Ritratto d'artista
Il teatro delle parole
«La scena è il luogo della parola, e la parola si attua in tutte le sue dimensioni solo nella scena. Non sono antitetiche, sono complementari». Scrivere secondo Fabrizio Sinisi
Nome e cognome: Fabrizio Sinisi.
Professione: Drammaturgo.
Età: Ventotto.
Quando nasce la tua passione per la drammaturgia e quando hai deciso di farne un mestiere? Ho iniziato a scrivere poesie e racconti quando avevo otto anni; il tentativo di scrivere per il teatro è nato molto più avanti. Quando ho iniziato a collaborare con la Compagnia Lombardi-Tiezzi ho capito che poteva essere una strada vera, non occasionale.
Il tuo film preferito? Mulholland Drive, di David Lynch.
Il tuo spettacolo teatrale preferito? Prova, di Pascal Rambert.
Qual è l’autore da cui hai imparato di più? Pier Paolo Pasolini.
Il libro sul comodino: Four Quartets di Eliot, lo rileggo periodicamente.
La canzone che ti rappresenta: À ton étoile, dei Noir Désir.
Descrivi il tuo giorno perfetto. Quello in cui succede qualcosa.
Come nascono i tuoi testi e come coniughi l’atto creativo alle esigenze di pubblico e di mercato? Scrivo sulla base di un impulso di tipo poetico: una frase, un’immagine, un’intuizione. Il primo impulso è quasi sempre “puro”. Nello sviluppo poi c’è il dovere di fare i conti con i fattori di pubblico e di mercato, ed è giusto che sia così, perché l’arte o è fatto civile, che avviene dentro una comunità, oppure è un’altra cosa. Peraltro le idee, sottoposte a queste “costrizioni” (durata, numero degli attori, assenza di scenografie, giusto per fare degli esempi), non ne escono mutilate, ma anzi migliorano, perché vengono costrette all’essenzialità.
Strategia di conquista: qual è la tua? Il metodo è imposto dall’oggetto.
Categorie umane che non ti piacciono? Gli arroganti, gli ambiziosi, gli intellettuali, insomma quelli che hanno gli stessi difetti che ho io.
Classifica per sedurre: bellezza, ricchezza, cervello, humour. Ricchezza, humour, bellezza, cervello.
Qual è la tua visione del rapporto scena-parola? La scena è il luogo della parola, e la parola si attua in tutte le sue dimensioni solo nella scena. Non sono antitetiche, sono complementari. La scena permette alla parola di diventare azione, slancio, figura, carne, forma, storia, sangue, pensiero.
Meglio le affinità elettive o l’elogio degli opposti? Affinità elettive.
Hai mai pensato di scrivere anche per la televisione o per il cinema? Per ora no, ma domani chissà.
C‘è qualcosa che rimpiangi di non avere detto a qualcuno? Sì, ma sono ancora in tempo.
Shakespeare, Eduardo o Beckett? Shakespeare.
Qual è il tuo ricordo più caro? La prima volta che ho visto la neve, in un giardino, con mia madre, nel 1993.
E il ricordo più terribile? Il suicidio di un uomo, tre anni fa.
Racconta il tuo ultimo spettacolo: Si chiama Natura morta con attori, regia di Alessandro Machìa, con Alessandro Averone e Federica Sandrini. È una sorta di giallo metafisico, un dialogo tra un assassino di poeti e una giovanissima prostituta nella cui casa l’uomo si rifugia una sera. I due scommettono di provare, per una sera, ad essere totalmente, radicalmente sinceri.
Perché il pubblico dovrebbe venire a vederlo? Perché mette a tema la possibilità della verità tra gli esseri umani. Quindi la possibilità stessa dell’amore, giacché ridotto al suo termine essenziale l’amore è questo: la possibilità di un destino di verità fra due esseri umani.
