Un libro per Natale
I furbetti di Roma
Già 130 anni fa, con il romanzo “I misteri di Montecitorio", Ettore Socci aveva colto il grumo di favoritismi, privilegi e corruzione che, a Roma come altrove in Italia, oggi è sotto agli occhi di tutti. Una lettura da consigliare assolutamente, anche a Natale
Ogni giorno in Italia vengono pubblicati centocinquanta nuovi titoli, cifra che, moltiplicata per i giorni di un singolo anno, dà come risultato, migliaio più migliaio meno, sessantamila. Questo si verifica implacabilmente anno dopo anno, senza che si riesca a capire bene chi scriva questa mole sterminata di parole (né perché, a dir la verità), chi siano le genti che la pubblicano, dove vadano a finire i volumi dopo essere passati per le librerie. Se ci sono passati, peraltro: perché il dato veramente incredibile è che la metà di questi sessantamila nuovi titoli non vende neanche una copia. Di quelli che hanno una qualche forma di vita ‒ cioè che qualcuno, in un modo o nell’altro, fa perlomeno circolare ‒ poi, si può in buona misura dir male: e spesso, senza sbagliare, anche a priori. La qualità media, insomma, non è certo esaltante, e capita allora così talvolta di sentirsi grati a chi, facendo un faticoso lavoro di archeologia letteraria, riporta all’attenzione opere del passato la cui memoria e il cui valore rischiavano di andar perduti per sempre nel mare magnum delle proposte più recenti.
Studio Garamond, marchio delle Edizioni della Sera, per esempio, ha da qualche tempo varato una collana dal nome suggestivo di “Supernova”, che recupera romanzi italiani scritti e pubblicati tra Otto e Novecento che, «come vere e proprie supernova, sono stati stelle nel firmamento letterario, esplose nel giro di qualche anno e poi scomparse per sempre dall’universo narrativo» nazionale. Tre uscite sinora ‒
I misteri di Montecitorio di Ettore Socci, Casta Diva di Gerolamo Rovetta e Mors tua di Matilde Serao –, una quarta appena arrivata in libreria, Dopo il divorzio di Grazia Deledda, e la speranza, anche di noi lettori, che la traiettoria della collana sia destinata a non esaurirsi.
Delle tre riproposizioni iniziali, la più interessante è quella di Socci e del suo romanzo parlamentare, tra i primi, se non il primo in assoluto, nel suo genere. Il giovane avvocato di provincia Alfredo Guidi, mentre è carcerato per aver appoggiato uno sciopero di minatori, viene candidato e poi eletto a sua insaputa, quasi per acclamazione popolare, al Parlamento: si trova così proiettato in una situazione nuova ed eccitante, che infonde linfa ai suoi ideali di ex-garibaldino, ma deve anche ben presto fare i conti con tutte le insidie del caso. Le quali prendono le sembianze del mefistofelico Civetti, gran trafficone che nei corridoi del Potere sembra esserci nato e non arrivato in età adulta e che cerca subito di deviarlo, e soprattutto della fatale Angelina, cortigiana che lo seduce al punto da fargli dimenticare la fidanzata lasciata al paese e più ancora il motivo per cui è giunto a Roma, cioè rappresentare i cittadini italiani. L’unico ombrello contro la pioggia di malaffare e corruttela che inizia a cascare su Alfredo è Salvatore, anch’egli ex-garibaldino, talmente pio e idealista nella sua opera di parlamentare da rasentare la santità: paradossalmente sarà proprio questo suo modo di essere, alla fine, a portare a Guidi, preso sotto l’ala protettrice, più danni che altro.
Al di là del valore storico e del suo risultare una lettura ancora oggi godibilissima, I misteri di Montecitorio fa riflettere per quello che dice sul nostro presente pur risalendo a 130 anni fa (apparve per la prima volta tra il 1886 e il 1887 sul giornale fondato da Socci, “La Democrazia”, e fu poi raccolto in volume nel decennio successivo). E quello che dice, lo dice al di là di ogni previsione e probabilmente al di là delle intenzioni del suo stesso autore, che per questo ritratto d’ambiente aveva a disposizione poco (ma già sufficiente, in verità) materiale a cui attingere, e non poteva certo prevedere che nel Paese molte cose sarebbero mutate, anche profondamente, ma sarebbero sostanzialmente rimaste uguali. Questo scambio tra Guidi e Salvatore si commenta del resto da solo: il giovane: «Ma dunque in Italia?», «Si vive di favoritismi», gli risponde il collega più esperto; «E la legge?», «È fatta per i minchioni. Come lo fu sempre». Appunto.
E ancora: nel candido avvocato Guidi, dal petto gonfio d’entusiasmo per la missione di cui è stato investito, sempre pronto a rifiutare a parole mezzucci e compromessi salvo poi cedere quando il tornaconto personale gli appare più lusinghiero di quello collettivo, chi volesse potrebbe perfino intravedere un antesignano di quanti oggi in Parlamento e amministrazioni varie, sventolando un’estrazione lontana dalla formazione politica classica, si presentano come puri e intoccabili rispetto a certe deprecabili dinamiche incistate nel sistema. Non fosse che quelle dinamiche, almeno per il momento, sanno ancora trovare le crepe in cui infiltrarsi, e a qualcuno, prima di proclamare ai quattro venti di aver fatto la Storia, converrebbe averla fatta. È il Potere, che logora chi non ce l’ha, forse, ma che impiega poco a incrinare chi cerca di domarlo senza aver pensato, prima, di dover imparare a conoscerlo.