Ritratto d'artista
Elogio dell’attore
Vittorio Viviani: «Un attore deve conoscere l’umanità. Con i suoi vizi e le sue virtù. Poi capire quanti, di quei vizi e di quelle virtù, abbiamo in noi stessi. Prendi il tutto e lo metti nel personaggio che devi interpretare, o meglio, rappresentare. E così diventi memoria storica...»
Nome e cognome: Il mio nome è Viviani. Vittorio Viviani.
Professione: Attore, cantante, regista.
Età: Non si dovrebbe chiedere nemmeno a un signore. Comunque sono nato il 22 di maggio del 1954. A voi il calcolo.
Da bambino sognavi di fare l’attore? No. In verità mi sarebbe piaciuto fare il cantante. A sei, sette anni cantavo Paul Anka, mi piacevano i Beatles e Frank Sinatra. A nove anni ho debuttato cantando qualcosa di questi grandi artisti. Poi, certo andavo a teatro e mi piaceva. A sedici anni mi proposero di recitare in uno spettacolo: per me fu ovvio, non mi sorpresi né mi eccitai. Lo trovavo “normale”.
Cosa significa per te recitare? È il mio meraviglioso lavoro. Recitare mi dà una grande energia, un piacere immenso. Mi piace enormemente stare davanti al pubblico. Mi piace recitare al cinema, con la macchina da presa che ti riprende e davanti a tutta la troupe. Anche quello è un pubblico.
Il tuo film preferito? Ovviamente, non esiste “un film preferito”. Ci sono tanti film, tanti autori, tanti attori che mi piacciono, di ogni latitudine e longitudine. Ma ci provo. Detto che sono intoccabili e irraggiungibili tutti i film di Totò, quelli di e con Vittorio De Sica, e quelli di Ettore Scola, il mio film preferito, il mio “cult movie” (anche perché sono un po’ snob) è Guardia, guardia scelta, brigadiere e maresciallo di Mauro Bolognini del 1956 (fra gli sceneggiatori, Ettore Scola… ). Un trionfo della “Commedia”. Con un cast straordinario. In una scena, attorno a un tavolino, giocano a scopa quattro “vigili urbani” (in ordine alfabetico): Gino Cervi, Peppino De Filippo, Aldo Fabrizi e Alberto Sordi. E tanto basta.
Il tuo spettacolo teatrale preferito? (Fatto da te o da altri) Anche qui, non esiste un solo spettacolo preferito. Basti pensare a tutti quelli di Giorgio Strehler. Comunque, penso che una delle più grandi “operazioni” teatrali mai fatte sia La gatta Cenerentola di Roberto De Simone, spettacolo nato quarant’anni fa e più volte rinnovato. Una vera invenzione di teatro.
Qual è l’attore da cui hai imparato di più? Questo è un mestiere che si impara vedendo. Guardando e “rubando” dagli altri attori. Quelli che mi hanno ispirato, sin da ragazzino, li ho già citati prima: Totò, Cervi, i De Filippo, e poi Titina, Fabrizi, Vittorio De Sica, Sordi. E Vittorio Gassman, Enrico Maria Salerno, Ugo Tognazzi. E tanti che ho visto a teatro, al cinema e in televisione quando si facevano gli “Sceneggiati” e il Teatro in TV. Poi ho avuto la fortuna di recitare con alcuni grandi attori: Giorgio Albertazzi, tante volte, Anna Proclemer, entrambi grandi amici. E Roberto Herlitzka. Ecco, da loro, avendoli a fianco, ho molto imparato.
Qual è il regista da cui hai imparato di più? A me sono sempre piaciuti di più gli Attori. Le regie mi piace vederle. Avrei voluto lavorare con Strehler, sicuramente. O farmi dirigere da Eduardo. Il loro teatro si fondava sull’attore. Eduardo era, un attore. Però, ho avuto la fortuna di essere diretto da Gigi Proietti, altro attore che dirigeva. Grandissimo. Abbiamo inventato cose bellissime.
Il libro sul comodino. Ora come ora, ho una biografia di Shakespeare di Akroyd. Nuova e piena di particolari, molto dettagliata. Poi ho sempre a portata di mano il Decameron di Boccaccio: modernissimo! Ma l’autore da comodino, per me, è Georges Simenon. Grande, grande scrittore. Ogni suo romanzo è più bello del precedente, non sai fare una classifica. E il suo libro che terrei sul comodino è Il gatto. Una coppia di anziani coniugi che comunica solo lanciandosi addosso dei “pizzini” e si odiano col cuore. Ma rimangono insieme, ineluttabilmente.
