Every beat of my heart, la poesia
Il femminicidio secondo Shakespeare
Otello pratica lo sport più antico dell’umanità, eppure così attuale: la violenza del maschio sulla donna. Una violenza esercitata per il puro piacere di reprimere la presenza femminile in se stesso e nel mondo. E il Bardo così ce lo racconta…
È uno dei momenti terribili della follia di Otello, che si accinge a uccidere l’innocente moglie Desdemona, e grazie al genio di Shakespeare la vede e ce la mostra ancora viva, e già morta: bianca come la neve, immacolata, e già liscia come alabastro, parente del marmo e della statua mortuaria.
Non capivo Otello (dopo tante letture e tante recite), mi sfuggiva il nucleo tragico. Non può essere ridotto a tragedia della gelosia. Né della calunnia, della perfidia, peraltro molto evidenti nel diabolico Iago. Ma non basta. Calunnia, maldicenza, invidia, desiderio del male, così come gelosia, sono realtà distribuite in tutta l’opera di Shakespeare, massime nelle commedie drammatiche, come Molto rumore per nulla, o romanzesche, come La tempesta, o nella tragedia Amleto.
Ma all’improvviso, all’ennesima lettura, ho un lampo, una scoperta elementare: Otello rappresenta il femminicidio, lo sport più antico dell’umanità, la violenza che il maschio spesso esercita sulla donna per il puro piacere di reprimerne la presenza in se stesso e nel mondo. Otello non è vittima di Jago, è suo complice. L’antagonismo Otello-Jago, su cui la presenza di Desdemona incide con la mite tragicità di una vittima sacrificale, si rivela drammatica compresenza di due stati di esaltazione, due maschere di una stessa realtà minata da insanità e fragilità.
Iago invidia Otello, tutti e due odiano, sopitamente, la donna. Iago crede di rovinare Otello, ma questi è uno strumento della rovina finale, quella di Desdemona. Iago odia l’armonia, Otello inconsciamente non vede l’ora di spezzarla. Desdemona è troppo per essere vera. Quindi va uccisa, usando e pervertendo il nome di Amore. Otello è la tragedia del femminicidio.
C’è una ragione, anima mia, c’è una ragione.
Non mi chiedete di dirla, caste stelle!
C’è una ragione. Però non voglio spargere il suo sangue
né macchiare quella sua pelle bianca più della neve
e liscia come alabastro.
Eppure deve morire, oppure tradirà altri uomini.
Spengo la luce, e poi spengo quest’altra.
Se io ti spengo, ministra di fiamma,
posso ancora riaccenderti,
se mi ripento, ma se spengo la tua, di luce,
tu opera magnifica di natura eccellente,
non saprò più dov’è quel fuoco di Prometeo
che ti possa riaccendere. Se avrò colto la tua rosa
non potrò più ridarle vita,
e appassirà per forza: voglio annusarti sulla pianta.
O fiato balsamico, che quasi persuadi
la giustizia a spezzare la sua spada! Ancora uno, ancora.
Sii così da morta, e io ti ucciderò
E dopo ti amerò. Ancora uno, l’ultimo.
Mai una simile dolcezza fu così fatale.
Devo piangere, ma sono lacrime crudeli:
questo dolore è celeste, colpisce dove ama.
William Shakespeare
(Da Otello, atto V scena II, traduzione di Roberto Mussapi)