Il mondo del teatro è veramente corrotto come si dice? Se intendi corrotto da un punto di vista morale, non lo è più di qualsiasi altro ambiente. Da un punto di vista artistico invece lo è, nel senso che invece di contrapporsi ai vizi di pensiero del nostro tempo, spesso li subisce. Non voglio generalizzare, ci sono artisti che fanno un percorso di conoscenza autentico. Pochi. Molti, invece, cedono più o meno volentieri alla pigrizia del pensiero dominante, quello che Manzoni chiamava il “senso comune”.
La cosa a cui nella vita non vorresti mai rinunciare. Il mare.
Quella cosa di te che nessuno ha mai saputo (fino ad ora). Lasciamo che i segreti rimangano tali.
Piatto preferito. Il polpo arrosto.
C’è parità di trattamento nel teatro tra uomini e donne? Certamente le donne sono svantaggiate dal punto di vista del repertorio: le parti di protagonisti maschili sono numericamente molto superiori a quelle femminili. Il che le mette spesso, di fatto, dato il protrarsi di questo stato di cose (prevalenza dei classici di repertorio sulla drammaturgia contemporanea), in una situazione di forzata subalternità.
Quale testo ti sarebbe piaciuto avere scritto. Yerma, di Federico Garcia Lorca.
Chi vorresti dirigesse una tua drammaturgia? Federico Tiezzi, di nuovo.
Hai il potere di formare la squadra attoriale. Chi convocheresti? Dipenderebbe dal testo. Certo se potessi avere nella stessa squadra Franco Branciaroli e Sandro Lombardi, ci metterei la firma.
Cosa accadrebbe all’umanità se il teatro scomparisse? Il teatro è un’attitudine naturale di una comunità civile. Quindi sarebbe una società la cui connotazione più forte sarebbe la solitudine personale e la disgregazione sociale.
Gli alieni ti rapiscono e tu puoi esprimere un solo ultimo desiderio. Quale? Che mi lascino andare.
La frase più romantica che tu abbia scritto. “Era il 1803”.
La frase più commovente che tu abbia scritto. “C’era una luce bella”.
Gli attori dimenticano le battute ed improvvisano facendo perdere il senso di ciò che volevi. Condannati o graziati? Condannati, ovviamente.
Cosa vorresti che il pubblico ricordasse di te? Quello che scrivo, nella misura in cui quello che scrivo possa essere degno di essere ricordato.
Hai mai litigato con un regista o un attore per una questione di interpretazione del personaggio? Con un regista no, perché ho sempre lavorato con registi più intelligenti di me, e quindi mi sono sempre fidato di loro. Con gli attori, invece, mi è successo. In particolare una volta, ma non si trattava di una questione tecnica. Avevo scritto di un personaggio tentato dalla possibilità di perdonare un atto terribile. L’attrice che lo impersonava veniva ad affacciarsi su un vuoto non di tecnica, ma di esperienza: lei, come donna, non avrebbe mai potuto e saputo perdonare. Questo le creava una difficoltà nell’“esperienza del personaggio”. Ma è stata una difficoltà feconda, il teatro serve proprio a spostare la linea della misura sempre un po’ più in là.
Se potessi svegliarti domani con una nuova dote, quale sceglieresti? Uno sfrenato coraggio.
Se potessi scoprire il tuo futuro, cosa vorresti sapere. Niente, sennò che gusto c’è.
Che cosa è troppo serio per scherzarci su? Sono meridionale. La mamma.
La figura europea del dramaturg perché in Italia non è riconosciuta? Perché si è affermata a partire dagli anni Cinquanta una supremazia del regista come demiurgo dello spettacolo. In Germania il dramaturg è figura complementare al regista, e non può essere altrimenti. In Italia invece per decenni la figura del regista ha spesso preso una deriva estremamente autoritaria, rifiutando la presenza di qualsiasi potenziale comprimario. Com’era ovvio, il primo e più tremendo danno è stata – oggi ce ne accorgiamo – la quasi totale scomparsa della drammaturgia contemporanea dai palcoscenici dei teatri stabili, che pure avrebbero un obbligo di tutela della drammaturgia nazionale all’interno degli statuti.
