Storie dal Festivaletterature di Mantova
Le favole fanno bene
Andrea Satta, pediatra e musicista, ha raccolto le favole delle mamme dei bambini che ha in cura. E ne ha fatto un piccolo universo di storie multicolori da tutto il mondo
Chi la sa questa favole? C’era una volta… C’era una volta, e c’è ancora, un pediatra bizzarro dalla doppia vita. Si chiama Andrea Satta, di giorno cura i bambini, di sera fa il cantante di una formazione molto conosciuta, Têtes de Bois. Forse perché la mamma, la sera, gli leggeva i “Promessi sposi” da grande si è appassionato alle favole. Ecco come.
Il suo ambulatorio è a Valmontone, sulla Casilina, sobborgo di Roma, dove vive chi a Roma lavora ma non si può permettere l’affitto; molti stranieri. Un territorio sgarrupato, tra ferrovie, viadotti, capannoni industriali, i fumi di Colleferro a due passi, termovalorizzatori e discariche. Per un pediatra, questo vuol dire allergie oltre la norma, patologie tiroidee, bronchiti croniche. E quella strana malattia, la sindrome da centro commerciale, le rinofaringiti, le pleuriti, le tracheiti che i frigoriferi e l’aria condizionata dei supermercati producono, soprattutto d’estate.
Questa è la storia delle storie che Satta ha portato ieri al Festivaletterature di Mantova, con il suo secondo libro Mamma quante storie, Treccani editore, arricchito da un fumetto di Fabio Magnasciutti e da illustrazioni di Sergio Staino.
Cosa c’entra l’ambulatorio di Valmontone con le favole? C’entra. Tutta colpa della mamma di Mohamed che una volta gli ha confessato: «Dottore, tu se l’unico con cui io parlo, qui, insieme alle persone in sala d’aspetto. Niente amiche, niente famiglia». Che fare? Ecco un’idea bizzarra, la sintetizza un cartello: «Mamme, vi aspetto sabato prossimo alle 18 per raccontare le favole con cui vi addormentavate da piccole. Portate i vostri bambini».
Tè e succhi di frutta, biscotti e patatine: verranno? Vengono. Vengono anche le favole, semplici, complesse, con i sapori di tutte le terre da cui vengono le mamme: paesi dell’est, nordafrica, Bangladesh, Ecuador, Perù, Brasile, Belgio. Ma anche Puglia, Campania, Calabria.
Così, una volta al mese, da sette anni le mamme raccontano, parlano, si conoscono, fanno amicizia tra loro, condividono cous cous e felafel e fejoada, altro che patatine. Così, Andrea Satta raccoglie le loro storie: la sua doppia vita diventa trina, pediatra e musicista e raccoglitore di favole.
La sapete quella della capra e del cavoli? Sì, la sapete. In Nigeria c’è, solo “tradotta”: capra cavoli e lupo diventano gazzella leone e pescatore. Chi l’avrà portata? Le storie superano meridiani e paralleli, con il loro carico di arguzia e di poesia. Nelle favole del mondo anche gli animali fanno rumori diversi. Bau in italiano diventa Au in portoghese, Ham Ham a Galati…
Andrea Satta è sicuro, le favole fanno bene. Ai bambini soprattutto, è scientifico. “Una ricerca canadese – dice – dimostra che i neonati pretermine seguiti in terapia intensiva prenatale migliorano moltissimo se ascoltano la voce della mamma, anche registrata. Forse perché l’hanno sentita nella pancia, forse perché è la voce dell’amore. Se è così importante per un neonato che ha così poche capacità dialettiche pensate cosa succederà a un bambino di due o cinque anni. Il sonno che si avvicina, la mamma o il babbo che sussurrano, la storia nota che si dipana pian piano”.
Le favole, a volte, sono crudeli. Pensate a Cappuccetto rosso, a Hansel e Gretel… Chi le scriverebbe così, quelle storie? Chi manda una bambina dalla nonna, sola e senza cellulare? Chi abbandona i figli nel bosco perché non ha abbastanza cibo per nutrirli? I pericoli affascinano i bambini, ma producono paura. Però è la mamma che racconta la storia, è la sua voce che dà protezione e sicurezza. E, dice Satta, l’elastico della paura si tende ma si sa che non può finire così. Il lieto fine consola e placa. Chiede: dunque è giusto raccontare favole crudeli, matrigne che maltrattano bambine, leoni sbudellati, streghe che mangiano i bambini? Forse sì, se c’è la mediazione dei genitori. L’iperprotezione dal mondo non fa crescere, rende deboli di fronte allo scacco, al cataclisma, al dolore.
Ma forse non basta. Ecco perché un ambulatorio dove da anni ci si parla, ci si scambiano racconti, si fa amicizia, si creare una comunità. Una piccola piazza dove si trovano abbracci e conforto, sostegno e soluzioni. Dove le categorie ridiventano persone, una a una, e ciascuna con il suo sorriso. Con le sue storie, e quelle della sua mamma.