Paola Benadusi Marzocca
Un libro per Natale

Alla ricerca di Elfhelm

C’era una volta «un bambino che del mondo conosceva ben poco a parte il sapore della zuppa di funghi…». Non è destinato solo ai più piccoli il romanzo di Matt Haig sulla storia di Babbo Natale in perfetto equilibrio fra tradizione, fantasy e fantasia

Romanzo suggestivo, emotivamente coinvolgente, Un bambino chiamato Natale di Matt Haig (Salani, 271 pagine, 14,90 euro), è ritenuto già un classico perché racconta la più antica delle storie del mondo raggiungendo un perfetto equilibrio tra l’insolito e il meraviglioso. Anche il folklore ha qui la sua parte essendo strettamente legato alla leggenda di Babbo Natale, sempre diversa, sempre uguale, forse perché l’immaginazione umana tende a modificare la realtà circostante per renderla più accettabile. Il protagonista non poteva che chiamarsi Nikolas e vivere in un’epoca in cui ancora nessuno sapeva dell’esistenza di Babbo Natale e in paese che non poteva che essere in mezzo alla Finlandia, «un bambino che del mondo conosceva ben poco a parte il sapore della zuppa di funghi, la sensazione del vento freddo del nord e le storie che ascoltava. E che per giocare aveva solo una bambola fatta con una rapa».

cop-bambino-nataleBabbo Natale o Santa Claus, Papà Noel o San Nicola, lo slittino e le renne, tutto sta nel fermare il tempo e rendere possibile ciò che è impossibile dinanzi alla logica e alla ragione. Ma all’alba dei tempi quando nacque questo mito indistruttibile dell’esistenza dell’amore puro, amato dai bambini e da coloro che credono nelle “cose impossibili”, anche cercare Elfhelm, il villaggio degli elfi nell’Estremo Nord, era un’impresa fattibile come cercare mondi sconosciuti. E così tutto ebbe inizio lì in una casetta di legno dove Nikolas abitava con il padre Joel, un povero taglialegna rimasto vedovo troppo presto, che portava sempre in testa un cappello rosso. In una bella serata d’estate arrivò alla casupola un “omone” dai piedi così grandi da fare spavento: era stato mandato da Re Frederick per fare una spedizione alla ricerca di Elfhelm. Ci sarebbe stata per ognuno del gruppo dei partecipanti una grossa ricompensa. Dodicimila rubli, per l’epoca una cifra da capogiro. Joel accettò e fece venire l’anziana sorella, l’orribile zia Carlotta, che odiava i bambini, anzi li trovava “rivoltanti”, a occuparsi di Nikolas. Subito il bambino avvertì che qualcosa di molto brutto sarebbe successo e gli vennero le lacrime agli occhi, ma si fece forza e come Pollicino dell’antica fiaba cercò dentro di sé il coraggio per resistere. C’era pur sempre Miika vicino a lui a consolarlo, il topolino che conosceva il linguaggio degli umani e che non l’avrebbe mai abbandonato.

Per qualche strana ragione il destino aveva deciso di mostrare a Nikolas il suo volto più spaventoso. È certo infatti che dopo quella limpida sera estiva la vita del bambino non fu più la stessa e assunse inizialmente le sembianze funeste della grigia, rigida e crudele zia Carlotta. Tutto cambiò e quando giunse l’inverno anche Nikolas era profondamente cambiato, ma ancora dentro di sé, in un angolo così remoto che neppure lui l’ avvertiva, era ancora vivo il suo desiderio di sostituire la cattiveria con la bontà. Fu con questa esile e nascosta speranza che decise senza esitazione di fuggire con il suo amico topolino verso l’ignoto. Subito ebbe la fortuna di incontrare una renna e pensò tra sé che sarebbe riuscito a raggiungere suo padre e ad aggiustare tutto. A questo punto la realtà cominciò a mescolarsi con la magia, le avventure a susseguirsi una dopo l’altra e sempre per il capriccio del destino che non si pone certo il problema di essere giusto o ingiusto, Nikolas incrociò nel suo cammino elfi, troll e fate dispettose, finché suo malgrado si realizzò qualcosa che la mente umana in genere non arriva a cogliere. Fu proprio allora che alcuni videro le renne che volavano trainando la slitta del misterioso uomo con il cappuccio rosso. Se l’avevano visto con i loro occhi non poteva che essere vero!

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