Periscopio (globale)
Il lunedì di Fondane
Finalmente l'Italia riscopre Benjamin Fondane, il filosofo rumeno naturalizzato in Francia che a inizio novecento contestò «la domenica della Storia» di marca hegeliana lanciando il «lunedì essenziale» in cui l’individuo riprende in mano il proprio destino
Sembra finalmente risvegliare un certo interesse anche in Italia la parabola esistenziale e l’opera visionaria di un autore fin qui noto solo a pochi specialisti: L’editore Nino Aragno ha da poco pubblicato La coscienza infelice, un testo di filosofia che ha compiuto ottant’anni ma non li dimostra affatto. L’autore è Benjamin Fondane, filosofo, critico e poeta rumeno che per molti anni, fino a poco prima della morte, ha vissuto a Parigi e vi è entrato in contatto con le più importanti correnti di pensiero della prima metà del secolo scorso, riuscendo a dar vita a un’opera originalissima. La coscienza infelice, in particolare, è considerato un testo chiave dell’esistenzialismo, in cui, rifacendosi agli insegnamenti di Lev Šestov, Fondane fonda una propria solitaria filosofia della rivolta, incentrata sull’alleanza fra dati biologici, psicologia e metafisica, che eserciterà una grande influenza su scrittori e pensatori quali Camus, Bataille e Cioran.
Per i tipi dell’editore Mimesis, sono usciti quasi contemporaneamente altri due titoli, Benjamin Fondane: una voce singolare, a cura di Alice Gonzi e Monique Jutrin, che riprende gli atti del convegno su Fondane svoltosi ad Arezzo nel maggio 2014, e Lo Zibaldone di Ulisse. Con Benjamin Fondane al di là della storia (1924-1944) della stessa Jutrin. Entrambe le opere consentono di avvicinarci alla figura di Fondane, di cui sono messe in luce tanto la formazione in Romania quanto la produzione poetica e filosofica negli anni del suo lungo soggiorno parigino.
Nato a Iaşi nel 1898, Fondane o Fundoianu, altro nome con cui diverrà noto (ma all’anagrafe è Benjamin Wechsler e per tutta la vita userà decine di pseudonimi), s’interessa fin da subito di letteratura e già all’età di quattordici anni si lancia in traduzioni di autori tedeschi e francesi quali Chénier, Régnier, Heine e Eichendorff. Al termine della prima guerra mondiale si trasferisce a Bucarest, dove farà parte di club e gruppi letterari, entrando in contatto con i massimi intellettuali rumeni del suo tempo. Scrive un’enorme quantità di articoli e saggi, fra i quali il primo mai dedicato in Romania a Marcel Proust. Nel 1922 è fra i fondatori del gruppo teatrale Insula, che dovrà sospendere le attività un anno più tardi, a causa del rafforzarsi dei sentimenti antisemiti. Nella Romania degli anni Venti le cose stanno cambiando velocemente e per lui è davvero venuto il momento di cambiare aria. Francesizza allora il cognome in Fondane e si trasferisce a Parigi, dove, nonostante l’intensa attività pubblicistica e qualche sparuto finanziamento ricevuto dal Ministero della cultura rumeno, vivrà in condizioni di costante ed estrema miseria.
Per un certo periodo vicino ai surrealisti, se ne allontana nel momento in cui Breton aderisce al credo comunista. Agli occhi di Fondane, pur molto critico nei confronti della cultura borghese, qualunque coinvolgimento dell’intellettuale con una parte politica o in generale con le strutture sociali risulta sospetto. La poesia è un supporto della riflessione filosofica, vive del radicamento dell’individuo poetante nella realtà; ma al tempo stesso l’espressione poetica ha un legame con l’irrazionale e il soprannaturale che deve esserle riconosciuto e consentito, pena il suo isterilimento. Non a caso Fondane privilegia nei suoi studi figure come Dante, Shakespeare, Kafka e Baudelaire, che nella loro ricerca dell’espressività non hanno timore di spingersi verso gli estremi e verso un’intensa contaminazione con la vita.
