Dopo l'elezione di Trump
L’eredità di Obama
Gli Usa hanno scelto il loro nuovo presidente. Quello che esce di scena è stato uno dei più significativi della storia. Non solo perché nero. Vediamo qual è la sua legacy. E che cosa rischia, adesso
Chicago di questi tempi è sulla cresta dell’onda e gode di una popolarità mai vista. È la città dei primati. Sta infatti celebrando la vittoria della squadra di baseball dei Cubs che dopo 108 anni hanno vinto il campionato mondiale. Le strade del centro sono piene di gente e c’è una parata con centinaia di migliaia di persone che sfilano in onore di questo nuovo record. Un vero spettacolo. Ma Chicago è anche la città che ha dato i natali alla prima donna che nella storia americana sta correndo per le presidenziali americane: Hillary Clinton. Ed è quella in cui politicamente si è formato il primo presidente nero degli Stati Uniti: Barack Obama che tra alcuni mesi lascerà la Casa Bianca dopo due mandati.
Non tutti sono d’accordo su quella che sarà la sua legacy, la sua eredità. Ed egli stesso ama ripetere parlando di questo tema che saranno gli storici a giudicare in futuro. È davvero infatti troppo presto per potere dare un quadro completo della sua presidenza che solo gli anni a venire potranno far emergere appieno. Adesso è all’apice dell’indice di gradimento con una percentuale che supera il 50%: il più alto, almeno per ora, dopo quello di Eisenhower. Ma è tuttavia certo che l’elezione di un repubblicano e tantomeno di uno imprevedibile e divisivo come Trump, porterà a uno smantellamento di tutto ciò che Obama ha fatto o cercato di implementare. Ed è per questo che il presidente ha passato quest’ultimo periodo facendo campagna elettorale a favore di Hillary Clinton. Sapeva bene che la sua elezione avrebbe rappresententato una continuità naturale per portare a termine o migliorare riforme da lui iniziate, ma bloccate in tutti i modi da un Congresso in mano repubblicana ostile a qualunque sua iniziativa. Quello che è stato definito the gridlock, il blocco totale di qualsiasi attività legislativa venisse proposta dal presidente, ha rappresentato un ostacolo non indifferente all’agenda di Obama. E dunque l’elezione di Hillary Clinton avrebbe costituisce una forma di protezione e di salvaguardia della sua legacy. Ora che Trump ha guadagnato la Casa Bianca, ancora più significativo diventa analizzare l’eredità di Omaba. Anche per capire, nei prossimi mesi, quanta parte di essa sarà buttata a mare.
“Yes we can” era il suo slogan in favore del cambiamento nel 2008. “Hope and Change” erano le parole più diffuse nei suoi primi discorsi. Allora Obama era pronto a cercare di superare gli attriti tra i partiti e a fare leggi bipartisan. Cosa che simbolicamente rappresenta un ramoscello di ulivo non solo nei confronti del partito repubblicano ma è anche un messaggio di pace tra i diversi gruppi etnici. Ebbene questa intenzione non si è realizzata a causa dell’ostruzionismo parlamentare. E dunque la trasformazione non è avvenuta nei termini annunciati. Una cosa è certa però: la considerazione delle cosiddette minoranze etniche è cambiata. Come sono cambiati i modi in cui gli individui di quelle comunità considerano se stessi dopo anni di discriminazione. E come vedono il loro paese. Anche se l’elezione del primo presidente nero ha portato a galla umori diffusi e sotterranei di un razzismo mai sopito e non ha determinato grossi cambiamenti nello status economico della maggior parte degli afroamericani, sta di fatto che la sua legacy è un simbolo per la minoranza nera.
La sua elezione d’altra parte ha risvegliato molte delle ansie dei gruppi dominanti. Figlio di un immigrato keniota diventa presidente quando l’America affronta l’impatto più profondo e controverso dell’immigrazione e del commercio estero. Inoltre è figlio di un musulmano che anche se non praticante rimanda al fatto che il paese sta affrontando, e perdendo, una guerra contro paesi islamici. È inoltre il prodotto di un misto razziale che nel paese diviene sempre più presente. Infine è un presidente nero che finisce il suo mandato quando la maggioranza di bambini sotto i cinque anni non è bianca. Quello che fino ad ora ha significato essere bianco in America non ha più lo stesso valore di prima e la stessa predominanza che in passato. E Obama incarna questa insicurezza.
Trump è proprio la risposta a quella che viene considerata un’umiliazione da parte dei bianchi. Quando Obama in gennaio nel suo discorso tradizionale ha concluso che non è riuscito a raggiungere il suo sogno di una politica culturale più condivisa che potesse creare una liaison tra diversi gruppi etnici ha affermato: «Uno dei pochi rimpianti della mia presidenza è che il rancore e il sospetto tra le parti è aumentato. Non ho dubbi che un presidente con i doni di Lincoln o Roosevelt potrebbe essere riuscito meglio di me a creare un ponte che eliminasse le divisioni, ma vi posso garantire che continuerò a provare fino a quando sarò in questo ufficio». Sta di fatto che al di là di quello che Obama considera un fallimento, i rapporti tra i gruppi etnici sono cambiati.