L’ispirazione: come costruisci storie e personaggi? Prendo l’impulso iniziale – ad esempio, un’immagine, o una frase come un tema musicale – e per analogia esploro tutto il resto. Se l’impulso è valido, emerge un archetipo, una storia, un percorso, delle figure.
Cosa ti piace andare a vedere a teatro? Non mi piace chi vuole scandalizzarmi, né chi lavora sull’ovvio (e spesso le due categorie coincidono). Preferisco i lavori che abbiano vera audacia – coraggio, spericolatezza, potenza espressiva.
Parallelamente al tuo percorso artistico, trovi che in questi anni ci sia stata un’evoluzione o un deterioramento del teatro? Dal punto di vista che mi è più vicino, cioè quello della drammaturgia, c’è stata, mi sembra, un’evoluzione, perché c’è una maggior attenzione alla drammaturgia contemporanea, a una lingua e una scrittura del presente. Sempre scarsa, certo; ma quando ho iniziato, nel 2009, era ancora più scarsa. Poi molto dipende da come i soggetti reagiscono alla progressiva mancanza di fondi: lì dove non si è saputo reagire, il teatro si è deteriorato; in certi casi illuminati invece, la crisi di mezzi è stata trasformata in una possibilità, e lì dove aumenta il campo della possibilità c’è sempre un’evoluzione.
Il rapporto con la parola. La interroghi, la ricerchi, la domini o ti fai dominare? Penso, come Auden, che “il poeta che si fa dominare dalla lingua è un minore”. Ci si prova, ma il lavoro è quello, è come lottare con l’angelo, o con una belva feroce.
Cosa è oggi il teatro di sperimentazione? A mio avviso, quello che esplora nuovi percorsi della parola. A lungo nei decenni scorsi la sperimentazione è stata associata all’idea di performance – ciò che è al di sotto, al netto del linguaggio. È una strada che, a mio avviso, ha già detto fino allo sfinimento ciò che aveva da dire. L’aspetto invece poetico, lirico, linguistico associati a un racconto del presente, fino all’infimo della cronaca, è un terreno immenso, con un potenziale espressivo tremendo e ancora quasi tutto inesplorato. Oggi trovo più sperimentale uno spettacolo in cui si parla in versi, o – che so – in italiano del Duecento, che uno dove si fanno mugolii, ruggiti e borborigmi.
La figura del critico ha ancora valore o contano solo il botteghino ed il benvolere del pubblico? Il critico, se è bravo e autorevole, è necessario al percorso di un artista. Un vero critico sa indicare una direzione, offrire un codice di lettura, stabilire un valore, aiutarti a capire dove sei e dove puoi andare. È vero però che critici così in teatro ce ne sono sempre meno. Che poi invece un critico possa determinare la fortuna o la caduta di uno spettacolo, credo che non succeda più, il pubblico segue altre coordinate.
Un testo teatrale può essere equiparato ad un romanzo? Può essere equiparato a un romanzo perché mette in scena una storia, un arco di sviluppo narrativo; ma può essere equiparato anche a una poesia, perché attua una parola performativa e non descrittiva; a un’opera d’arte, perché tende all’icona dell’immagine; a una musica, perché vive anche nella dimensione ritmica, melodica, vocale; a una danza, perché è gioco di corpi; il teatro è l’unico luogo in cui tutte le arti si mettono a fuoco.
Cosa pensi di chi passa direttamente dai talent al palcoscenico? Che è bravo e ha carattere. Si tende a pensare che chi salta la gavetta sia avvantaggiato, ma è un vantaggio che se non sei pronto ti si ritorce contro. La gavetta ti fa procedere gradualmente; l’impatto immediato invece rischia di distruggerti. Se sopravvivono, vuol dire che erano strutturati, e quindi se lo meritano.
Il cinema ha influenzato la tua scrittura teatrale? Un certo cinema, moltissimo; quel cinema antinaturalistico, da Fellini a Bergman a Tarantino, che se scrivesse per il teatro sarebbe il più grande drammaturgo americano.
