Dopo l'elezione di Trump
Per chi ha votato Putin
L'uomo forte di Mosca ha fatto di tutto per favorire Trump e mettere in difficoltà Obama e Hillary. Non è solo una scelta di opportunismo internazionale, è la tappa di un progetto che mira a screditare la democrazia nel mondo
Le elezioni che hanno portato Donald Trump alla Casa Bianca hanno anche un altro vincitore: Vladimir Putin. Il leader russo è stato assai presente in questa campagna elettorale. Proprio di recente – per mettere in difficoltà sia l’attuale inquilino della Casa Bianca sia la candidata democratica – ha rotto l’accordo con gli Stati Uniti per la riduzione della proliferazione delle armi nucleari bollando come “ostile” il comportamento, della presidenza Obama. Già in precedenza, probabilmente con lo stesso intento, era fallito un altro accordo sulla Siria che tutti (tranne gli Usa) davano per fatto. E, come è ovvio, tutto questo ha creato e continua a creare grande tensione tra i due paesi. Senza dimenticare il presunto attacco russo al sistema dei computer del partito democratico e il successivo rilascio di mail compromettenti a Wikileaks… D’altro canto, era stato Trump in persona a chiedere aiuto a Putin per riuscire a sconfiggere Hillary. Creando un precedente di enorme gravità entro il sistema democratico americano. Nessun candidato alle elezioni presidenziali fino ad ora aveva chiesto al capo di uno stato estero di intromettersi nelle vicende politiche del proprio paese per sconfiggere l’avversario. Una posizione che qui negli Stati Uniti alcuni giornalisti e politici hanno bollato come alto tradimento, ma che in queste elezioni senza regole e fuori dai giochi non ha raccolto alcun interesse nel dibattito generale.
Tra Putin e Trump esistono chiari interessi convergenti. A molti osservatori appaiono sospetti i legami economici che Trump ha intrattenuto e intrattiene con la Russia di Putin. Da quando, infatti, nel 2004 ha dichiarato bancarotta e ha ricevuto il rifiuto a ingenti finanziamenti da parte delle più grosse banche occidentali, Donald Trump si è rivolto a finanzieri russi per i suoi investimenti più importanti. E dunque il tentativo da parte di Putin di avvantaggiare il candidato repubblicano si muove nell’ottica di procurarsi un consenso da parte del futuro presidente che sa già avere un occhio di riguardo nei suoi confronti. Consenso di cui Putin ha estremo bisogno a livello internazionale, non essendo più uno dei punti di riferimento nello scacchiere mondiale, come lo è stata l’Unione Sovietica durante gli anni della Guerra fredda. Il fatto che Putin abbia favorito Trump verrebbe inoltre confermato dall’ipotesi che il leader russo non avrebbe mai potuto ottenere un consenso da parte della candidata democratica in quanto la ha accusa, nella sua veste di Segretario di Stato sotto l’amministrazione Obama, di essersi intromessa pesantemente nelle elezioni russe cercando di influenzarne i risultati. E il tentativo degli hacker russi di entrare nel sistema informatico del partito democratico rappresenterebbe una sorta di pay back. Tra i due, appare evidente, non corre buon sangue e dunque puntare su Trump è apparso più sicuro. E conveniente, dato il risultato! Senza contare, infine, che Trump e Putin condividono lo slogan che punta a un passato remoto di “grandezza” megalomaniaca dei rispettivi paesi. Qualcosa che non esiste più in nessuno dei due.
Paradossalmente, a guardare la complessità delle sfide globali, sembrava di poter dire che, chiunque avesse vinto le elezioni americane, non avrebbe fatto una grande differenza per Putin. Ma allora perché l’uomo forte di Mosca ha avuto tutto questo interesse a intromettersi nelle elezioni americane? Voleva solo avere il vincitore dalla sua parte? Eppure, come ex agente del KGB avrebbe dovuto ricordare che al tempo della guerra fredda nessuno dei grossi papaveri della nomenklatura del PCUS era mai entrato a gamba tesa nelle vicende elettorali di altri stati in maniera così plateale per influenzarne gli esiti. Ma forse il vero motivo è un altro.
