Pier Mario Fasanotti
Ricordo dello scrittore scomparso

Nostalgia di Rea

Ermanno Rea, appena scomparso, lascia dietro di sé il segno di una letteratura civile che non ha mai smesso di indagare il mistero (individuale e sociale) della nostra Italia

Ricordare lo scrittore Ermanno Rea, morto la notte scorsa, significa anche provare delusione se facciamo il punto sui suoi successori. Magari frettolosamente, mi viene da pensare che i narratori di oggi, tra i 40 e i 60 anni, non sono all’altezza di chi li ha preceduti. Fuochi fatui? Forse. Ma, si sa, la storia (compresa quella letteraria) non è mai lineare. Tra una generazione e l’altra sono frequenti buchi e silenzi, colmati da opere assai mediocri, anche se, secondo il marketing editoriale, “gradevoli” o “altamente leggibili” (che oggi è parola d’ordine di decine di editor). A proposito delle pagine scritte, Rea amava ripetere che «i buoni libri moltiplicano la tua vita». Questa frase io la ingrandirei per collocarla sugli autobus, sui treni (dove nessuno legge) o più semplicemente all’entrata del Salone di Torino e della neonata e furbesca iniziativa milanese.

napoli-rea3Uno dei capolavori dello scrittore napoletano – che lasciò il Golfo prima per Milano e poi per Roma (dove è morto) – è Mistero Napoletano, uscito nel 1995 per Einaudi e poi Feltrinelli. Rea tornò a Napoli, non tanto per corteggiare il genere poliziesco, quanto per dare risposte, umane e politico-sociali, al suicidio della sua amica Francesca Spada, redattrice culturale de l’Unità. In esso, che ha una struttura concentrica, l’autore procede lungo il cammino di anni di radicali trasformazioni, sia per Napoli sia per l’Italia. Come fondale narrativo c’è una Napoli scossa dalla guerra fredda (il porto era presidiato da navi americane). Rea va a ritroso, descrive fatti di trent’anni prima. La sua vocazione al romanzo “civile” non lo abbandonò mai. Basti pensare a La dismissione. Per la Feltrinelli, nel 2014, uscì Il caso Piegari, un’altra storia di sconfitta. Del resto Rea era attratto da personaggi che “non ce la fecero” oppure scomparvero, come l’economista Federico Caffè.

Affermò un giorno: «Detesto quelli che vincono, al pari dei sopraffattori, dei mascalzoni, dei corrotti… le persone sensibili e gentili, magari dotati di un’intelligenza fragile, sono quasi sempre destinate a essere sopraffatte». Sin da ragazzo, raccontò, in lui c’era il bisogno di sentire che la giustizia fosse in qualche modo rintracciabile, che non tutto si svolgeva allo stesso modo e sotto lo stesso segno. Nel contempo ebbe a dire in un’intervista che il lato più detestabile degli italiani consiste nel dire sempre sì, nell’accondiscendere il potere, nell’essere addirittura infatuati verso chi ci comanda. Nelle sue orecchie c’era sempre il grandioso “no” pronunciato da Giordano Bruno, mandato al rogo nel 1600.

napoli-rea1Rea vinse il Premio Viareggio con Mistero napoletano, il Premio Campiello con Fuochi fiammanti e fu finalista al Premio Strega, con Napoli Ferrovia. Non fu mai spocchioso o vanaglorioso, anzi era riservato e, per usare le sua stesse parole, di facciata scorbutica. Il suo viso intenso racchiudeva un’anima fatta di rigore, ironia, luminosità e cupezza. Nel romanzo Fabbrica dell’obbedienza compare il tema del riscatto, mai accantonato nei suoi scritti. Lasciò la sua città natale per andare a Milano, dove descrisse il paesaggio del Po, non limitandosi alle sue fantasmagorie nebbiose e stregonesche, ma indagando sulle persone degli argini (Il Po si racconta. Uomini donne paesi e città di una Padania sconosciuta, Gambero Rosso nel 1990 e Il Saggiatore nel 1996). Ebbe una feconda parentesi a Berlino, dove si cimentò, con successo, come fotografo. Tra le sue non poche attività c’è da includere anche il giornalismo, abbandonato nel 1959 (era all’Unità, dove affiancò la fronda anti-staliniana). Sul mestiere di reporter (andò anche nel mezzo del conflitto del Kippur) manifestò poi un’accesa e ragionatissima disillusione: «…dopo la televisione, che ha contaminato il giornalismo con elementi di spettacolarizzazione, di sensazionalismo… ecco, da quel momento l’informazione è iniziata a diventare ingannevole… quanti tra i virgolettati di oggi sono puro arbitrio del cronista? Senza alcun fondamento etico». Frase dalla quale traspare quello che fu l’augurio per il riscatto partenopeo: «C’era bisogno di un po’ di giacobinismo».

napoli-rea2Parole dure ebbe su Napoli: « Un tempo esisteva una borghesia illuminata che ha avuto un ruolo fondamentale nella maturazione di esempi di grande rilievo civile, tra i quali il Gruppo Gramsci. La sua quasi scomparsa ha lasciato spazio alle mosse di una classe dirigente perversa. Questo depauperamento antropologico, l’osteggiamento dei focolai intellettuali, è alla base dei molti mali della città». Che si poteva e si può fare? Diagnosi di Rea: la vera unità d’Italia. E ancora: «Ci siamo lasciati andare, ci siamo rifugiati in un presunto spirito di tolleranza. Ma alla fine, per seguire questa strada, le parole perdono di significato, niente significa più “niente”». Come Elio Vittorini che lasciò la Sicilia per Milano, Ermanno Rea, alla domanda se avesse nostalgia di Napoli rispose: «Sì e no. La verità è che stiamo rinnegando tutto…mi sento spaesato… Cosa mi lega al passato? Più nulla. I fili sono stati recisi».

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Le fotografie sono di Ermanno Rea

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