L'elzeviro secco
Contro Babbo Natale
Perché non possiamo dire che il Natale è cosa diversa dalla frenesia di consumi indotta dal vecchietto "regalatore compulsivo" ciccione e con barba bianca? Può esistere un dono povero? Sì, il dono di sé
L’altro giorno sono stato in un grande centro commerciale pugliese. Non ho comprato niente, perché la nevrosi dell’acquistare ha prodotto in me l’effetto contrario. Ero psichicamente impedito ad ogni spesa. Questi enormi colossi dall’architettura incerta assomigliano a nuove cattedrali, nelle quali i fedeli si riversano per espletare la religione dell’oggetto, sull’altare del consumo. Officia la cerimonia Babbo Natale, il medium del prodotto per eccellenza, colui che trae la sua origine da Santa Claus, che a sua volta deriva da San Nicola, che è, per l’appunto, patrono di Bari. San Nicola, secondo la leggenda, al Concilio di Nicea, colto da santo ardore in difesa dell’ortodossia del pensiero cristiano, prese a schiaffi Ario. È quella che si chiama la “tempra slava”. La cosa singolare è che un mio amico – non è uno scherzo – si chiama Ario e, in periodo natalizio, ripete spesso, canzonando: «Evviva, evviva, Natale Babbo arriva». Lungi dall’essere punito, prosegue nelle vie e nei locali di Urbino questa sua trionfale melodia.
Sono stato a Siviglia pochi giorni fa, ma di Babbi Natale, in verità, nemmeno l’ombra. Non c’erano alberi, né addobbi, né renne, né “Oh-oh”. Molti presepi, invece. È probabile che una comunità locale di aderenti all’Arianesimo abbia vietato la presenza del loro fiero oppositore, o semplicemente gli spagnoli, e in particolar modo gli andalusi, hanno maggiore senso dell’identità di noi. La domanda è questa: perché San Nicola, soprattutto nell’immaginario dei pugliesi, deve fare uno strano viaggio che lo collega a Saturno e a Odino, alla mitologia classica e a quella nordica, passando per il folclore islandese dei tredici folletti, per arrivare a Dickens, allo Spirito del Natale di A Cristmas Carol, tratto a sua volta dal Sinterklaas olandese, medium in mitra (il copricapo liturgico, per carità) e giubba verde, che la Coca-Cola o chi per lei trasformerà in rossa? Perché ciò che abbiamo a casa ci deve essere riproposto in maniera diversa, con significato diverso? Non è questa una forma di assoggettamento molto sottile? È come se, al posto dell’olio nostrano, ci imponessero di usare olio americano – fatto con le nostre olive, ma con procedimento diverso – da servire in tavola.
Babbo Natale no, ma San Nicola saprebbe certamente riportare la festività al centro della questione: il saper vivere nella povertà e nella spoliazione, non nell’opulenza e nella ricchezza. Anzi, la nullità di ogni ricchezza e opulenza. Il saper accogliere la speranza come la beatitudine dei poveri in spirito. Al di là di ogni credo e di ogni fede, l’arrivo di Gesù Bambino nell’effettiva povertà (una grotta, una stalla, una mangiatoia) – e dunque il senso reale della festività natalizia – possiede un’accezione precisa e richiama alla mente la nostra dignità di esseri umani capaci di diventare donatori di noi stessi, e non smerciatori di oggetti privi di contenuto, comprati e poi gettati. L’oggetto è un feticcio, un emblema idolatrico. Può esistere un dono povero? Sì, il dono di sé. Anzi, con Derrida, possiamo dire che il dono, essendo impossibile, è sempre povero, e altro non può essere che il dono di sé. Ed è il dono più poetico. Perché a Natale, allora, al posto di donare, non ci doniamo?
Ricordo un altro particolare, questa volta della mia infanzia: una suora mi disse «Babbo Natale non esiste». Avevo sei anni. Ma non cambiò nulla, nessuna tara psichica da allora. Non perché fossi particolarmente sveglio, anzi tutto il contrario: ero talmente addentro al pensiero dominante di Babbo Natale che continuai a crederci valorosamente, come se non avessi mai sentito il monito sororale, o perlomeno a convivere con tale evenienza: che non esistesse, che potesse non esistere. (Questa dialettica suore-americanismo deve finire.) È un po’ come la donna della propria vita: la mescolanza di esistenza e non esistenza, la battaglia parmenidea dell’essere e del non essere, molto più arcana, molto più al cuore dell’essenza e della memoria, non muta il pensiero dominante per il quale, al di là di ogni possibilità, ella esista e sia da qualche parte, come nelle epifanie dei poeti. Spero non in Lapponia.
In effetti, un Babbo Natale assente sarebbe un dato culturale più singolare e gravido di conseguenze. Ecco perché ho ammirato Siviglia, la rotta interminabile dei presepi, la percezione di un Natale povero. Così come sarebbe meraviglioso, nella piena verità delle cose, all’interno del nostro animo oggettivante, per una volta un Cristo libero, un Gesù Bambino davvero presente.