Il caso Jakarta
Lampi sull’Indonesia
La più grande manifestazione di piazza degli ultimi tempi da parte delle organizzazioni islamiche è un campanello dall'allarme per il presidente Jokowi: anche qui la situazione sta diventando esplosiva
Venerdi mattina, ore 11.30. Sono nel traffico di Depok a sud di Jakarta vicino alla University of Indonesia. Il mio Go-Jek, moto-taxi che funziona con una app, va come una scheggia. Slalom continuo nel traffico mattutino, che a Jakarta significa intasamento costante (macet). Un’amica dell’ambasciata italiana mi ha avvisato che stanno chiudendo le strade intorno alla moschea Istiklal, la più grande di tutto il Sud East asiatico. È da li che dovrebbe partire la manifestazione del venerdì, la domenica dei musulmani. In campo partiti e organizzazioni di ispirazione islamica, definiti hardliner, tra questi l’Islamic defenders front, che vogliono manifestare contro il governatore di Jakarta, Basuki Tjahaja Purnama detto Ahok, il primo cristiano di etnia cinese ad essere stato eletto a quella carica. E uomo del presidente Jokowi, e molto attivo sul fronte della lotta alla corruzione. A febbraio gli scade il mandato e si torna alle urne.
Gli interessi in campo sono molti e non sempre trasparenti. Tanto che il presidente Joko Widodo venerdì notte, in conferenza stampa, dopo aver annullato la sua visita in Australia, ha accusato “attori politici” di aver approfittato dell’occasione per fomentare odio contro un avversario alle elezioni di febbraio. Lo scranno da governatore fa gola a molti. E la gola e le vie respiratorie vanno protette quando ti muovi nel traffico di una città di oltre 10 milioni di abitanti e non so quante migliaia di scooter. Le mascherine sono d’obbligo.
Devo percorre oltre 25 chilometri in un traffico più intricato della jungla di West Java. E che metterebbe a dura prova i nervi di chiunque, ma non dei locali che sembrano aver compreso la formula della felicita: zero stress, dove da noi volerebbero moccoli e santi. E sono fuori range per il servizio. Ma la promessa di una mancia risolve tutto. Amir guida come se avesse l’autopilota incorporato. Evita gli ingorghi e, dopo essersi accertato che sono un wartawan (giornalista) dari Italia (italiano), vorrebbe emulare Valentino Rossi (molto amato da queste parti). Sfila veloce alla nostra sinistra la grande caserma dei Marinir (i Marines indonesiani) immersa nel verde. E si incominciano a intravedere i primi grattacieli del quartiere degli affari di Setiabudi e Kuningan in lontananza. Alla fine arriviamo nella zona nord ma ci dobbiamo arrendere a circa un chilometro dalla meta. La polizia ha già messo i posti di blocco e il traffico è fermo. Non si passa. Salto giù dalla moto e saluto Amir. La fortuna mi assiste perché incrocio la testa del corteo in attesa per la preghiera del Dhur, la seconda della salat giornaliera. Si prega nel grande boulevard rivolti a nordovest, verso la Mecca. La polizia e schierata in forze solo vicino ai palazzi governativi. Per il resto tutto sembra molto ordinato. C’è anche un servizio ecologico con fedeli che invitano a non buttare nulla per strada e passano con enormi sacchi della spazzatura. Resto stupito. Continuo a seguire il corteo che passa vicino ad una chiesa. Non sento slogan violenti, ma il mio bahasa (indonesiano) non e ancora rodatissimo, magari può essermi sfuggito qualcosa. La polizia sta ai margini e coniuga la giornata alla maniera locale: senza tensioni o stress. Si sente solo un clima di eccitazione positiva nella folla che quando nota la mia macchina fotografica e la mia faccia da orang bule (straniero) sorride. Non devi neanche chiedere se puoi scattare che sono già in posa.
Si marcia per qualche chilometro verso Monas e il Monumento nazionale. La gente continua ad affluire divisa per gruppi. C’è anche il Movimento degli studenti islamici (Hmi) con le loro bandiere verdi, il pugno chiuso e le idee un po’ confuse tra Corano e Che Guevara. “Revolusi” gridano forte. Qualche divisa di appartenenti alle forze armate e ferventi musulmani e diversi cartelli che invitano la polizia ad arrestare Ahok. Poi vedremo quale è la pietra dello scandalo. C’è anche un servizio d’ordine in divisa.
