La scelta dell'Accademia di Svezia
Il Nobel cantato
Il premio a Bob Dylan riapre la polemica: sono solo canzonette? Anche i lirici greci cantavano i loro versi. Come al solito, dipende tutto dal peso delle parole più che dal loro contesto.
«Ma va’!?»: questo è o sarebbe il più sintetico commento a caldo. Nel giorno della morte del premio Nobel Dario Fo, l’Accademia di Svezia ci fa una flebo di sorpresa: per molti sarà una bestemmia, per altri un tardivo atto di giustizia che incoraggia a trovare nelle canzoni il soffio dell’ars poetica. Il riconoscimento letterario più importante al mondo è stato assegnato a Bob Dylan, americano del Minnesota, 74 anni. All’anagrafe è Robert Allen Zimmerman. Basta con i riferimenti biografici. Lo conoscono tutti. Ma chi davvero conosce bene la sua vita sa che oltre a essere un cantautore è anche scrittore, poeta, scultore. Il nostro Bob, al pari di altri cantanti di spessore non ha mai negato di accarezzare la chitarra ispirandosi ai testi letterari, soprattutto di ispirazione social-politica. Recentemente il nostro ormai cinquantenne Jovanotti ha inglobato nei suoi ultimi testi riferimenti leopardiani. E che dire, poi, dell’americano Bruce Springsteen? E del canadese Leonard Cohen, che anni fa ha ricevuto il premio “Principe delle Asturie” per la Letteratura?
Ci sarà una sovrabbondanza di discussioni e di polemiche. Il tema: una canzone può essere considerata una poesia? Problema già posto, con reazioni diverse. Qualcuno ha insistito sui cosiddetti “ambiti diversi”. Quindi è eretico chi oltrepassa il confine? Magari facendo finta di non ricordare che nell’antica Grecia i poeti recitavano i loro versi al suono della lira. Altri si son messi d’impegno a confrontare testi, ambedue titolati Città vecchia, di Fabrizio de André e Umberto Saba. Accademici e critici se la sono cavata affermando che quello del cantante ligure «è un testo apprezzabile». E dove collochiamo il grande Francesco Guccini (che oltretutto è autore di romanzi)? Non certo nel cerchio della canzonetta commerciale. «Tu chiamale, se vuoi, emozioni», cantò Lucio Battisti. Ecco: l’emozione c’entra nella discussione poesia-canzone. Già nell’ultimo Novecento non mancarono le collaborazioni tra poeti e cantanti, da Pasolini e Sergio Endrigo (per Il soldato di Napoleone) fino a Roberto Roversi e Lucio Dalla. Alla pari del Jovanotti del nuovo millennio, alcuni cantautori hanno meditato e creato sul solco della letteratura “alta”, con citazioni e inframezzi testuali.
Francesco Ciabattoni, docente universitario e autore del recentissimo La citazione è sintomo d’amore (Carocci editore) analizza con un rigore spiazzante alcune canzoni di famosi cantautori incrociando le opere in musica con la tradizione poetica più alta. «Un esempio: Guccini cita volentieri “frammenti di versi, menziona i nomi dei poeti o li evoca con perifrasi”. E ancora: la famosa canzone di Lucio Dalla, Dio è morto, afferra alcuni elementi dalla traduzione italiana di Urlo di Ginsberg proponendo lo stesso attacco della poesia: “Ho visto”. Ne L’isola non trovata, invece, fa una scelta che determina una differenza sostanziale rispetto all’opera di Gozzano per il quale “l’isola esiste indubbiamente, mentre nella canzone di Guccini è un miraggio sfuggente che non si può raggiungere in quanto nessuno sa se c’è davvero».
Claudio Baglioni – e chi l’avrebbe detto? – ha sfruttato questo innesto appropriandosi del tessuto testuale da Pasolini, Garcia Marquez, Elsa Morante e Mario Luzi. E a proposito del fiorentino Luzi, mi viene da citare alcuni suoi versi:
«Ma tu continua e perditi, mia vita,
per le rosse città dei cani afosi
convessi sopra i fiumi arsi dal vento.
Le danzatrici scuotono l’oriente
appassionato, effondono i metalli
del sole le veementi baiadere».
Forse il mio è un azzardo, ma se non rivelo che l’autore è Luzi, qualcuno potrebbe pensare, nella giostra degli indovinelli, a Franco Battiato o a Paolo Conte…
Raccontava Fabrizio de André: «Nel 1991 il mio amico Vittorio Bo mi regalò un romanzo di Alvaro Mutis, La neve dell’ammiraglio, che trovai semplicemente straordinario. Allora cominciai a divorare tutti gli altri suoi scritti, e quando arrivai alla raccolta di poesie Summa di Maqroll. Il Gabbiere, presi il coraggio a quattro mani: gli domandai se avesse nulla in contrario a che mi appropriassi di qualche pezzo pregiato della sua sterminata gioielleria per incastonarlo in una canzone che avevo in mente. In questo modo è nata Smisurata preghiera, e devo confessare che mai parto fu tanto soddisfacente».
Facciamo un gioco con un altro testo:
«Poi penso che t’amo no anzi che strazio
Che ozio nella tournée
di mai più tornare
nell’intronata routine
del cantar leggero
l’amore sul serio
E scrivi
Che non esisto quaggiù
che sono
l’inganno
Sinceramente non tuo
(sinceramente non tuo) …».
Domanda, che magari risulta irritante od odiosa: chi l’ha scritto? S’intitola Don Giovanni, e l’autore è Lucio Battisti. Anzi, il suo paroliere dell’epoca: Pasquale Panella.
Una studiosa italiana di cui non ricordo il nome e mi dispiace, ha recentemente affrontato il paragone canzoni-poesie: «Oggi viviamo immersi nella musica, che è ovunque. La musica è molto importante, soprattutto per i giovani; oggi, le canzoni hanno sostituito le poesie, e in esse troviamo temi profondi, come ad esempio l’amore, nei quali i giovani si rispecchiano. Tuttavia, vi sono elementi che accomunano canzone e poesia, e altri che le distinguono. La prima affinità è l’intreccio tra parole e musica (le vecchie liriche greche erano dette così perché accompagnate dalla lira). Altra affinità è il fatto che entrambe utilizzano tecniche ed artifici propri del testo letterario (rime, figure retoriche, ecc.). Ma mentre nella poesia il testo è fondamentale, nella canzone esso è al servizio della musica. Le differenze sono invece le seguenti. La prima, è che la canzone trasmette un messaggio univoco, privo dell’ambiguità propria della poesia. La seconda, riguarda il pubblico: la canzone è ascoltata da tutti, mentre la poesia è seguita da un pubblico adulto di livello culturale medio-alto».
Mi permetto di dissentire su alcuni punti: anche in una canzone il testo può risultare essenziale; anche in una canzone certi versi sono segnati dall’ambiguità, a meno di esaminare solo le canzoni più orecchiabili, più banali, più “furbe”. Quanto ai destinatari – divisione tra giovani e persone “mature e colte” – mi sembra un errore cercare il valore di alcune frasi avendo come stella polare il destinatario. Al pubblico arriva di tutto: robaccia e alta qualità. In quale forma? Poesia o canzone? Facciamo uno sforzo: riflettiamo sul contenuto. E se questo è in lingua inglese o spagnola, ebbene, traduciamolo. Le sorprese non mancano. Bob Dylan è una di queste sorprese.
Per chi intendesse, al di là di ogni pregiudizio o polemica, conoscere gli scritti del neo-premio Nobel, consiglio un recentissimo libro dell’editore Odoya, Bob Dylan, scritto da Greil Marcus.