La canzone che ti rappresenta My way, senza alcun dubbio. Non per il testo, scritto da Paul Anka per Frank Sinatra. Io non c’entro nulla con quel tema. Mi è sempre piaciuto ascoltarla. Da Sinatra, innanzitutto, ma anche da Elvis, Nina Hagen, i Sex Pistol, e cento altri. È stata la canzone con quale sono partito per scrivere le mie parodie: io riscrivo in napoletano i grandi successi stranieri, giocando sull’assonanza fra l’inglese, l’americano e il francese col mio dialetto. Sono tragicommedie che non c’entrano più nulla col testo originale, ovviamente. E “My way” è diventata “Guaie mieie”. Con queste canzoni, una cinquantina, faccio i miei recital e ho anche inciso un cd intitolato “Song o not song”.
Descrivi il tuo giorno perfetto. Sveglia alle sei; macchina che mi viene a prendere per portarmi sul set; girare scene di un film o di una fiction; dormicchiare nei momenti di attesa; un’altra macchina mi porta in teatro per recitare la sera. Poi fatemi riposare due giorni se no crollo…!
Il primo bacio: rivelazione o delusione? Bellissimo! Non scherziamo! Io avevo 13 anni lei dodici. Io, per l’età, alto… Lei non era, come dire…molto altina… Eravamo in un viottolo, in una buia sera autunnale, soli (tranquilli, allora non era pericoloso). Non essendo molto alta… avevamo il problema di avvicinare le bocche. Ci saremmo dovuti contorcere troppo per riuscirci. Trovai un piccolo masso, la feci salire sopra… e ci baciammo. Davvero bellissimo. Ovviamente, l’abbiamo rifatto molte volte, dopo.
Strategia di conquista: qual è la tua? Farla ridere. E poi… prega Iddio!
Categorie umane che non ti piacciono? Gli stupidi. Li trovi a tutti i livelli. Anche ai posti di grande responsabilità. E lì, sono davvero problemi… Contro gli stupidi c’è poco da fare.
Classifica per sedurre: bellezza, ricchezza, cervello, humour. Con la ricchezza è troppo ovvio! Basta leggere il Timone di Atene di Shakespeare: Timone rinuncia all’ingannevole denaro che, tra le tante cose, rende “belli i brutti”! E poi, leggere l’analisi che fece Karl Marx dal Timone di Atene, parlando dell’alienazione del denaro. Ma non sto qui a spiegarvela. La bellezza conta molto ma se è vuota…? (Non essendo un “bello”, io devo dire così…!). Su cervello e humor non ho dubbi. L’ho detto prima: falla ridere, con intelligenza.
Il sesso nobilita l’amore o viceversa? Credo che qualsiasi tipo di incontro con l’altra persona si fondi su un sentimento, su un voler andare l’uno verso l’altra. Don Giovanni si innamora sempre. Per cinque minuti, ma s’innamora. Oh, è ovvio, che se tutt’e due sono consenzienti è meglio. Ci si nobilita vicendevolmente. E ci si diverte di più…!
Meglio le affinità elettive o l’elogio degli opposti? Non credo che ci sia una regola generale che valga per tutti. Ognuno si “aggiusta la vita” per come è fatto. Le affinità elettive del romanzo di Goethe portano a una tragedia, dopo l’eterna questione tra ragione e istinto. Eccoli, i due opposti. Che si debbono confrontare di continuo, in un rapporto dialettico. Io penso che, dovunque, la dialettica, il confronto, servano a costruire qualcosa di sostenibile. Accettare le differenze e trovare punti in comune. E poi, troppe affinità… è noioso!
Costretto a scegliere: cinema o teatro? Ah, sicuro: Il Cinema… No, il Teatro, non c’è dubbio! Per quanto, il Cinema… Sì, sì, il Cinema… Aspetta, no… il Teatro! Il Cinema… il teatro, il…????
C‘è qualcosa che rimpiangi di non avere detto a qualcuno? Sì, forse a quello avrei potuto dirgli più chiaramente che…; a quell’altro dirgli che era proprio uno s… Ah, a quella farle capire che, forse, l’amavo… Ma insomma, è acqua passata.
