Itinerari per un giorno di festa
Armonie coreane
Ha scelto la Città eterna la Corea del Sud per aprire il suo Istituto culturale in Italia. Un sapiente mix di tradizione e tecnologia, con elementi di arte contemporanea (le sculture di Park Eun-Sun), cucina, arti marziali, cinema e musica. Graditi i visitatori …
Un gong diventa un enorme campanello d’ingresso. Si batte un colpo, vibrano i suoni ed eccoci con tre passi nell’estremo oriente. La Corea (del Sud) è vicina. A Roma è stato appena inaugurato l’Istituto culturale coreano, il trentunesimo del mondo, il più grande in Europa. È un altro segno della K-wave che si coniuga attraverso lo scambio emotivo e intellettuale con l’Italia dopo esserlo stato a livello tecnologico con gli osannati Samsung, con l’invasione di automobili Kia e Hyundai, con la mania, nelle palestre, del taekwondo. Così – mentre il segretario generale dell’Onu Ban Ki Moon si appresta a ritornare in patria per la fine del mandato (e si fa consistente l’ipotesi che si candidi alla presidenza del suo Paese nelle elezioni dell’anno prossimo) e mentre in casa Samsung si assorbe il flop “incendiario” del Galaxy Note 7 – Seoul, quarta economia dell’Asia, prosegue a grandi passi nell’“offensiva” della promozione culturale.
Ecco allora l’Istituto Culturale Coreano. «Roma ha vinto la sfida con Milano, perché è la capitale e perché qui pulsa l’arte», dice l’ambasciatore della Repubblica di Corea Yong-joon Lee. E nella Città Eterna – che evidentemente continua a conservare il suo fascino nonostante l’inarrestabile degrado aggravato ora dalla raggite – una elegante palazzina liberty che affaccia il suo terrazzo al piano nobile su Porta Pia è stata acquistata, restaurata e aperta ai romani per «creare armonia con la cultura italiana», sottolinea Soo Myoung Lee, direttore del neoistituto.
Armonia. È proprio ciò che intriga di questi sudcoreani, sereni, pacati, sorridenti, ironici, giovani e giovanilistici, apparentemente dimentichi dei 4 milioni di morti generati dall’invasione operata dalla Corea del Nord e, prima, della dominazione giapponese. Intriga il miscuglio tra arte e tecnologia, tra tradizioni e futuro. All’Istituto Culturale Coreano si tocca con mano. Nelle sale al piano terra c’è la ricostruzione di una dimora tradizionale – tavolini bassi, cuscini sistemati sul pavimento al posto di sedie, luci da lampade di carta – ma anche una serie di schermi Samsung (lo sponsor insieme con LG) che permettono al visitatore esercizi di realtà virtuale: può entrare con la sua immagine nei musei più famosi del Paese, può stampare in tempo reale la sua foto sullo sfondo di paesaggi coreani, di film, di attori. L’alfabeto a ideogrammi è spiegato in clip e in un grande pannello nel quale inserire lettere e parole. La Storia è raccontata grazie a un percorso espositivo diacronico che parte dal 2300 avanti Cristo con un reperto dell’età del ferro, passa attraverso il regno di Shilla (668 dopo Cristo) con coppe sulle quali sono scolpiti dignitari e animali, le dinastie Goryeo e Joseon (in mostra un lungo foglio di carta pregiata miniato con un corteo nuziale) fino al giogo nipponico, dal 1910 alla fine della Seconda guerra mondiale.
Del villino liberty (l’ingresso è in via Nomentana 12) si sono conservati all’interno – d’accordo con la Sovrintendenza capitolina – la scala intarsiata in legno scuro e parti di soffitto. Restano, negli spazi tutti bianchi, le cornici in stucco neoclassiche. Ma dentro sono stati affrescati fiori orientali, peonie, magnolie, a completare la liaison oriente-occidente. Altrove irrompe la contemporaneità. Per esempio con la mostra allestita al primo piano fino al 18 novembre. Si intitola Fare è pensare è fare, è stata presentata alla Triennale di Milano ed espone oggetti di design artigianale coreano. Che usa materiali “vivi” come legno, carta o ceramica e li unisce al metallo. Una geometrica brocca usa l’ottone argentato, una tinozza è fatta di lega e quercia, una chaise loungue è nello scuro grigio di una rete metallica, la “Poltrona Haze” di quattro squillanti colori di resina sintetica, vasi grandi come otri sono composti di minuscoli tasselli di ceramica, lo stesso materiale modellato finemente ne crea a forma di corolla che si schiude.
Che cosa si può fare all’Istituto Culturale Coreano? Leggere (biblioteca ora fornita di 2 mila titoli), vedere film o dvd (attivo un servizio prestiti), assistere a spettacoli, seguire i corsi che partiranno a inizio 2017, tutti gratuiti. Lingua coreana, arti marziali, percussioni. E ancora calligrafia (a proposito, in calligrafia l’artista Kim Jung-Nam ha dipinto su due pareti, uno di fronte all’altra, un Colosseo formato dalle parole della Divina Commedia e una porta coreana formata dagli ideogrammi del documento storico nel quale si introdusse l’alfabeto) e gastronomia, con la guida di chef stellati che insegneranno in una avveniristica cucina. Nella dependance, proprio sopra la cucina, verranno ospitati artisti italiani e stranieri che possano elaborare nuovi progetti. Nel giardino pensile, ancora esposizioni all’aperto. Ora ci sono le sculture in marmo e in granito di Park Eun-Sun (nella foto), che da 12 anni si è trasferito in Toscana, a Pietrasanta, e che ha esposto l’altr’anno le sue opere più monumentali ai Mercati di Traiano.
La sala teatro è stata inaugurata il 26 ottobre con un’antologia degli spettacoli che verranno in futuro ospitati. Anche in questo caso entra la contemporaneità con il K-Pop, una produzione musicale impostasi nel mainstream internazionale. O la break dance. Che poi cedono il passo al Sain Nori, canto e musica sciamanica basata su improvvisazioni e suonata da strumenti orientali a percussione, a fiato e a corde. Già questa sera, alle 20, l’Istituto apre le porte al pubblico con la cantante Kang Hyo Ju che sarà accompagnata dal daegum, dall’ajeng, dal flauto coreano e con la performance hip-hop dei giovanissimi Grambirez Grew. Dal 21 al 26 novembre, poi, la Korean Week che porterà per la prima volta in Italia aspetti dell’universo (e dell’imprenditoria) coreano: con cuochi, atleti di taekwondo, esperti di make up (quello di Seoul è famoso per “creare donne che non invecchiano mai”), musicisti di jazz e cultori dell’hanji, la carta coreana realizzata con la corteggia di gelso.
Nel giardino di via Nomentana sventolano il Tricolore italiano e il cerchio rosso e blu della bandiera coreana. Si può andare altrove restando qui (www.culturacorea.it e info@culturacorea.it).