«Il giorno del giuramento come presidente – Obama affermò prima di arrivare alla Casa Bianca – il mondo ci guarderà in modo diverso. E milioni di ragazzi in tutto il paese guarderanno a se stessi in modo diverso. Questo solo è già qualcosa». E seppure le tensioni razziali e le sparatorie con la polizia si siano intensificate proprio in conseguenza di quello che la sua elezione ha fatto emergere, è anche vero che il movimento Black Lives Matter è nato sotto la sua presidenza. E questo è il movimento antirazzista più significativo degli ultimi 40 anni. Inoltre l’avere nominato un numero consistente di giudici neri, l’aver fatto rilasciare alcune migliaia di spacciatori non violenti, l’avere ridotto la disparità nelle sentenze per spaccio tra droghe leggere e crack e eroina ha fatto la differenza aiutando i neri ad avere più fiducia nel sistema. Anche quelli più isolati che vivono nei project spacciando per sopravvivere.
Le riforme proposte e implementate sono state molte e significative e Obama ha lavorato senza sosta per cambiare il paese. «We have been busy, which is why I have got gray hair» ha detto scherzando Obama a circa 7000 supporter in Florida giovedì scorso facendo campagna elettorale per Clinton. Il cuore della sua legacy che egli stesso cita di più è ovviamente la sua riforma più importante: quella che ha dato a 20 milioni di americani un’assistenza sanitaria che non esisteva prima di lui, la cosiddetta Obamacare. Che senza dubbio ha bisogno di essere migliorata come alcune recenti informazioni indicano in quanto ci sono aumenti nei costi, in alcuni casi sostanziosi, non previsti fino a questo momento. Cosa che non aiuta né Clinton né la legacy di Obama e che si sarebbe dovuta prevedere con un certo anticipo per non cadere proprio a ridosso delle elezioni. Ma che tuttavia ha rappresentato una svolta epocale per questo paese. Ci sono inoltre altri accomplishments di fondamentali importanza che, bisogna ricordare, la presidenza Obama ha realizzato come la diminuzione della disoccupazione dal 7,8% al 4,9%, il risanamento dell’economia, tra cui l’industria automobilistica, con i suoi stimulus plans, il rimando della deportazione dei genitori di bambini che sono cittadini americani o residenti negli Stati Uniti e la protezione di quelli che sono entrati illegalmente nel paese con i genitori, il tentativo di limitare la vendita incontrollata delle armi. Cosa quest’ultima che ha trovato particolare ostilità da parte repubblicana tradizionalmente legata alla lobby delle armi (NRA National Rifle Association). E seppure la politica ambientalista non è stata un punto forte della sua presidenza, le fonti alternative come i pannelli solari e l’energia eolica sono triplicati in numero. Infine il suo incoraggiamento all’aumento del salario minimo a livello federale e la nomina di due donne a giudici della Corte Suprema di cui una parte della comunità ispanica, Sonia Sotomayor, fanno della presidenza Obama un cardine di progresso.
E in politica estera, seppure Guantanamo non sia stata chiusa, ci siano ancora truppe in Afghanistan, i droni continuino a bombardare il Pakistan, lo Yemen e la Somalia con numerosi vittime tra i civili e in Siria la posizione di Obama sia stata ambigua, resta il fatto che i trattati con l’Iran per impedire la proliferazione nucleare e le trattative con Cuba rappresentano due punti avanzati della politica estera di Obama che ha risolto situazioni incancrenite ormai da decenni con questi due paesi. Senza dimenticare l’uccisione di Osama bin Laden che non va certo celebrata in se stessa ma solo come colpo al cuore al terrorismo dell’Isis. Il suo netto rifiuto infine di inviare boots on the the ground , cioè di iniziare guerre nuove o di inviare truppe aggiuntive in quelle in corso, si staglia come esempio unico nella storia presidenziale degli Stati Uniti. Paul Krugman sul New York Times ha affermato che Obama è «uno dei presidenti di più successo della storia americana».
Ma c’è una cosa che Obama con la sua famiglia normale e giovane (che qualcuno ha paragonato alla famiglia Kennedy), ha incarnato e rappresentato oltre a un futuro possibile ed è quella di un leader che ha avuto a cuore il bene comune e che ha preso seriamente e umilmente il suo ruolo di pubblico ufficiale. Con lui l’America perde un politico che si è battuto per qualcosa di più grande del suo utile particulare e di se stesso. Questo è uno degli elementi più importanti della sua eredità, al cui cuore ci sono fatti che partono dalla considerazione che i cittadini americani, i suoi elettori, non sono stupidi, che la democrazia in questo paese significa qualcosa e che il governo ha un ruolo fondamentale. Cioè che l’America può divenire migliore di come è adesso. In poche parole, che la politica può produrre un cambiamento anche se può sembrare lontano dal presente. E in fondo è questo il senso per primo commento di Obama alla vittoria di Trump: «Qualunque cosa accada, domani sorgerà il sole». Il domani si allontana, ma c’è.