Com’è lo stato di salute della drammaturgia italiana? È buono, ci sono autori bravissimi. Se il sistema lo consentisse, l’Italia avrebbe una categoria di drammaturghi viventi che in pochi anni potrebbe già essere all’altezza di quella europea. Da quelli già affermati, come Massini o Paravidino o Calamaro, a miei coetanei di grande talento come Aldrovrandi o Guasconi, c’è nella drammaturgia italiana contemporanea una vitalità reale indiscutibile.
Ti viene data la possibilità di presentare tre proposte di legge in materia spettacolo. Cosa proponi? Totale rivalutazione dei parametri per l’attribuzione del finanziamento pubblico e obbligo di destinazione di almeno metà della programmazione degli stabili pubblici alla drammaturgia contemporanea italiana e internazionale. Sarebbe un tentativo, un po’ autoritario e un po’ swiftiano, di arginare quel fenomeno che il critico Porcheddu chiama la Celebrazione del Grande Morto. Ma il vero e profondo cambiamento non verrebbe dal Ministero della Cultura, ma da quello dell’Istruzione: una riforma scolastica che destinasse almeno tre ore settimanali del calendario scolastico al teatro. È imbarazzante che in un paese come l’Italia nelle scuole si faccia soltanto un’ora di educazione musicale, due di educazione artistica, nessuna di teatro, come se l’Italia non avesse una specificità, una vocazione su queste cose. L’educazione è tutto, e la nostra educazione, soprattutto quella statale, è di una miopia tremenda.
Hai un sogno nel cassetto che oggi può aprire. Cosa viene fuori? Scrivere un testo per Lynch o per Mallick.
I soldi fanno la felicità? Non lo so, ma vorrei aver modo di scoprirlo.
Descrivi il tuo rapporto con i social network. Ho un profilo Facebook, che uso con discrezione.
Una critica che più ti ha ferito. Questa estate, una recensione al mio Agamennone. Una critica fatta con pura isteria aggressiva, senza intelligenza, con quell’ironia cattiva con cui i cinici fanno pagare agli altri il prezzo della loro frustrazione.
Il teatro può riuscire ancora a stimolare la passione civile del pubblico in modo attivo? Se non ci riesce, fallisce.
Con i tagli economici alla cultura, secondo te il teatro diventerà un’arte di nicchia, oppure ci sarà una prevalenza di teatro di medio-basso livello o amatoriale? Il teatro di medio-basso livello c’è già, e purtroppo non sempre è quello amatoriale. Credo sia un errore pensare che la qualità sia direttamente proporzionale al denaro. Anzi, io penso – e spero – che la sempre maggior difficoltà di intraprendere una carriera teatrale professionistica possa condurre a un’altissima forma di dilettantismo, cioè di artisti che, proprio in quanto non vincolati a certe costrizioni di mercato e di sopravvivenza, possano impegnarsi in una ricerca che i mezzi del teatro istituzionale tante volte non consente più.
C’è un autore teatrale che secondo te viene poco considerato e che invece andrebbe rivalutato e rappresentato? Thomas Eliot e Federico Garcia Lorca.
Progetti futuri? Insieme al Teatro degli Incamminati stiamo progettando un nuovo soggetto teatrale radicato nella città di Milano, un soggetto che rimetta al centro la nozione di teatro di poesia – di parola come teatro dell’essere umano. Vogliamo creare un giro di attori e di registi con cui lavorare ed entrare in sintonia, un percorso pedagogico, una serie di spettacoli (abbiamo in cantiere una trilogia sul terrorismo islamico, ad esempio) e una programmazione. È un cantiere apertissimo.
Un consiglio a chi voglia intraprendere questo mestiere. Leggere tanto, camminare a lungo e abituarsi a mangiare poco.
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Le fotografie sono di Eddie Daniele Notaristefano, Mattia Scelsi, Sofia Milaz, Marcello Norberth.