Danilo Maestosi
Storie dal Festivaletteratura di Mantova

La tribù dei lettori

Bilancio finale della kermesse. Al di là dei numeri da record, questa è davvero l'unica occasione nella quale autori e lettori entrano in contatto. Riusciranno a condizionarsi vicendevolmente?

Centotrentacinquemila visitatori, diecimila in più dell’anno scorso. La ventesima edizione del Festivaletteratura esibisce al tirar delle somme questo bilancio da record. In soli cinque giorni Mantova, che ha poco più di 40 mila abitanti, ha visto praticamente triplicare la sua popolazione. E ha tenuto botta alla grande. Nonostante lo stress: impensabile prolungare, come qualcuno propone, anche per poche ora la festa, la città andrebbe in tilt. Nonostante qualche sussulto di insofferenza degli abitanti più snob del centro, dove salvo poche eccezioni la kermesse ha concentrato le sue attrazioni: circa trecento appuntamenti disseminati in quarantatré tra palazzi, teatri, musei, piazze e cortili raccolti in meno di un chilometro quadrato. Nonostante qualche commento acido di chi, vivendo in periferia, ha ricavato dall’invasione più disagi che benefici diretti: e qui qualche rimedio lo si potrebbe sicuramente trovare perché l’altra Mantova, quella che circonda il perimetro del centro antico, la Mantova fino a oggi esclusa dalla festa e dal gioco, ha tanti altri luoghi di pregio, tante altre stupefacenti quinte di paesaggio e di storia da offrire.

Centotrentamila abitanti comunque. Una sorta di effimera città-stato, consegnata a tribù di lettori molto diverse tra loro, vecchi e giovani, gli apocalittici accanto agli integrati, anarchici e ribelli accanto a moderati e conservatori, ma capaci qui di convivere e mescolarsi senza problemi, condividendo come un proclama, una bandiera di resistenza, una passione comune: il piacere dei libri, che le statistiche, specie quelle italiane, segnalano come un diletto in via d’estinzione.

festivaletteratura1Una boccata d’ossigeno per le case editrici, coinvolte ma fortunatamente escluse dalla cabina di regia, a tener fuori le politiche di autodistruzione e di conformismo che dominano il mercato e tante sue scelte dissennate. E uno specchio, un osservatorio prezioso per tutti gli autori, piccoli e grandi, invitati alla festa. Perché qui ogni scrittore, se non è accecato dal proprio successo o dall’invidia per quello degli altri, ha davvero l’occasione di conoscere, come non capita mai, l’altra metà dell’iceberg, la sorgente segreta e invisibile del suo mestiere: il pubblico dei propri lettori. Incontrarlo nelle facce e nei corpi raccolti in platea, davanti alla tribuna su cui è chiamato ad intrattenerli, non è una novità: succede alle fiere del libro, in ogni tour di anteprime e presentazioni, in ognuno dei tanti reading di lettura che si tengono un po’ ovunque. La novità di Mantova, in questa città-teatro dove tutti si strusciano per giorni, è che qui il tuo lettore puoi vederlo in azione e senza maschere. Mentre passeggia: è solo o ha famiglia? Si diverte o si annoia? Mentre fa la fila per entrare, riservando lo stesso rito di partecipazione ad un tuo concorrente: chi ha scelto, perché legge libri così diversi dai tuoi? Mentre mangia: che cosa ha ordinato? Quando si siede ad un bar: come chiacchera di se, in che modo racconta o commenta ciò che ha visto? E così via, quando si ferma davanti ad una vetrina, quando entra in un negozio a caccia di souvenir, quando la sera tira tardi con l’ultimo bicchiere di vino, pensando chissà a cosa. Insomma il fantasma di un referente virtuale che si materializza.

Ai lettori, ovviamente, la stessa opportunità. Finalmente puoi dare un volto, un corpo a parole, trame che ti hanno emozionato o colpito. E non sempre gli incontri ripagano le attese. O i soldi del biglietto imposto ad una buona metà degli eventi. Non sempre gli scrittori riescono a catturarti, farti ridere o pensare come i libri che hanno scritto. Peggio per loro: strappare un sorriso, buttar lì un pensiero che ti apre un mondo è un libro in più comprato al banchetto d’ingresso, un balzo in avanti nella classifica degli autori da culto che dopo terrai d’occhio, un possibile passaparola con altri amici lettori che si interrompe.