Intanto servirebbe capire come questa manifestazione sia montata nelle ore fino a radunare qualche centinaio di migliaia di persone. Ne erano previste 10 o 20mila.
Si vocifera dell’appoggio di Susilo Bambang Yudhoyono, già presidente, per puro calcolo politico. Il motivo della rabbia di Jokowi. È una situazione complessa. Widodo ha speso l’ultimo anno a cementare nuove alleanze per sfuggire all’abbraccio soffocante del proprio partito che diluiva il vigore delle riforme, gli imponeva “impresentabili” facendogli perdere consensi. Tesi i rapporti con la madre/matrigna della sua carriera politica: Megawati Sukarnoputri, una delle figlie del padre della patria, Sukarno. Questo da un lato lo ha rafforzato dall’altro ha aperto il vaso di Pandora delle vendette politiche. E ha rimesso in pista personaggi come Susilo che probabilmente puntano sul tramonto di Jokowi. Ma restiamo nel campo delle ipotesi.
Le ragioni della manifestazione sbandierate da molti media occidentali (anche dal blasonato NYT) sono un po’ allarmistiche. Improntate allo scontro religioso. Ed in effetti qualcosa di vero potrebbe esserci. Riguarda un commento di Ahok su di un passaggio del Corano, fatto qualche tempo addietro. Ma era più una battuta contro l’uso strumentale della religione nello scontro politico che altro. Le scuse ufficiali non sarebbero bastate. Perché? E qui la storia non la si raccontata tutta. Dopo tre anni di Nord Africa e Medio Oriente dove la disinformazione era pane quotidiano, ma più per incompetenza e pigrizia (faceva comodo) che per una perfida cospirazione, vedere gli stessi meccanismi riproposti in tutt’altro contesto fa cascare le braccia.
Facciamo una semplice ipotesi. In alcuni ambienti occidentali la prossima caduta di Mosul e la ormai inevitabile caduta in disgrazia dei Saud e compagnia (fondazioni wahabite e ambienti quatarini) ha fatto balenare un’equazione: il problema islamico sta per essere risolto. Possiamo ripartire con arroganza nel riproporre modelli “one fit all” che tanti danni hanno provocato negli ultimi 20 anni. La globalizzazione non è un male di per sé ma, essendo in parte fuori controllo, può fare molti danni oltre ad essere una chance per molti paesi in via di sviluppo. Usare queste potenti dinamiche economiche per coercire modelli culturali e politici “datati” provoca sempre guai. Quando hai un potere economico e militare enorme, anche cattive politiche sembrano poter funzionare. Ti danno l’illusione dell’uovo di Colombo ma producono frittate. È da tempo che alcuni movimenti islamici si lamentano per la vendita di alcolici durante il Ramadan, il mese sacro del digiuno per i musulmani. Ci sono stati anche alcuni raid in locali e bar. A dimostrazione che basterebbero buon senso e maggior rispetto per non far salire la tensione, non sarebbe stato male dare meno evidenza alla nascita della prima birra prodotta in Indonesia. Qualche genio del marketing forse deve aver cenato con uno spin doctor… ubriaco.
Nell’est del paese ci sono state tensioni tra cristiani e musulmani di recente e non andrebbe dimenticato che l’Indonesia in termini di popolazione è il più grande paese islamico. Un islam coniugato, fino ad oggi, senza estremismi, parlo per esperienza diretta, dove durante le preghiere in moschea non è raro che l’imam faccia battute di spirito che finiscono in scrosci di risate tra i fedeli. Perdere questa grande occasione di riforma in senso modernista di un islam come quello indonesiano, per boria e miopia, è più di un peccato: è un errore politico.
Anche il radicalismo più duro, quello che ha aderito a Stato Islamico, ha prodotto fortunatamente poco in termini numerici e qualitativi. La kathiba Nusantare che combatte in Siria sotto le bandiere di al Baghdadi e altre formazioni nate per partenogenesi hanno prodotto in totale poche centinaia di combattenti (circa 700 secondo fonti governative). Nulla in confronto agli oltre 5 mila foreign fighters partoriti dalla Tunisia, un paese di soli 11 milioni di abitanti. L’attentato del gennaio scorso a Sarinah, nel centro di Jakarta, ha dimostrato una scarsa preparazione militare dei gruppi jihadisti. Inoltre a luglio membri del team Alfa 29 del 515mo Battaglione Raider del Kostrad avevano eliminato Santoso, comandante della East indonesian mujahiddin (Mit nell’acronimo locale), nel suo rifugio di Poso a nord di Sulawesi. Certo, la situazione potrebbe cambiare con il rientro di combattenti ben addestrati alla guerra.
