Addio a Dario Fo
Il giullare fluttuante
Attore, regista, drammaturgo, scenografo, illustratore. Da molti punti di vista si può ricordare l’artista scomparso oggi all’età di 90 anni. Anche per il suo dissentire politico oscillante e per il discusso Premio Nobel alla Letteratura nel ‘97
Dario Fo è morto, all’età di novant’anni, presso l’ospedale Luigi Sacco di Milano, nel quale era ricoverato da alcuni giorni per problemi respiratori. Poche settimane fa aveva presentato il suo ultimo libro, Darwin (Chiarelettere), dedicato al padre dell’evoluzionismo. In estate, nel Palazzo del Turismo a Cesenatico, il riparo creativo condiviso con la moglie Franca Rame, l’artista di Sangiano aveva esposto dipinti, bassorilievi, sculture e pupi, da lui realizzati e intimamente connessi ai testi di Darwin. La notizia è stata una sorpresa che ha addolorato molti esponenti della cultura e della politica italiana.
È veramente difficile restituire un profilo esauriente di Dario Fo: attore, regista, drammaturgo (ha scritto moltissime piecès), scenografo, illustratore. Nell’ottobre del 1969, a La Spezia, portò per la prima volta in teatro, con grande successo, il Mistero buffo, forse il suo capolavoro. Unico attore in scena, Fo interpretava un’ingegnosa rielaborazione di testi antichi in grammelot, traendone una satira piacevole e caustica al contempo. Il grammelot, idioma d’arte che si rifà alle improvvisazioni giullaresche e agli stilemi della Commedia dell’Arte, è costituito da catene di suoni che imitano il ritmo e l’intonazione di una o più lingue reali con intenti, naturalmente, parodici. Fra gli aspetti peculiari che la critica riconosce all’opera di Fo emergono l’anticonformismo, l’anticlericalismo e, più in generale, l’esercizio di una vigorosa critica sociale (talora ondeggiante), che si rivolge alle istituzioni e alla morale comune per scardinarle dal loro interno.
La sua costante opposizione al potere costituito rende Fo un artista “scomodo”, senza che si mostri mai completamente dissidente. Oppositore degli intellettuali “organici”, chiusi a riccio nell’imperativo di serbare l’egemonia culturale preesistente o di crearne una alternativa, l’autore de Lu santo jullare Francesco ha da sempre mantenuto la sua identità sgusciante, mutevole, camaleontica di attore, che interpreta il sentimento del popolo e vive al suo servizio, condividendone il senso di rinnovamento delle proprie credenze. Già nel ’62 scriveva profeticamente: «Gli autori negano che io sia un autore. Gli attori negano che io sia un attore. Gli autori dicono: tu sei un attore che fa l’autore. Gli attori dicono: tu sei un autore che fa l’attore. Nessuno mi vuole nella sua categoria. Mi tollerano solo gli scenografi». Una caratteristica fondamentale di Fo è stata proprio l’oscillazione tra i campi, che lo ha portato politicamente a manifestare il proprio appoggio alla lista Rivoluzione civile di Antonio Ingroia, per le politiche del 2013, e al Movimento 5 Stelle: con Grillo e Casaleggio ha scritto anche il libro Il Grillo canta sempre al tramonto. Dialogo sull’Italia e il Movimento 5 Stelle (Chiarelettere).
Il conferimento del Nobel nel ’97 lasciò perplessa parte dell’intellighenzia italiana. La scelta di Fo da parte dell’Accademia prese in contropiede le molte voci autorevoli della nostra cultura che, da decenni, sostenevano la candidatura di Mario Luzi. Si assistette allora, come oggi nel caso di Dylan (anche se non così apertamente), a un vero e proprio allargamento del concetto di letteratura, con ripercussioni dal sapore “pop”: un attore-autore dalla potentissima espressività, un «giullare» – come è stato molto opportunamente definito – trascinatore di folle, fu decorato della più alta onorificenza nel campo delle lettere, a scapito del massimo poeta allora vivente, Luzi appunto, capace non solo di inanellare versi indimenticabili, ma di esibire un’imponente produzione teoretico-saggistica, che lo introduce di diritto nel gotha della poesia italiana di ogni tempo, assieme a Dante, Petrarca, Tasso, Leopardi e Montale. La motivazione del conferimento del Nobel fu, tuttavia, giusta: «Perché, seguendo la tradizione dei giullari medioevali, dileggia il potere restituendo la dignità agli oppressi». Ma a Luzi rimase un’amarezza “politica”, che ancora adesso è oggetto di discussione.
In questo giorno piovoso di metà ottobre, affratellati da una coincidenza notevole, il menestrello e il giullare se ne vanno insieme, a braccetto, verso la cultura popolare, che li osanna e vince e sembra riappropriarsi dell’origine della letteratura nella performance di aedi, interpreti di un testo fluttuante. Sono dunque premiati gli esecutori di un’opera, il loro metodo di esecuzione che si riveste di forme non puramente letterarie. Non gli scrittori stricto sensu. Ciò che è detto coincide con il come viene detto. C’è da aggiungere, però, che dietro ai cantori dell’antica Grecia troneggiava l’enorme dimensione religiosa del mito che a noi, nell’annacquata modernità del tempo odierno, drammaticamente manca.