Periscopio (globale)
Italiani a Villerupt
Inizia a Villerupt, la cittadina mineraria nel cuore della Lorena, il tradizionale festival del film italiano. Un'occasione importante per capire qual è lo stato di salute del nostro cinema
Spentisi ormai i riflettori sulla Festa del cinema di Roma, che ai puristi fa spesso storcere il naso, possiamo tornare a richiamare l’attenzione sulla forza discreta della tradizione. A questo proposito, in pochi sanno che in una località sperduta della Lorena, non lontano da Thionville e praticamente addossata al confine con il Lussemburgo, si svolge ogni anno, fin dal 1976, quello che da molti critici è considerato il più importante festival del cinema italiano al di fuori dei confini nazionali, il Festival di Villerupt.
Ridotta oggi a poco meno di diecimila abitanti, la cittadina di Villerupt è stata in passato un centro minerario e siderurgico che attirava masse di immigrati, in gran parte (ma non esclusivamente) italiani. Queste le radici storiche di un festival giunto ormai, con alterne vicende e una sospensione di un biennio (nel 1984-85), alla sua trentanovesima edizione. Rispetto agli esordi, oggi dispone naturalmente di un bacino d’utenza molto più vasto, che va dal resto della Francia a Lussemburgo e a Treviri, in Germania, da dove molti spettatori, non solo di lingua italiana, si spostano per andare a vedere a volte anche film non ancora usciti nelle sale italiane, o usciti e scomparsi subito. Il Festival propone inoltre ogni anno, oltre a pellicole nuove o recenti, una retrospettiva di classici, e ha avuto l’intelligenza di ramificarsi sul territorio, tanto che oggi alla sala del municipio e ai due cinemini di Villerupt se ne aggiungono altri due ad Audun-le-Tiche, un paese vicino, come pure gli schermi di due importanti realtà culturali lussemburghesi, il Centre national de l’audiovisuel a Dudelange e la Kulturfabrik a Esch-sur-Alzette, due cittadine da sempre a forte presenza italiana.
Certo, per dimensioni organizzative, glamour e mezzi dispiegati non siamo a Cannes, Venezia o Berlino, e neanche a Roma; non ci sono tappeti rossi, passerelle e paparazzi, tutte cose che risulterebbero incongrue nel décor di un paesino di operai e minatori, che di quest’origine ha mantenuto nel bene e nel male l’impronta. Ma va comunque rimarcato l’entusiasmo, davvero inalterabile negli anni, tanto degli organizzatori quanto dei volontari, per non parlare di chi si occupa della ristorazione – agli inizi Villerupt non aveva neanche un ristorante – o di entità apparentemente esterne, come la Libreria italiana di Lussemburgo, che va regolarmente in trasferta oltrefrontiera con casse di libri, sul cinema e non solo, per dare un sostegno concreto all’offerta culturale del Festival.
Quest’anno il Festival ruoterà intorno alla figura dello sceneggiatore e ne saranno ospiti alcuni fra i più conosciuti scrittori per il cinema, da Francesca Marciano a Massimo Gaudioso, da Francesco Piccolo a Francesco Bruno. Dalle prime edizioni a oggi, per Villerupt sono del resto passate, dialogando con il pubblico, figure di primo piano del cinema italiano come (per citarne solo alcuni) Comencini, Scola, Sordi, Paolo Taviani, Vancini, Brusati, Magni, Wertmüller, Moretti, Verdone e Rosi, al quale è dedicata la retrospettiva di quest’anno, con l’occasione, quindi, di rivedere film come Salvatore Giuliano, Le mani sulla città, Il caso Mattei, Cristo si è fermato a Eboli, Tre fratelli e Carmen.
L’inaugurazione avverrà oggi, venerdì 28 ottobre e il Festival si svolgerà fino al 13 novembre, giorno in cui, come da tradizione, saranno assegnati i premi. I quali, si tratti di quello del pubblico, della critica o dei giovani, chiamandosi tutti non Oscar o César, ma Amilcar (dal nome di Amilcar Zannoni, lo scultore italo-lorenese che ha creato il primo trofeo), rendono il festival già simpatico a priori. Un altro elemento di simpatia è dato senza dubbio dal prezzo del biglietto, che in altri tempi si sarebbe detto “politico”: andiamo dai quattro euro per i bambini sotto i dodici anni a un massimo di sette per gli adulti.
Al di là dei dettagli organizzativi, quello che colpisce del Festival è la sua assoluta eterodossia rispetto all’idea che normalmente abbiamo di manifestazioni di questo tipo. Quello di Villerupt è infatti un festival che non si autopromuove e che non sembra aver bisogno di (troppa) pubblicità, né diretta né indiretta. Può aver dato un minimo di scandalo, nelle sue varie edizioni, e tuttavia non è stato mai per le mises delle attrici in passerella (che, come già ricordato, non c’è), ma per aver sempre rifuggito qualunque tentazione di autocensura, presentando quindi nella sua selezione – perché un minimo di selezione esiste comunque – tutte le diverse anime del cinema italiano, quello buono, meno buono e decisamente cattivo, e proponendolo per quel che è, con i suoi punti di forza e le sue debolezze.
Se in passato non hanno potuto sottrarsi completamente a qualche investitura politica – quando il Festival è stato percepito di volta in volta come un’arma di riscatto del cinema italiano nei confronti di quello francese, oppure come esempio d’integrazione sociale degli emigrati, o ancora come operazione di multiculturalismo, e via esagerando – oggi gli organizzatori hanno messo correttamente l’accento sulla vera e propria essenza di vetrina e di arricchimento culturale per un pubblico quanto più possibile vario per età, formazione e interessi, da cui poi ciascuno potrà trarre le conclusioni sociopolitiche che vuole.
Per chi è direttamente coinvolto nella produzione di un film, e quindi registi, autori, attori, tecnici, musicisti, credo sia in ogni caso interessante poter valutare l’impatto del proprio lavoro su un pubblico misto, italiano e straniero, in un contesto che non è quello della metropoli o della città di provincia italiana. Inoltre, non dimentichiamo che in molti casi il Festival è anche l’occasione per riproporre e dare una seconda chance a opere che in Italia sono passate inosservate non perché poco valide, ma perché stritolate dai meccanismi distributivi. Non è raro il caso di pellicole premiate a Villerupt che grazie a questo piccolo incentivo hanno poi trovato finalmente la loro strada nel circuito cinematografico nazionale.
Se il cinema non hollywoodiano ha un futuro, esso passa insomma anche per queste manifestazioni: rassegne dalla radice popolare, ma che al tempo stesso non disdegnano di aprirsi ai fermenti culturali di un tempo che scorre fin troppo velocemente.