è ispirata a una serie di opere pittoriche e letterarie che l’hanno particolarmente colpita. Ce ne può parlare?
Riguarda alcune invenzioni della mente che mi sono più care: miti, costruzioni teologiche, pitture, che compaiono diversamente in tutto il mio lavoro. La sezione è segretamente filosofica. Saffo nasconde il discorso anteriore a Platone, Mitra quello delle religioni che si diffondono nell’impero romano con immagini che passano nel nostro umanesimo (presente con Agostino di Duccio, Piero della Francesca, Bellini, Leonardo, Boiardo, Pollaiolo). Ildegarda di Bingen viene dopo Saffo ma è in dialogo anche con la Odighitria di Torcello… Ogni testo è un riferimento alla storia del suo tempo, contiene una chiave simbolica, e forma il gradino di una scala non solo percettiva del mondo, ma dell’interiorità umana. Mi premeva illuminare nella massima nitidezza delle immagini per me fondanti, legate alla forza dell’immaginazione che sembra vincere la morte nell’arte e nel mito (nella poesia), ma vince soltanto quando le immagini sono vere, affiorano alla luce dal buio assoluto.
«Gli animali non sono il paradiso / né so figurarli nell’arabesco / di Marianne Moore». Nella sezione Animalia lei compone un singolarissimo bestiario.
Subito dopo l’Apocalissi della prima sezione, riporto lo sguardo sugli animali perché sono la nostra parte violata, la nostra coscienza rimossa, la nostra stessa natura. Gli animali sono i veri violentati per primi nella biologia del vivente, cui apparteniamo. La violenza nella storia di oggi impone uno sguardo a ritroso sulla violenza primaria. Su principi di violazioni e rimozioni, di contraddizioni profondissime che ci sembrano quasi irresolubili e che comprendono azioni antitetiche per la ragione, ma che sono state praticate insieme fin dalle origini e nell’inconscio: il cacciare e imitare gli animali, il mangiarli, spogliarli, consumarli sfruttandoli fino in fondo; oppure il rispettarli, il lasciare loro la vita; il temerli, l’ammirarli e l’osservarli accanto a noi o lontano da noi. Con Animalia proseguo il piccolo bestiario di animali veri e simbolici iniziato ne Il postino fedele. Chiaramente sullo sfondo c’è sempre il tema dell’Eden. Il paesaggio esteriore e interiore del Paradiso, che mi è sempre stato caro.
Molto presente in tutta la sua opera è l’attenzione per il mito che, pur con le dovute differenze, la accomuna ad autori come Conte o Mussapi.
Fin da quando ero bambina nutrivo un intenso rapporto con il sacro, con le realtà non solo psichiche, ma divine che si manifestano nella natura, negli uomini, nel cosmo, e che ci accolgono. Era la coscienza di abitare da sempre luoghi di elezione che non erano mai scomparsi, nonostante la loro negazione. Come ricordai, non sono gli dèi ad abitare in noi. Siamo noi ad abitare in loro. Poi vedere gli dèi venne da Iliade e Odissea: a dodici anni scrissi una poesia su Atena, questa dea con gli occhi glauchi e «di civetta», trasvolante sul molo del porto vicino a casa, come una vedetta.
Mi ha sempre attratto l’ininterrotta presenza di archetipi e simboli che le religioni hanno conservato insieme con la letteratura e l’arte, facendo tutt’uno con la cultura e la lingua e trasformandosi nelle superfici per accogliere nuovi riflessi nei secoli. Prime, più vicine, la cultura classica greco-latina con quella ebraica (e anche quella celtica), poi quella indiana dei Veda, con cui abbiamo alcune basi comuni, quindi la mistica islamica che presuppone un’origine non dominatrice; ma anche le culture extra-europee che hanno avuto sfortunati contatti con la nostra civiltà – penso a quella degli indiani d’America, o degli aztechi e dei maya, per esempio, che presentavano miti antitetici rispetto all’hybris di conquista e supremazia dell’Occidente.