La giornata è trascorsa serena tra slogan e canti più o meno “arrabbiati” sono stato rifocillato più volte e chiacchierando con chi aveva deciso di scendere in piazza ho avuto l’identica sensazione percepita in Tunisia e poi al Cairo e altrove. La gente che scende in piazza non vuole e non cerca lo scontro, ma banalmente vorrebbe solo essere ascoltata. Gli episodi violenti si sono verificati verso le 22 nei quartieri più a nord, quelli meno “tranquilli” di tutta Jakarta. Dove è molto facile assoldare provocatori per scatenare un po’ di casino. Per ragioni politiche o altri interessi o semplicemente perché la presenza di polizia in forze scatena gli istinti più criminali. Sembra la fotocopia di ciò che ho visto al Cairo a Kasr el Ithadia, il giorno delle dimissioni del presidente Morsi. Tutto bene fino alle 22 poi scontri e morti (22) nelle zone più prossime ai quartieri malfamati.
Nell’area di Monas dove sono rimasto fino alle 21 circa, ci sono state cariche della polizia in ottemperanza ai limiti dell’autorizzazione alla manifestazione, che scadeva alle 18. Un’ora dopo hanno cominciato con i gas, le flash bomb e gli idranti su di una folla che fino ad allora aveva dimostrato pacificamente. Nella zona dove mi trovavo, sulla Jalan Abdul Muis, è stato organizzato un posto medico di emergenza, all’interno del parcheggio di un ristorante D’Cost, dove affluivano i feriti. Più che altro ragazzi sotto shock per i gas e le flash bomb. Ho visto solo due ambulanze partire con feriti più gravi. Poi verso le 20.30 sono arrivati alcuni personaggi, probabilmente organizzatori della manifestazione, che hanno chiamato il “tutti a casa”. Non ho mai percepito un innalzamento della tensione da parte dei manifestanti. Ho scattato qualche foto poi mi sono messo a dare una mano con i feriti. Ho incontrato gente normale e sempre ben disposta nei miei confronti, nonostante la mia faccia da orang bule. Ma la gentilezza fa parte del carattere degli indonesiani, anche dei cosiddetti hardliner.
Le fonti ufficiali hanno parlato di un centinaio di feriti (molti poliziotti) e di un morto, oltre ad alcuni mezzi delle forze di sicurezza dati alle fiamme. Sicuramente la manifestazione sarà uno spartiacque per il cosiddetto islam poltico, Jokowi dovra dimostrare abilità politica per gestire le tensioni tenendo conto di dove è situata l’Indonesia: in mezzo ad uno scenario dove il confronto Cina-Usa diventerà sempre più critico e pericoloso. Dove il rischio di uno scontro armato tra i due giganti è tutt’altro che “fantasioso”. E la presenza cinese in Indonesia è stata spesso motivo di malumori. L’Indonesia è un paese che merita rispetto e può fare molto per la stabilità di tutta la regione.
Mentre i fumi dei gas lacrimogeni si disperdono sull’asfalto umido e tra i rami di piante e fiori tropicali, è cominciato il rientro delle ultime frange dei manifestanti. Nella notte risalta il bianco dei loro vestiti, un candore appena attutito dalla luce pallida dei lampioni. Prendo il mio cellulare per ordinare un moto taxi con la app. Dopo 15 minuti vedo arrivare il driver a piedi, trafelato. Percorriamo circa 400 metri prima di raggiungere uno svincolo con un checkpoint, dove ha parcheggiato lo scooter. C’è ancora gente che aspetta qualcuno, chiede informazioni, fuma una sigaretta appoggiata ad un’auto. Messo il casco verde e montato in sella, posso sentire ancora una volta il vento tiepido di Jakarta sussurrare il fascino della notte, la bellezza delle donne, il profumo del caffè Luwak, il sapore intenso del rendang e l’amore per la vita. Le luci scorrono veloci, mentre alcuni pensieri restano. La gente e la loro innata gentilezza.
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Clicca su questo link: https://www.youtube.com/watch?v=901KO-CnDTY per vedere il filmato della manifestazione. Il filmato e le fotografie sono di Pierre Chiartano