Non tutti i lettori, qui a Mantova, sono così reattivi, esigenti. Molti, la maggioranza forse, vanno soprattutto a caccia di riconferme, di istruzioni per l’uso e di risposte precotte, si accontentano di seguire solo le star, i nomi più famosi, gli autori che fanno notizia e opinione in tv o sui mass media. Oppure divi altrimenti inavvicinabili come Charlotte Rampling, che fa il pienone con un libricino biografia che non racconta quasi nulla: appaga il fatto di vederla così da vicino, scoprire che la malia del suo sguardo liquido è rimasta intatta nonostante l’età, come la classe che trasuda da ogni suo gesto. Sono gli incontri più gettonati, dove trovi più ressa, dove il rito della caccia all’autografo – una prova da c’ero anch’io da esibire come un selfie – raggiunge il suo culmine.

Lettori-spettatori, li classifica con distacco da entomologo ma senza alcuno snobisno, Marcello Fois, pioniere dei nuovi gialli all’italiana e qui come autore di un divertente Manuale di lettura creativa. Lettori che al libro non chiedono niente e non aggiungono niente, spesso neanche la fatica di sceglierli, come un utente tv che si sintonizza sul canale che trova aperto e non si sposta da lì.

A questa platea pigra da bestseller Fois contrappone un altro tipo di lettore, con cui da scrittore può e riesce a giocare, stringere patti d’alleanza e di complicità davvero alla pari. Perché senza un lettore di questo tipo nessun libro, nessun romanzo ha vita lunga. «Perché una storia deve aver vita propria, oltre i confini che con una buona scrittura le hai assegnato. Anche imboccando direzioni diverse da quelle che avevi previsto. Un buon libro, non importa quanto abitabile, deve essere abitato. E un autore senza paraocchi a chi gli assicura – un miracolo – questa partecipazione, deve spalancare le sue stanze, attrezzargli ed offrirgli un camera per gli ospiti la più accogliente possibile».

A sfogliare i dati finali del festival sembra quasi di poter misurare questi pubblici così diversi. La prima categoria dei lettori-guardoni affibbiata ai 65 mila spettatori degli incontri gratuiti. La seconda dei lettori creativi e più motivati inquadrata dalle 70 mila presenze degli eventi a pagamento. Ma sarebbe un abbaglio. Le due platee sono molto più intrecciate, contaminate, i transiti da un gruppo all’altro poco decifrabili. Una commistione che offre agli organizzatori nuovi traguardi, impone loro continui aggiornamenti, solte, ritocchi. E il divieto assoluto di accreditare l’universo della letteratura come una via di ritorno all’ordine.

Tra le modifiche da mettere in cantiere non guasterebbe un po’ più di trasparenza. Sappiamo da dove vengono e come sono ripartite le entrate: per l’11 per cento da soldi pubblici, per il 17 per cento dai biglietti venduti, il resto dagli sponsor. Ma ignoriamo quanti soldi è costato il festival in cifre assolute e come si sono distribuite le uscite. E infine perché non mettere a frutto con più responsabilità gli ottocento volontari, quegli ottocento ragazzi in maglietta blu relegati salvo qualche eccezione a incombenze e un anonimato da  bassa truppa? Senza neanche un gettone di presenza, vitto e alloggio solo a quelli che arrivano da fuori Mantova, il contentino di un po’ di visibilità e il ringraziamento pubblico perché «fanno allegria». Un trattamento da servi. Succede in tutte le democrazie, si ripete in questa effimera capitale dei libri, non c’è da meravigliarsi.

Fortunato un mondo che non ha bisogno di eroi, da cambiare un mondo che continua ad aver bisogno di schiavi. Chissà che non spunti fuori uno Spartaco a guidare questo esercito di precari così maltrattato ed entusiasta alla ribellione. Il festival avrebbe tutto da guadagnarci.

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