La confusione e lo scompiglio che queste elezioni hanno mostrato, le ombre che hanno proiettato sul funzionamento del processo elettorale degli Stati Uniti ne hanno svelato l’inattendibilità e con esso mostrato crepe profonde nell’intera democrazia americana. Ebbene, c’è chi, come Timothy Snyder, professore di Storia a Yale, sostiene che Putin mira a dimostrare che il processo democratico non è altro che un gioco geopolitico. E che perciò è necessario sovvertire lo stesso concetto di democrazia. In ciò, Putin si rifà alle idee di Ivan Ilyin, “il profeta del fascismo russo”, l’ideologo degli anticomunisti Russi bianchi negli anni ’20-’30 del secolo scorso, che ammirava Mussolini e Hitler proprio perché distruggevano la democrazia. Putin segue questo principio indebolendo l’ideale democratico in patria attraverso una sorta di riflesso nello specchio scuro di paesi esteri. E che cosa può aiutare a raggiungere questo obiettivo meglio dell’immagine delle crepe della democrazia americana che per antonomasia, a torto o a ragione, incarna quell’ideale nel mondo attraverso le disfunzioni del processo che regola le sue elezioni?
La prova che Putin è un ammiratore di Ilyin è che lo cita di frequente – perfino nel suo ultimo discorso annuale al popolo russo – che ha fatto rientrare le spoglie dell’ideologo che si trovavano in Svizzera e che ha recuperato il suo intero archivio dal Michigan negli Stati Uniti. Inoltre è stato visto deporre fiori sulla sua tomba moscovita.
«L’intervento della Russia nelle nostre elezioni – scrive Snyder – non è solo guidato dal supporto opportunistico al candidato preferito, Donald Trump, che sostiene la politica estera russa. È anche la proiezione logica della nuova ideologia: la democrazia non è un mezzo per cambiare la leadership in patria, ma un mezzo per indebolire i nemici all’estero. Se si vede la politica allo stesso modo di Ilyin, la ritualizzazione delle elezioni da parte della Russia diviene una virtù e non un vizio. Degradare la democrazia nel mondo è un servizio all’umanità». E Trump con l’aiuto dei suoi surrogate si muove nella stessa direzione, cercando in un modo o nell’altro di dimostrare che esistono delle frodi nel processo elettorale. Ha già affermato più volte che è pieno di falle. E non sarei sorpresa, nel caso perdesse le elezioni, se accusasse Hillary di averle truccate.
«La tecnica di minare la democrazia all’estero – prosegue Snyder – è fatta per generare dubbio là dove c’era certezza. Se le procedure democratiche si trasformano in un simbolo di vergogna, allora le idee democratiche sembreranno discutibili. Così l’America diventerebbe più simile alla Russia, che è un po’ l’idea generale che ha in mente Putin. Se vince le elezioni Trump, la Russia vince. Ma se Trump perde e la gente comincia a dubitare del risultato, la Russia vince lo stesso. Dal punto di vista di Mosca è più facile distruggere l’idea di democrazia ovunque nel mondo che tenere elezioni libere in casa. La Russia apparirà più forte se altri stati seguono il suo esempio, sviluppando una sorta di cinismo verso la democrazia che permetta all’autoritarismo di fiorire. Dall’altro lato potremmo abituarci all’interferenza di paesi esteri, ma dovremmo anche prendere le giuste precauzioni. Non ha più senso effettuare elezioni e regolare la campagna di finanziamento come se tutto ciò non riguardasse anche poteri stranieri ostili. Gli americani hanno mille ragioni per riformare il processo democratico, ma proteggerne l’integrità dovrebbe essere una priorità. Schede cartacee per ogni elettore e campagne di finanziamento pubblico, solo per fare due esempi, avrebbero senso sia per i cittadini sia per il sistema elettorale. Una democrazia più semplice sarebbe più sicura e più esemplare». E forse anche più protetta.