Consigli per gli acquisti
Donna coraggio
La bella biografia di Charlotte Brontë, femminista vittoriana, l’indagine su Re Davide, il romanzo di Floris e quello di Balzano. E aspettando il vicequestore Rocco Schiavone in tv non perdetevi l’ultima avventura (al passato) raccontanta da Antonio Manzini
Il duello – Ai posti alti della classifica dei libri più venduti continua la gara tra due autori della Sellerio. E dal prossimo novembre il duello sarà anche televisivo. Gli sfidanti sono Andrea Camilleri (ho già segnalato il suo recente poliziesco con il commissario Montalbano) e Antonio Manzini, giallista romano il cui ultimo libro, 7-7-2007 (367 pagine, 14 euro), intesse una trama ben congegnata, ma insieme fa riferimento al rapporto tenerissimo e travagliato del vicequestore Rocco Schiavone con la moglie Marina (che lo definiva «bestione irrisolto») e alla sua misteriosa morte.
La trama non si dipana più ad Aosta, città dove il vicequestore sarà poi “esiliato”, ma a Roma. Manzini, uomo mite e colto, ha creato un personaggio che spesso, con la sua spacconeria e con il suo gratuito turpiloquio, appare insieme divertente e irritante. Manzini però gestisce bene i grovigli sia delle indagini sia delle dinamiche interiori del poliziotto, con un linguaggio svelto, talvolta elegante pur con passi un po’ scontati. Nel libro in questione, Schiavone indaga sulla morte di due ventenni, in circostanze molto strane e in luoghi distanti. Si conoscevano, uno era bravo all’università e l’altro era fannullone. Non rivelo altro, ovviamente. In novembre sugli schermi Rai vedremo il burbero Rocco interpretato dal bravo attore Marco Giallini (affiancato da Isabella Ragonese). Qualcuno l’ha già soprannominato “il Montalbano delle Alpi”. Sarà impresa ardua fidelizzare il grande pubblico innamorato di Montalbano, l’erede più autentico del grande Maigret.
Amicizia – Con un romanzo che non ha avuto finora grande fortuna di vendite come ci si aspettava (peccato), l’ottimo giornalista televisivo Giovanni Floris, romano di nascita ma sardo di origini, racconta la stramba avventura del “trio” Raffaele, Giuseppe e Sandro: creare una squadra di calcio di Pratixedda Inferru, paese dell’aspra zona dell’Olgiastra. L’ambizione è quella di vincere la Coppa Sarda. E il clima umano della regione viene bene disegnato nel romanzo La prima regola degli Shardan (Feltrinelli, 333 pagine, 18 euro). Fino alla partenza da Roma, i poco più che trentenni sono sfiancati da una vita che considerano per metà irrisolta e per metà insignificante. È un problema generazionale, inevitabilmente attuale. Tra questi c’è anche un giornalista vip, molto noto al pubblico, ma stanco di intervistare i politici. Il calcio, passione giovanile, è quello che coagula la vecchia amicizia. A Pratixedda Inferru c’è il sindaco, uomo corrotto e milionario, privo di scrupoli. Quando era al liceo con i ragazzi romani subiva angherie, addirittura veniva chiamato “il merda”. Inizia così quella che Floris definisce “una commedia alla sarda”. La sgangherata squadra di calcio, che oltretutto ha come giocatore di fascia uno zoppo, s’arrabatta come può. Ma dietro l’avventura col pallone c’è lo sforzo di recuperare un’esistenza che abbia un senso vero. Floris si sofferma su considerazioni amare: «Le cose che devono succedere lo fanno entro i primi 20/25 anni. Poi il resto della tua esistenza lo gestisci, ma il materiale è quello. O si rimane se stessi o si cerca di andare all’estremo opposto per reazione». E poi un ritratto spietato di chi reagisce, spesso in modo grottesco, agli anni che passano.