In costante contatto con il gruppo che orbitava intorno a Jacques Rivière e alla Nouvelle Revue Française, ecumenico anche nelle sue amicizie, da Jacques Maritain a Antonin Artaud a Victoria Ocampo, che lo invita a collaborare con la rivista Sur e che durante la seconda guerra mondiale tenterà inutilmente di ottenere per lui un salvacondotto, negli anni Trenta Fondane riesce a pubblicare i suoi principali testi filosofici e letterari, compresi alcuni importanti saggi su Heidegger, Baudelaire e Rimbaud. Quest’ultimo, in particolare, sarà molto apprezzato da menti assai diverse tra loro quali quelle di Cocteau, Croce, Céline e Unamuno, e può essere letto anche in italiano nell’edizione pubblicata nel 2014 da Castelvecchi con il titolo Rimbaud la canaglia. Nel 2013 è uscito da Aragno anche Baudelaire e l’esperienza dell’abisso, in cui Fondane si oppone all’interpretazione baudelairiana di Paul Valéry, che ne avrebbe dato una lettura fuorviante perché classicheggiante e tesa a smorzarne le incongruenze e l’apertura (o meglio gli squarci) sugli abissi dell’animo.
Già a metà degli anni Dieci Fondane aveva interpretato la Grande guerra come una rottura insanabile in seno alla civiltà europea, e più tardi il fascismo come la conseguenza di questa rottura, il cui insorgere era stato facilitato dall’eccessivo ottimismo di un umanismo imbelle. Con il passare degli anni il suo pensiero si fa sempre più reattivo e lucido, fino a una sostanziale condanna anche dell’esistenzialismo di Jaspers e Sartre, che avrebbero contribuito essi pure all’avvento di quella che Fondane chiama, citando un passo dal diario di Kafka, la “domenica della Storia”, ossia il momento in cui il singolo individuo è sacrificato sull’altare del rullo compressore hegeliano, e a cui va invece contrapposto il “lunedì esistenziale”, il giorno della riscossa dell’individuo che riprende in mano il proprio destino. Fondane l’aveva del resto già prefigurato in un poemetto del 1933, Ulysse: per lui non ci si può rassegnare, insomma, a essere travolti dalla storia. Parole quasi profetiche, visto anche l’epilogo quasi derisorio della sua stessa, piccola esistenza.
Fondane, dicevo, riesce a coronare il suo sogno di vivere a Parigi fino a poco prima della morte, anche se costretto nell’ultimo periodo a una sorta di semi-clandestinità. Viene arrestato infatti una prima volta dai tedeschi nel 1940 e condotto in un campo di lavoro da cui riesce a fuggire. Ricatturato poco più tardi, viene riportato a Parigi in seguito a un attacco d’appendicite, operato, considerato inadatto a qualsiasi lavoro pesante e infine rilasciato. Il 7 marzo 1944, tuttavia, sarà denunciato e nuovamente arrestato in quanto ebreo, passerà per il campo di raccolta e smistamento di Drancy e il 30 maggio finirà con la sorella Lina, che si rifiuta di abbandonare alla sua sorte, su uno dei convogli diretti ad Auschwitz, dove resisterà qualche mese, ma morrà infine nelle camere a gas tra il 2 e il 3 ottobre. Non lo salverà né il fatto di aver sposato un’ariana, né il disperato tentativo d’intervento di amici quali Emil Cioran e Jean Paulhan. (Sul rapporto breve ma intenso fra Cioran e Fondane segnalo en passant di Cioran, pubblicato da Mimesis nel 2014, Al di là della filosofia. Conversazioni su Benjamin Fondane, a cura di Antonio de Gennaro, nonché gli Esercizi di ammirazione, che sono usciti invece per i tipi di Adelphi nel lontano 1988.) Fondane si ritroverà insomma, come scrive in una delle sue ultime poesie, fra coloro che sono “accusati di un delitto che non avete compiuto, / di un assassinio di cui manca ancora il cadavere”.
Autore di una poesia che è per lui, come ricorda Monique Jutrin, un atto secreto dall’uomo alla stessa stregua del sudore e delle lacrime, Fondane ci lascia un’opera forte, intensa, visionaria, mai banale o approssimativa, mai compromessa con le sirene del potere e di un decorso storico che sembra a volte inevitabile e perfino benedetto dalla ragione, ma al quale occorre sempre opporsi con lucidità. Un’opera in grado di gettare le basi per una spietata riflessione su un “abisso” che non è solo baudelairiano, ma che rappresenta semmai ciò che si apre costantemente davanti ai nostri piedi e che spesso non sappiamo (o vogliamo) riconoscere. In una poesia-autoritratto poi cancellata e ritrovata fra le sue carte scrive: “Guardati, Fondane Benjamin – / in uno specchio. Le palpebre pesanti. / Un uomo fra gli altri. Morto di fame.”