Intorno a Elena, la bellezza, alla sua prima forma di aurora, come emerge dai miti vedici che vedevo trasparire sull’Adriatico nella figura di Mater Matuta e di Maria stilla maris, che sperimentavo nelle reali immagini femminili anche materne, ho intessuto una trama non conclusa. Per me Elena ha sempre significato, secondo la visione di Saffo, bellezza di rigenerazione ed eros, ma soprattutto androginia, libertà e determinazione di scelta.
Fin da Splendida lumina solis (1979) la mia lingua parlava con il latino di Virgilio, Ovidio, Lucrezio, con le parole di Leopardi. In antitesi a nichilismi, demitizzazioni imperanti, asservimenti ideologici o produttivistici, c’erano l’albero dell’Eden e gli dèi, la preistoria vegetale e il giardino, il silenzio della notte e il dolore della morte, la luce del sole e il desiderio amoroso, le favole dell’uomo e l’illusione, la memoria delle origini che la poesia mantiene, e che è.
Ogni sezione di Le acque della mente è fortemente caratterizzata da un tema. In Limiti, proprietà ad esempio viene descritto, con esiti quanto mai felici («un mostro / che batte con me, per me, contro di me»), il rapporto amoroso.
L’immaginazione viaggia rapidamente nel rapporto amoroso. Passioni e idee interagiscono chiamando alla ribalta dinamiche arcaiche. Ecco timore-spavento, senso del destino, presenza-assenza, proprietà, possesso, fragilità, autoanalisi, le superfici dell’amore e le profondità. L’altalena dei sentimenti. Fatti personali rinviano a coinvolgimenti cosmici, religiosi. Sono un combattimento con Il Tempo.
A cosa sta lavorando attualmente?
A due volumi della collana storica che dirigo, intitolata ad Adolphe Noël des Vergers, e al nuovo libro di poesia. Devo pubblicare però un libro su Fellini, e uno sull’Orlando innamorato di Boiardo, già pronti.
Quali sono i suoi autori di riferimento?
Saffo, i lirici greci e latini, Virgilio, Lucrezio, Boiardo, Leopardi, Goethe, Yeats sono le stelle fisse di alcune costellazioni (con soli e lune più celati quali Omero, Dante e Petrarca): saldano passioni originarie. Ma come non nominare Tasso, Hölderlin, Pascoli?
Come scrive abitualmente?
Sulla spinta della necessità. Quando emozioni e pensieri si saldano in una musica interna. Avrei facilità a scrivere. Ma preferisco farlo quando c’è una urgenza intensamente emotiva che coincide con idea, linguaggio, suono nel primo impeto. Insomma, sotto “dettatura”, come dicevano.
Può commentare la poesia inedita presentata?
Il testo è ispirato a un passo de Il pastore di Erma, un libro cristiano del II secolo, vicino al senso popolare, che considera la tristezza il peggiore, più rovinoso di tutti gli spiriti, perché contrastandolo, scaccia lo Spirito santo; tuttavia, portando l’uomo fino al baratro può fargli comprendere che è la sua rovina, e forse lo salva. L’angelo raccomanda a Erma di rivestirsi di gioia, perché l’uomo gioioso pensa e opera bene. Ma quali sono i confini tra tristizia, accidia e depressione vera, malattia? I confini del potere della mente? Tra bene e male?
***
Il pastore di Erma
L’angelo vestito di pelle bianca, una borsa in mano,
un bastone da viaggio,
si era presentato alla porta,
si era seduto sul divano accanto a lui.
«Allontana da te la tristezza, che è sorella del dubbio e della collera».
Se dividi la mente, la rendi impotente. Ci sono vari tipi di mente.
Quelli che il nostro corpo ospita dipendono sempre dal soffio,
e il più vicino al soffio è l’estremo, oppure anche il primo.
Principio di sopravvivenza, ma anche abnegazione,
sembra fatto di opposti, ed essi si toccano.
Spirito di vita, puoi chiamarlo, anti-diavolo.
Rosita Copioli