A Plus Arte Puls di Roma
Il nuovo Adamo
Sotto il segno visionario di Ennio Calabria, venticinque artisti di generazioni e stili diversi si esprimono sull'essere al mondo nel tempo del “tecno-tempo”: è la mostra «Adamo e la nuvola»
Il colpo d’occhio è sorprendente, complice anche la visione a volo d’uccello che offre la galleria capitolina Plus Arte Puls di viale Mazzini. La sequenza di opere – dipinti, disegni, sculture, fotografie – che si offre allo sguardo come una pellicola esistenziale ti fa subito capire che non ti trovi di fronte alla solita collettiva d’arte, ma a un solo corpo in continua trasformazione che si muove nella stessa direzione e che trova la sua unità nell’urgenza del pensare e del fare, dell’interrogarsi e dell’interrogare. E’ un unico processo creativo per assonanze e dissonanze la mostra “Adamo e la nuvola”, curata da Ida Mitrano e Rita Pedonesi, che vede interagire venticinque artisti di generazioni e stili diversi chiamati ad esprimersi sull’essere al mondo nel tempo del tecno-tempo, scavando nella coscienza oltre la superficie dell’apparire. E, sicuramente, il simbolo di questo progetto, promosso dall’associazione “In tempo”, è la grande tela di Ennio Calabria “Fusione celibe” (nella foto sotto), pennellante vibranti come un flusso di emozioni, un parto dello spirito che, nella dissolvenza cromatica, genera una figura che prende vita nella consapevolezza del “sum ergo cogito”. “Viviamo – spiega il pittore della forma della percezione – un assoluto presente in cui il passato si dissolve allontanandosi e il futuro, non prevedibile, viene assunto dal presente come un’incognita che relativizza le nostre certezze a nostra insaputa. Tutto ormai coesiste, e l’inedita sfida di Adamo per il domani è re-identificare un nuovo rapporto di causa ed effetto che consenta di catturare e testimoniare il senso di sé nel rapporto con il mondo, in questo sconvolgente coesistere degli opposti che ha distrutto i parametri della vecchia coscienza”.
È stato Calabria il motore di questa operazione che, al di là dei parametri estetici, ha un forte senso etico ed il carattere di denuncia. Lo sottolinea Gabriele Simongini nel libro che è parte integrante dell’esposizione e che sarà presentato, in occasione del finissage, il 26 novembre sempre a Plus Art Plus. “Questo è l’oggi senza passato – scrive il critico – è l’era di Snapchat, milioni di immagini visualizzate per non più di dieci secondi che poi spariscono e non sono più recuperabili, consumate nel giro di pochi attimi nell’illusione appagante dei mittenti di esistere e farsi vedere. Una folle rapidità che porta al nulla, la storia, la coscienza storica viene azzerata e vengono alla mente certe intuizioni lungimiranti di George Orwell nel suo 1984 riferite ad un’immaginaria dittatura che ha organizzato una scientifica cancellazione del passato e poi una sua riscrittura per i propri fini di dominio”. E, con estrema amarezza, vede realizzato questo delirio di onnipotenza nel nuovo allestimento della Gnam presentato con la mostra Time is Out of Joint, in cui è stata “cancellata qualsiasi impostazione didattica, storica e cronologica, mescolando liberamente opere di epoche e linguaggi diversi, sulla base di affinità o contrasti affidati al gusto della direttrice e dei suoi collaboratori”. Insomma “nel più importante museo statale d’arte moderna e contemporanea la storia e la storia dell’arte non hanno più ragione d’essere, sostituite dalla tirannia del vetrinismo e dell’intrattenimento”.