Shakespeare, Eduardo o Beckett? Shakespeare rimane il più grande, il più moderno. Eduardo è immenso e non a caso, come più volte ebbe a dire, ha molto preso da Shakespeare (e non da Pirandello, come facilmente si dice). Beckett è più particolare, anche il più datato, forse. “Godot” è, certamente, un capolavoro. Ma dobbiamo pensare che tutto il ‘900 teatrale discende da Cechov, anche Eduardo. Senza Cechov non ci sarebbero stati Beckett, Pinter, Ionesco… Ma non dobbiamo dimenticare che uno dei più grandi del secolo scorso è stato Raffaele Viviani, il nostro Brecht.
Qual è il tuo ricordo più caro? Lasciamo stare la vita privata perché sarebbe retorico e noioso. Restiamo nel lavoro. E allora direi l’amicizia che mi ha regalato una straordinaria donna, un’immensa attrice, una grande compagna di lavoro: Anna Proclemer, che purtroppo non c’è più.
E il ricordo più terribile? L’improvvisa scomparsa, nel 1998, di Duilio Del Prete. Un grande artista, un caro amico, una grande mente. Se n’è andato via troppo giovane. Ancora oggi sento la sua mancanza.
L’ultima volta che sei andato a teatro cos’hai visto? Vado a teatro per il piacere, per curiosità e perché il mio mestiere me lo impone, quando i miei impegni me lo permettono. Ho visto tante cose belle, tanti equivoci, tanta buona volontà… Ho avuto, però, la fortuna di vedere, da poco, Eros Pagni in “China doll” di David Mamet, bellissimo! Pagni si conferma grandissimo attore; è una gioia vederlo recitare.
Racconta il tuo ultimo spettacolo: Prendo in considerazione La bottega del caffè di Goldoni con la regia di Maurizio Scaparro, che sarà anche il prossimo spettacolo perché lo riprenderemo a gennaio 2017. Si dirà: ancora Goldoni?! Io rispondo: e gli inglesi allora, che da quattrocento anni fanno Shakespeare? Goldoni è un grande autore, nei suoi testi racconta noi esseri umani, noi individui sociali. E La bottega del caffè è un testo terribile, nel raccontare l’animo nero della persone. Non a caso Fassbinder ne fece una riscrittura nera, nerissima.
Perché il pubblico dovrebbe venire a vederlo? Innanzitutto, per i motivi di cui sopra. Poi, perché la regia di Scaparro, pur rimanendo nell’alveo del teatro tradizionale, di parola, ha tolto tutti gli orpelli, tutti i goldonismi di maniera (quelli, davvero insostenibili e orrendi. Ma non è colpa di Goldoni ma di chi li fa). È uno spettacolo dove si ride, si partecipa e si vedono questi pessimi tipi sociali. E quindi, il teatro fa da specchio a chi lo guarda: molto di quel “nero” sta in noi esseri umani e sociali. Uno spettacolo che si segue con attenzione e apprensione. Il successo col pubblico è stato davvero entusiasmante.
Il mondo del teatro è veramente corrotto come si dice? E che si dice?! E, poi, in che senso? Se intendiamo che nel teatro ci sono le camarille, le ruberie di danaro, i piaceri agli amici degli amici, ai parenti, che dire? Sì, ci sono, ma né più né meno che nel resto della società. Il teatro è parte della società, non è un pianeta isolato. Se, invece, intendiamo che il mondo del teatro è corrotto nei costumi, intesi come promiscuità, lussuria, libertà sessuale, che dire? Magari! Non è più come una volta! Adesso sono tutti castissimi!
La cosa a cui nella vita non vorresti mai rinunciare. È facile: mia moglie Fiorella.
Quella cosa di te che nessuno ha mai saputo (fino ad ora). Dunque, quella cosa di me che nessuno ha mai saputo… è meglio che si continui a non sapere. Né ora né mai.
Piatto preferito. Il crudo di mare freschissimo!
