Roberto Mussapi
Every beat of my heart, la poesia

Danza di vita e morte

È in uscita in questi giorni uno dei più bei libri di poesia italiana degli ultimi tempi, “Il dolore” di Alberto Toni. Da cui sono tratti i versi qui commentati. Che raccontano di una trota e del mito primigenio della nostra dolorosa eppur vitale recita nel mondo

Lungo il Sangro è una perla in un libro che sta uscendo in questi giorni, Il dolore, di Alberto Toni (Samuele Editore). Titolo coraggioso, dato che suona identico a quello di un capolavoro di Ungaretti. Titolo necessario, quindi, per l’autore. Autore di un libro ancor più necessario: Alberto Toni, uno dei poeti significativi del panorama nazionale, qui scrive un’opera poetica bellissima. Impeccabilmente calibrata e pulsante: poesia fredda nell’osservazione fissa dell’occhio, calda nel sangue che pulsa: alla Seamus Heaney. Miti impercettibili scoperti nel divenire quotidiano, mai minimo e tanto meno minimalista, ma osservato nel piccolo, nel dettaglio, come in un film del primo Wenders.
La poesia contemporanea conosce il ritorno all’epopea delle origini, alla nascita dalle acque, e quindi il legame con l’archetipo degli animali marini, Moby Dick. L’anguilla di Montale ritrova vita e passato immemoriale in quel guizzo vivente e acquatico, l’opposto della fossilizzazione del mare in Ossi di Seppia. L’anguilla di Heaney è ancora più potentemente vitale nelle sue risalite nella corrente: qui Toni, in questa scia di vita riscoperta nell’acqua, nell’elemento dell’origine, coglie e mette in scienza la danza di vita e morte della trota, il mito primigenio della nostra dolorosa eppur vitale recita, stoicamente e irriducibilmente, nel mondo.
“Offuscamento e male”, certo il mal di vivere incontrato, ma con lo sguardo simile a quello di Luzi dai ponti, felice nell’ebbrezza del flusso delle acque. Uno dei più bei libri di poesia italiana degli ultimi tempi.

 

alberto-toni

Lungo il Sangro

Dal Sangro mi diparto e nuota,

lei, la trota sannita

e s’annida al temporale, sfida il grigio

e il verde, mentre l’acqua, il riverbero

di fibule sotterra il tempo antico e

quanto resta. Ma poi oltre il chietino

giunta al Capestrano illustre che non teme

i secoli, ah, quanto per la lingua distrutta

degli avi, lei non teme le nostre sorprese

contemporanee e lascia soltanto un filo

nel percorso, spiazza in controtendenza

la lenza del pescatore ignaro e poco furbo.

Temiamo per la sepoltura e intanto un grido

s’alza dai secoli, quel molto, deciso, a dispetto

di me. La trota

che s’inerpica nel grigiorosa tra i sassi

e poi scompare. Come una spada, una lancia

museale, viva e sembiante, un po’ in ombra,

ma eccola al raggio e alla pioggia sopravvive,

rinasce di giorno in giorno, smilza che fugge

e scrive la storia antica. Fuori, la cinta funeraria

è spezzata, si incrina, al passo

dei tratturi e dei sassi bagnati. Se dalla

fugacità rapita noi non proviamo gioia, eccolo

il turbinello della mente, il basso

che ci pesa al cuore, lapsus, offuscamento e male.

Alberto Toni
(Da “Il dolore”, Samuele Editore)

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