La memoria del mito
Le ceneri di Fidel
Per chi abbiamo parteggiato, per Castro o Che Guevara? Per la Ragion di Stato o per la rivoluzione permanente? Nella parabola del dittatore/sognatore c'è quella di una generazione
Domenica 4 dicembre le ceneri di Fidel Castro, l’ex presidente e rivoluzionario cubano morto a 90 anni nella notte tra il 25 e il 26 novembre, sono state seppellite al cimitero Santa Ifigenia di Santiago de Cuba. Le ceneri sono state tumulate domenica, quando a Cuba erano le 7 di mattina e in Italia le 13: la cerimonia ha avuto carattere privato e ha messo fine ai nove giorni di lutto nazionale. Sono state deposte in una grande pietra di granito rotonda, con una semplice scritta “Fidel”, e si trova accanto al mausoleo di José Martí. Dopo la cerimonia molte persone si sono messe in coda per visitarla e lasciare dei fiori.
Con la morte di Fidel siamo morti un po’ tutti, almeno quelli della mia generazione quando le stanze della giovinezza si aprirono alla politica, facendo le occupazioni all’Università, gridando slogan, scrivendo sui muri. Quel gigante apparve all’improvviso, riempiendo gli schermi televisivi e si presentò al mondo parlando un linguaggio impetuoso e festaiolo. Così sapemmo che la barba era il simbolo dei veri rivoluzionari, non la calvizie di Lenin; che i sigari non erano il vizio dei grandi politici come Winston Churchill o dei grandi seduttori di donne come Davidoff o Porfirio Rubirosa ma anche dei semplici contadini della Sierra; che il rum non serviva per bagnare il babà ma si poteva bere liscio, con il ghiaccio tritato o con la Coca Cola; che i ritmi caraibici non cantavano solo motivi di Xavier Cugat ed Ebbe Lane ma potevano cantare di tutto, anche temi politici; infine che Cuba non era la patria di Hemingway, l’autore di Il vecchio e il mare, ma di un gruppo di giovinotti che volevano cambiare se stessi, l’isola e poi il mondo.
Avevamo appena consumato l’allegria di questa scoperta – ridendo a crepapelle della parodia che Totò e Nino Taranto nel film Totòtruffa 62 travestiti da Fidel e signora – quando capimmo con la crisi dei missili del 62, che il “terzo mondo” oramai era pieno di primavere insepolte. Fiorirono lotte di liberazione in Africa, in Vietnam, in Oriente perciò scoprimmo il mondo attraverso la fantasia e l’immaginazione, mentre oggi i giovani scoprono il pianeta attraverso i viaggi, la tecnologia e le merci, ma a differenza di noi che avevamo alle spalle il Partito Comunista, una scuola ancora strutturata, una Chiesa che sapeva parlare al mondo e famiglie ancora tradizionali, oggi essi camminano incerti, navigando nel vuoto della rete, remando alla ricerca di approdi che nessuno sa consigliare.
Se per i nostri padri di sinistra – oramai defunti in tutti i sensi – il “paese delle meraviglie” fu la Russia, la piccola isola di Cuba lo fu per noi stagionati sessantenni, mentre oggi l’Inghilterra e la Germania sono per i nostri figli i “paesi dei balocchi”, perché lì puoi guadagnare uno stipendio, avere un piccolo posto nel mondo.
Per chi ho parteggiato io, per Castro o Che Guevara? Per la Ragion di Stato o per la rivoluzione permanente? Per Sancho, il lento e solido contadino che porta il somaro alla cavezza o per il cavaliere idealista pronto a tutte le avventure, Don Chisciotte? Il viso di Che Guevara è divenuto icona della rivolta, quello di Fidel sarà sempre annebbiato dai meandri della Ragion di Stato. Da giovane facevo il tifo per Guevara, ora – da grande – per Fidel, anche se i Capi di Stato non entusiasmano mai nessuno, con il loro pragmatismo inesauribile e le loro ambiguità evidenti. Quello che mi ha sempre stupito di Fidel, anche quando negli anni Settanta l’isola divenne impenetrabile, è stato il coraggio fisico e la fantasia politica. Sopravvissuto a 600 attentati, fu lui, nell’invasione della Baia dei Porci a prendere a cannonate da un carro armato la nave che trasportava i mercenari, affondandola, e fu lui a trasformare in iniziativa politica la storia dell’Avana. Durante i quattro secoli di dominio spagnolo a Cuba arrivarono galeoni da tutto il mondo, durante gli anni della rivoluzione partirono cubani per ogni parte del mondo: in America, in Africa, perfino in Oriente. Cosmopolita è la storia di Cuba e tale è stata la politica della rivoluzione.
Strane sinergie confezionarono i cubani nel mondo. Dovunque andassero, sempre lasciavano qualche cosa. In Somalia, ad esempio dove ho vissuto negli anni Ottanta, un bidello dell’Università di chiamava Cubo, perché era stato a Cuba e dietro la Casa d’Italia funzionava una piccola distilleria di rum, impiantata dai cubani prima delle guerra dell’Ogaden. Rum africano, in un paese musulmano, dove per avere il ghiaccio si aspettava la petroliera che dall’Arabia Saudita portasse il petrolio regalato a Siad Barre dagli Stati Arabi. Strane sinergie innescò anche la repubblica dei Paesi Socialisti Sovietici. Dopo trent’anni di presenza a Cuba, dopo tre decenni di un matrimonio senza amore fra l’isola dei Caraibi e l’enorme paese euro-asiatico, cosa è restato dell’ ex patria di Lenin nell’isola della zucchero? Molto poco, mi disse uno scrittore cubano, molto poco. L’abitudine di bere il the alle cinque del pomeriggio, abitudine che prima non avevamo.
C’è una foto che ritrae insieme Che Guevara, Fidel Casto, Hemingway? C’è una fantasia che riunisce Don Chisciotte, Sancho Panza e Cervantes su un’isola dei Caraibi che fumano, bevono rum e guardano le mulatte che ballano? Forse questa foto non c’è mai stata ma questo trio indiavolato faceva battere il cuore negli anni Sessanta, quando il mondo era in bianco e nero e la plastica non aveva invaso il mondo. Oggi non si parla più dei rapporti fra la politica e la letteratura. E le fotografie non sono più l’eternità di un instante, ma le sillabe di un lento, narcisistico discorso sulla nostra vita. Oggi la politica, la letteratura e i suoi autori seguono strade diverse, ognuno per proprio conto, come quelle autostrade a tre corsie dove viaggiano macchine a velocità diverse o più spesso con destinazioni diverse.
Le ceneri di Fidel e la mummia di Lenin, di Mao o di Padre Pio. Come è diversa l’idea di eternità e di venerazione! Oggi, al tempo della Rete, le parole vivono nell’aria, sono sempre presenti, e i corpi non sono ombre della vita, ma sogni della materia più raffinata. Oggi i corpi degli uomini possono essere visti come sogni della Rete e la materia non esiste più come peso, ma in quanto ha la capacità di diventare universale e istantanea, sempre pronta all’uso ed al consumo. Perciò se la mummia ricorda il pesante realismo socialista, le ceneri oggi sono il punto d’incontro fra il corpo e la Rete. Resta però da capire cosa significhi il pesante sarcofago di pietra nel quale sono state versate. Che fu una roccia Fidel? La pietra di Davide scagliata contro il gigante Golia? L’ancora di pietra che ha dato stabilità all’isola? O forse la pietra ricorda l’eternità del tempo, più della terra o dell’albero, nel quale ora le sue ceneri vivranno?
Le ceneri e il granito e queste parole soffiate nei ricordi!