C’è parità di trattamento nel teatro tra uomini e donne? È come dicevo prima: il teatro è parte della società, quindi ci sono le stesse identiche problematiche. Soprattutto nel rapporto datore di lavoro-attrici. Sulla maternità, ad esempio: un datore di lavoro può non scritturare o, peggio, mandare via un’attrice perché incinta. Questo è davvero un obbrobrio, direi un crimine. Ma sul lavoro, fra attori e attrici non c’è differenza, ci sono i ruoli: protagonisti, comprimari, attrici e attori giovani. E tante, tante registe. Che per fortuna esercitano il proprio ruolo con vigore e carisma. Per di più, oggi, ci sono molte donne che fanno ruoli tecnici: elettriciste, macchiniste, foniche, creatrici di luci.
Mai capitato di dover rifiutare un contratto? Se sì, perché. Accade spesso con le proposte che non sono interessanti, ed è normale. Dispiace, invece, quando si è costretti a rifiutare delle buone proposte perché si è già impegnati. Mannaggia…!
Di lasciarti sfuggire un’occasione di lavoro e di pentirtene subito dopo? Credo che non mi sia mai successo.
Quale ruolo ti sarebbe piaciuto interpretare nel cinema? Tanti! Quelli di Humphrey Bogart quando interpretava l’investigatore dei romanzi di Dashiell Hammett. Mi sarebbe piaciuto recitare nei film di Orson Welles. Oppure accanto a Totò. Recitare in un film di Ettore Scola, ci sono riuscito, fortunatamente. Il suo ultimo: Che strano chiamarsi Federico. Una gioia e un’emozione grandissime.
Quale ruolo ti sarebbe piaciuto interpretare in teatro? Tutti quelli che devo ancora fare.
Da chi vorresti essere diretto? L’ho detto prima, mi sarebbe piaciuto lavorare con Strehler e con Eduardo. Oggi non ne vedo nessuno. Mettiamola così: oggi potrei essere d’aiuto a un giovane regista.
Tre doti e tre difetti che bisogna avere e non avere per poter fare questo mestiere. Come diceva Anna Proclemer: salute, salute, salute! Modugno ribadiva: fortuna, fortuna, fortuna! Che sono un po’ la stessa cosa. Poi, bisogna ricordarsi che questo è un lavoro, sia in cinema che in teatro, che si fa necessariamente con gli altri, quindi: stare nel proprio ruolo, e rispetto per i colleghi (compresi troupe e reparto tecnico in teatro). E, soprattutto, rispetto per il proprio lavoro, che comprende i due precedenti. E tutto il mondo avrà stima e rispetto per te. Fare il contrario, sono i difetti.
Cosa accadrebbe all’umanità se il teatro scomparisse? Mah, ci sarà sempre qualcuno che, in mezzo a una piazza, si mette a raccontare delle storie a qualcun altro e un capannello che si forma. È un fenomeno intrinseco all’umanità, è antropologico. Altra cosa se registriamo la scomparsa del teatro, come attività sociale ed economica organizzata, nel nostro paese. Sta già succedendo, grazie. E stiamo andando verso la rovina. In questo senso, il nostro è un paese con poco futuro. Quando accadrà che avremo tutti i teatri chiusi o, peggio, con solo gli impiegati, qualcuno di noi si metterà in una piazza e racconterà una storia: “C’era una volta il Teatro! E tanta gente vi andava e rideva, piangeva, si emozionava, pensava…”
Gli alieni ti rapiscono e tu puoi esprimere un solo ultimo desiderio. Quale? SALVATE IL TEATRO! TOGLIETELO DALLE MANI DEGLI UMANI (Italiani)!!!
La frase più romantica che ti sia capitato di dire in scena. Recitavo ne La cagnotte di Labiche e interpretavo Colladan, un ricco contadino, proprietario terriero. Reagendo alla proliferazioni di annunci matrimoniali sui giornali, così commentavo: “Che sciocchezze! se due si vogliono sposare…si praticano…! Sì certo, si praticano. Quando io ho voluto sposare la povera signora Colladan…l’ho praticata! Eccome…!”. Ecco, questo è il massimo di romanticismo che mi è capitato di dire.
La frase più triste che ti sia toccato di dire in scena. Con la regia di Proietti, mettemmo in scena Non ti conosco più di Aldo De Benedetti. La vicenda tratta di una bella signora borghese che, per tre quarti dello spettacolo, finge di aver perso la memoria, non riconosce il marito e lo scambia con lo psichiatra che viene chiamato a curarla e che, su pressione del marito stesso, rimane in casa per due giorni. Lo psichiatra, che interpretavo io, si innamora della signora, ovviamente. E la cosa sta quasi per succedere. Ma alla fine, la signora confessa di aver finto per fare un dispetto al marito che cercava di concupire la segretaria. E confessa allo psichiatra che anche lei si era innamorata di lui ma doveva tornare col marito e che lo psichiatra avrebbe dovuto capire… E allora egli, con voce flebile e di prece dice semplicemente: “…E io…?”. E questa, era una battuta veramente triste!