Che fare, allora? Qual è la via d’uscita? Ecco, quindi, la sfida racchiusa nella metafora di “Adamo e la Nuvola”, col gioco ambiguo della nuvola reale e del “cloud” virtuale, quel disegnetto buffo sullo schermo del computer che inscatola la memoria. Fare di un problema un progetto, avverte Simonetta Gagliano, pittrice mistica che ha presentato l’intenso Adamo nascente dal caos, proiettato in avanti, un’opera di luce, quella della conoscenza di sé, l’iniziazione e l’energia del ricominciare. D’altra parte, suggerisce, “problema è una parola greca dove pro significa avanti e blema lanciato; i latini la traducono in pro iectum, ovvero progetto”. C’è sintonia, anche per la liquidità onirica di segni e colori, tra il suo quadro e l’astrazione lirica dell’”Adamo dentro la nuvola” di Danilo Maestosi (nella foto accanto al titolo), la nuvola che lo imprigiona e la nuvola che lo fa volare, il senso di spaesamento e la voglia di recuperare l’altrove perduto in paradisi artificiali. E’ impaurito l’ultimo Adamo, figlio dei tanti Adami che lo hanno preceduto, recluso com’è in una gabbia oscura sotto un cielo plumbeo. Dove sono i suoi ricordi? Scappano via come un gregge di pecore spaventate. Maestosi racconta la sua opera usando il medium della favola: Adamo scruta il cielo, di nuvole ne vede tante, ma nessuna che assomigli ai suoi racconti, ne riconosce due, si riconosce in due, l’uomo che sfrega legnetti da cui, all’improvviso spunta il fuoco e l’uomo che dalle braci strappa un carbone e si mette a disegnare sulla roccia. La nebbia e le tenebre si accendono di uno sfavillio rosso, è la speranza di salvezza e la salvezza è la conoscenza e il fuoco che la alimenta è l’arte. La tavola dialoga con l’altra, l’olio che Franco Mulas ha battezzato “Calendario”, strati sedimentati che – osserva la Mitrano – “restituiscono gli umori della vita nello scorrere del tempo e nel tentativo di conservare memoria di sé”. La memoria che è un relitto di ferro, piombo e catrame per Antonio Bernardo Fraddosio, un volatile imbalsamato in una teca gabbia reliquiario per Nunzio Bibbò, maschere enigmatiche emerse da antiche rovine nelle sculture a confronto di Alessandro Kokocinski (nella foto sotto) ed Ernesto Lamagna. Proviamo ad intrecciarne i titoli e a farne il sottotitolo della mostra “Sospeso sull’abisso Sognando l’uomo”.
È sospeso sull’abisso Pino Reggiani con la sua notte abitata da ombre, sogna, invece, l’uomo Giuseppe Modica nelle sue “Geometrie di un cielo di notte” con quella pallida luna, eterna pellegrina, da canto leopardiano. “Sorgi la sera, e vai, contemplando i deserti…”: nel silenzio del “Deserto” di Mario Moretti c’è il miraggio di una dimensione agognata e perduta, l’abbaglio di un tempo oggi negato dall’automatismo tecnologico che tutto omologa. Un enorme lunapark della vita, ironizza Nino Pollini, mentre Alfio Mongelli scherza inventando un codice cybernetico di cifre e lettere per l’accesso al catalogo virtuale degli Adami mutanti. Mettere al centro l’uomo, Adamo che è anche Eva, l’arte e la bellezza: è il manifesto di “In Tempo”, firmato dalla presidente Rita Pedonesi. Tra gli artisti che hanno partecipato c’è la cugina Alessandra, fotografa. Se Alessandra Giovannoni nel suo olio recupera nell’ombra proiettata sul muro, in uno spazio glaciale, la primordialità dimenticata dall’uomo, lei quell’uomo nuovo lo materializza ingigantito urlando l’”Io sono” per affermare la sua presenza. L’uomo rigenerato dal soffio divino dell’arte, dal grande mistero del ciclo della vita nascere-morire-nascere. Il principio, la fine, la rinascita. L’icona è l’uovo dorato dal bronzo di Tito, frate e artista alla soglia dei novant’anni: materia ed energia, forma e spazio, il big bang della creazione.