Sovrano – La Bibbia è ricca di eventi tragici, ma raramente entra negli intimi conflitti dei protagonisti. Re Davide di Israele ha le caratteristiche di un gigante letterario. La scrittrice australiana Geraldine Brooks lo rende protagonista di un incalzante romanzo storico (L’armonia segreta, Neri Pozza, 301 pagine, 18 euro). A raccontare la storia di Davide è Natan, che predice al guerriero la sovranità. Natan è stato risparmiato da Davide, autore di numerose carneficine. Sì, perché Davide è spietato, è uno sgozzatore, è un conquistatore di terre e persone. In lui convivono amore e odio, passioni carnali (ha un suo personale harem) e gelosie. Fatale sarà la sfrenata pulsione verso Betsabea: Davide vedrà morire l’amatissimo figlio e non potrà, per volontà divina, costruire il Tempio. L’autrice indaga meticolosamente in questa materia sacra, dandole il soffio dell’umanità. Sullo sfondo tanti personaggi( per esempio Saul) e tante battaglie.
Donne – C’è una foto in cui si vede una piccola e triste villetta a schiera di Manchester. Proprio lì Charlotte Brontë (quest’anno ricorre il bicentenario della sua nascita) trascorse, nell’agosto del 1846 (aveva 30 anni), un periodo infelice. Suo padre fu operato a un occhio, senza anestesia, e il medico gli ordinò “totale privazione della luce”. In quei mesi la Brontë iniziò a scrivere il suo capolavoro, Jane Eyre. Luce, buio: elementi essenziali nella sua biografia, proposta dall’editore Fazi (Charlotte Brontë, Una vita appassionata, 420 pagine, 18 euro). L’ha scritta Lyndall Gordon (Città del Capo, 1941), ora docente a Oxford. Charlotte venne spesso rappresentata come un mito silenzioso. In realtà, pur dietro certe maschere (suoi personaggi compresi), aveva una voce forte. Così tanto da irritare la cornice vittoriana della sua epoca che intendeva incastrare le donne nella modestia e nella discrezione, altrimenti addio alla rispettabilità. Zitte, insomma. Charlotte sapeva di andare contro. A vent’anni affermò: «Volevo parlare, crescere, ed era impossibile». Eppure “si elevò”, a dar retta a una delle sue eroine, Lucy Snowe. Nel 1847 parlò in pubblico e quel pubblico dubitò addirittura che quelle parole provenissero dalla bocca di una donna. Parole che nei suoi libri diventano fiamme. Lei scelse l’anonimato e ricorse allo pseudonimo Currer Bell. Molti lettori la consideravano “volgare”. Ma lei continuava. In quell’ombra di Manchester. Continuò a fare la maestra. E per sfida, un giorno si mise a scrivere a occhi chiusi davanti ai suoi allievi. Anni dopo confidò al suo editor il desiderio di «camminare senza essere vista».
Sud – Raffinato è il romanzo di Marco Balzano (nato a Milano nel 1978) intitolato Il figlio del figlio (Sellerio, 187 pagine, 13 euro). È la storia del viaggio che un nonno, un figlio e un nipote (si è laureato e cerca di insegnare: nota dolentemente attuale) intraprendono da Milano alla natia Barletta. Il quesito che regge l’impalcatura dialettica e ambientale è se vendere o no la loro vecchia casa pugliese. L’io narrante è il nipote Nicola, che non è mai riuscito a dialogare veramente con il padre Riccardo, mentre, fin da piccolo, ha avuto una commovente e forte intesa con nonno Leonardo. Contenti quando raggiungono Barletta? Non proprio: la città si è trasformata, e non sempre in meglio. Per nonno Leonardo è doloroso sapere che moltissimi ‘mbà (compari) non ci sono più. Fra i tre ci sono litigi, che fanno emergere diversi modi di vedere e affrontare la vita. Nel racconto di Balzano ci sono paragrafi eccellenti. Parlando del nonno, Nicola pensa: «Quando uno se n’è andato, uno come nonno Leonardo, si ripresenta d’improvviso alla loro vita immobile, le sentinelle non trovano nei loro occhi assenti quella sveltezza d’animo che serve per riconoscere strati di tempo consunto». E ancora: « Ruggine degli ingranaggi addetti alla conservazione della memoria. Ecco, in questo camminare straniero del nonno, in questo sì che mi riconoscevo anch’io». Una cosa fondamentale cambierà dopo questo viaggio: padre e figlio finalmente cominciano a parlarsi.