Cosa vorresti che il pubblico ricordasse di te? Mah, quello che, per fortuna, già succede: il pubblico mi viene a vedere perché trova piacere. Posso dirlo? Gode! Si diverte, prova emozioni, e riflette. Bontà loro, che Dio li conservi sempre così!
Hai mai litigato con un regista per una questione di interpretazione del personaggio? Sì, qualche volta e capitata, diciamo così, qualche forte dialettica… Ci si confronta… Poi si fa come io pensavo si dovesse…ma sembra un’idea del regista. Fa niente…
Se potessi svegliarti domani con una nuova dote quale sceglieresti? Essere ricco come Paperon de’ Paperoni!!!
Che cosa è troppo serio per scherzarci su? Ma nulla! Si deve sempre scherzare su tutto. È d’obbligo!
Se potessi conoscere il tuo futuro cosa vorresti sapere? Come va a finire la cultura, in Italia. Ditemelo, così comincio a mettermi a quell’angolo di piazza a raccontare storie…
Come costruisci i personaggi che interpreti? Studio il testo. Nel testo, l’autore ha già scritto tutto. Poi, compresi il senso, i significati, i riferimenti, mi faccio i miei studi di saggistica e storia. Poi mi guardo un film di Totò. Anche se devo fare un ruolo drammatico.
Parallelamente al tuo percorso artistico, trovi che in questi anni ci sia stata un’evoluzione o un deterioramento del teatro? Siamo in un periodo storico non felicissimo. La storia è fatta di alti e bassi. Questo è un periodo particolarmente basso. Almeno nel nostro paese. E riguarda anche il cinema. La cultura tutta è molto mortificata. E molti sono gli equivoci. Attenzione però, ci sono tantissimi giovani di qualità. Ma bisogna farli esprimere e lavorare, perbacco!
Il rapporto con la parola. La interroghi, la ricerchi, la domini o ti fai dominare? Come dicevo, quando mi preparo studio molto. E ci metto tutto il mestiere che occorre, la mia sensibilità e quella che il testo richiede. Per rispetto dell’autore, per donare quella parola al pubblico e farlo emozionare. Per cui la parola la interrogo, la ricerco… e la domino. Perché così bisogna fare.
Cosa pensi delle nuove generazioni di attori che, a volte, passano direttamente dai talent al palcoscenico? I giovani che vanno nei talent sono innocenti, questa è la realtà che gli viene offerta. Società dello spettacolo e velocità nel raggiungere gli obbiettivi. I colpevoli sono i talent e chi li fa. Veri ingannatori delle masse. Mi piacerebbe che la RAI, che è la più grande azienda culturale, essendo di Stato, facesse di più l’azienda culturale.
La morte: paura o liberazione? Albertazzi, negli ultimi tempi, usando anche le “Memorie di Adriano”, ha detto delle cose bellissime sull’attesa della morte. Ma le ha detto a novant’anni passati! Ammesso che ci arrivi anch’io, ne parleremo in quel momento…
Ti viene data la possibilità di presentare tre proposte di legge in materia spettacolo. Cosa proponi? Conta la visione generale, di una proposta di legge. Dare importanza alla cultura tutta significa moltiplicare il Pil, visto che è quello che ha così tanto “appeal”… o meglio, “apPil”. Si migliora la società e si costruisce il futuro. Io farei teatro e musica nelle scuole, come materie obbligatorie; una legge sul teatro che metta al centro gli artisti e non i burocrati e i produttori e le “mezze maniche”, privati o pubblici che siano; e definirei, una volta per tutte, la figura giuridica dell’attore (o artista in genere), perché manca. Gli attori sono ancora considerati delle macchiette indefinite: dei poveracci o dei divetti simpatici e/o insopportabili.
Cosa è necessario per un attore: memoria storica o physique du rôle? Intanto conoscere l’umanità. Con i suoi vizi e le sue virtù. Poi capire quanti, di quei vizi e di quelle virtù, abbiamo in noi stessi. Prendi il tutto e lo metti nel personaggio che devi interpretare, o meglio, rappresentare. Tenendo presente le antiche regole del teatro, che alla fine sono sempre le stesse. Ecco la memoria storica. Amalgamare il tutto con gli aromi q.b., cercando una linea espressiva, poetica. Poi, certo, se devi interpretare un giocatore di pallacanestro, devi avere il physique du rôle.
Hai un sogno nel cassetto che oggi può aprire. Cosa viene fuori? Svegliarsi una mattina e vedere che quella legge sul teatro, che dicevo prima, sia stata attuata e che tutto funzioni meravigliosamente.
I soldi fanno la felicità? Diciamolo: sì!
Qual è il tuo rapporto con i social network? Li uso per comunicare e promuovere la mia attività. Basta.
Il tuo rapporto con la critica. Quale quella che più ti ha ferito in questi anni. Sono stato fortunato: non ho mai avuto critiche negative. Anzi… Con alcuni critici sono amico. Con altri abbiamo una buona conoscenza e una stima reciproca. Il problema è che, anche i critici, stanno sulla stessa barca del teatro, quindi, anch’essi vivono lo stesso momento…”critico”…
Poco prima dell’inizio e poi della fine di un tuo spettacolo, a cosa, o a chi, pensi? All’inizio penso al compito che ho: fare lo spettacolo, divertirmi e divertire (in senso lato. Vale anche per drammi e tragedie). Sono allo stesso tempo concentrato e tranquillo; emozione quasi niente. Alla fine, penso ad accendermi una sigaretta.
Il teatro riesce ancora a catalizzare la passione civile del pubblico in modo attivo? Beh, il teatro, come rito sociale e civile, nasce esattamente per questo. Anche quello più facilotto e di intrattenimento assolve a questa funzione. Solo che oggi si esagera! O si fanno commediole sciocche o, al contrario, si pensa che più si trattano temi forti, impegnati e più ci sia passione civile. Invece si assiste solo a comizi, o a messe nere. Il teatro ha un suo linguaggio, una sua forma, una sua poetica; e pone domande, non soluzioni. Solo così, si esercita quel rito sociale e civile.
Nella tua valigia dell’attore cosa non manca mai (metaforicamente o materialmente)? Quella memoria storica di cui sopra.
Con i tagli economici alla cultura, il teatro diventerà un’arte di nicchia oppure ci sarà una prevalenza di teatro di medio-basso livello o amatoriale? Lo dicevo prima, questo è un periodo particolarmente depresso. Se continuano i tagli e questa poca considerazione, il teatro “verrà messo in una nicchia” e sepolto vivo. Gli amatoriali non c’entrano nulla, sono solo delle persone che, facendo un altro mestiere, amano fare il teatro. Di per sé è una bella cosa, fa bene fare il teatro. Ma se i direttori dei teatri, per riempire i cartelloni, inseriscono le compagnie amatoriali, perché si autofinanziano, allora non va bene per niente. Muore il lavoro artistico e si crea una sacca enorme di artisti disoccupati.
C’è un autore teatrale che credi sia poco considerato e che andrebbe rivalutato e rappresentato? Aldo De benedetti. Viene considerato un autore minore, schiacciato da Pirandello. Forse paga il fatto di essere stato vittima delle leggi razziali fasciste del 1938 e dovette lavorare sotto falso nome. Fortunatamente si salvò la vita, scrisse decine di commedie e più di cento film. Negli anni ’50, mentre veniva molto rappresentato all’estero, fu sottostimato in Italia. Invece, è uno dei grandi della drammaturgia mondiale, del ‘900.
Meglio essere sereni, contenti o felici? La vita, come il teatro, prevede tutte e tre le opzioni. Più le sofferenze, i dolori e gli stati malinconici. Va bene tutto, è, semplicemente, la vita.
Progetti futuri? Teatro, cinema e fiction. E canzoni…!
Un consiglio a un giovane che voglia fare l’attore. Studi, faccia una scuola buona, abbia rispetto per il proprio lavoro. E che lo faccia con gli altri: la dignità di se stessi e di questo mestiere si fa e si difende assieme agli altri artisti-lavoratori.
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Le foto sono di Federico Wilhelm, Marcello Norbert, Daniela Zedda, Tommaso Le Pera.