Raccontare il corpo/8
Juego de toro
«Mi imposi di osservare lo spettacolo con il giusto distacco e spirito di osservazione, ma ero perplessa, non tanto dallo “spettacolo” di sangue, giustificato o meno che fosse, ma soprattutto dalla folla acclamante»
Vivere sei mesi a Castellón de la Plana mi ha permesso di cogliere quanto la quotidianità degli spagnoli non si discosti molto da quella degli italiani. L’unico aspetto sul quale mi interrogavo e che non riuscivo a spiegarmi era il culto della tauromachia e con esso una delle sue manifestazioni più conosciute al mondo, la corrida de toros. La scelta di partecipare a una corrida nasce da questa riflessione e dalla volontà di misurarmi con l’aspetto più controverso e dibattuto della tradizione spagnola, il meno comprensibile agli occhi di uno straniero, il più difficile da includere in quella identità mediterranea che ero intenzionata a promuovere e sostenere. Oggi, nonostante siano aumentate le polemiche sul maltrattamento dei tori e molti spagnoli si definiscano fieramente antitauromaqui, il culto dei tori continua ad imporsi nella definizione dell’identità spagnola.
Anche Castellón de la Plana ha una plaza de toros, più piccola rispetto a quelle che ho avuto modo di scoprire visitando Barcellona e Valencia. Si trova in una strada secondaria della città con ingresso sull’Avinguda de Pérez Galdós, al lato del Parque De Ribalta. Le corride a Castellón de la Plana vengono organizzate in occasione della festa cittadina, la fiesta de la Magdalena durante la quale la plaza de toros ospita più di una corrida. Il pomeriggio del 13 marzo percorsi insieme ad alcuni amici spagnoli i 10 minuti andando che separavano l’appartamento nel quale vivevo dalla plaza de toros. La plaza si apre agli occhi del visitatore come un teatro circolare, molto simile ad un anfiteatro, nel mezzo del quale c’è un’arena di sabbia. Mi sedetti al posto 78 lato sol come indicato sul mio biglietto di entrada a la plaza e capii ben presto perché il mio biglietto costasse ben 65 euro: ero in seconda fila, sulla contrabarrera; tra me e l’arena nella quale si sarebbero tenuti i giochi solo la barrera, la prima fila. Molti spettatori portarono con sé un cuscino bianco che appoggiarono sullo scomodo gradone in pietra e si sedettero.
Il clima che si respirava tra gli spalti prima dell’inizio dei giochi mi lasciò perplessa: le previsioni e le discussioni su questo o quel torero, sui tori che avrebbero calcato l’arena, sull’ultima corrida alla quale i miei vicini di posto avevano assistito, sono incomprensibili per un profano di tauromachia. L’attenzione e gli entusiasmi del pubblico, quel giorno, erano rivolti a Manzanares, giovane e affascinante torero trentaquattrenne, figlio d’arte di un altro acclamatissimo torero deceduto (per morte naturale s’intende) nel 2014. Ciò che mi sorprese oltremodo fu la quantità di gente che affollò la plaza e i suoi dintorni: tutti i posti erano occupati e su balconi e terrazzi di quanti avevano la fortuna di affacciare con le proprie finestre sulla plaza, decine di spettatori senza biglietto attendevano l’inizio dei giochi.
I toreros che si esibiranno – mi spiegano – sono Juan José Padilla, Morante de la Puebla e il già noto Manzanares. Padilla, indossava una benda sull’occhio sinistro: “lo ha perso in occasione di un’altra corrida” mi fanno notare mostrandomi la foto che immortalava il momento in cui il toro lo aveva caricato in volto qualche anno prima.
Padilla fu il primo matador a entrare nell’arena. Mi imposi di osservare lo spettacolo con il giusto distacco e spirito di osservazione, ma ero perplessa, non tanto dallo “spettacolo” di sangue, giustificato o meno che fosse, ma soprattutto dalla folla acclamante, che rideva e si divertiva di fronte a quello che io non riuscivo a considerare uno spettacolo. Mentre mi interrogavo sulle reali possibilità che il toro avesse, scavalcando la barrera, di raggiungermi in seconda fila, notai che tutti gli spettatori sventolavano i cuscini bianchi in aria urlando a squarciagola la bravura del matador. Chi non aveva il cuscino improvvisò con ciò che aveva indosso di bianco: una signora, seduta qualche posto dietro di me, agitava una maglia. Non capì da principio cosa stesse succedendo ma mi accorsi ben presto che il primo toro era già morto.
La sensazione di smarrimento alle urla di approvazione degli spettatori sembrò sfiorare me sola e improvvisamente mi sentii estranea a quel contesto, circondata da tanta ignoranza. La verità però è che quando entrò il secondo toro, il cui matador fu Morante de la Puebla, iniziai a osservare il gioco con minor risentimento e maggior interesse. Quando fu il turno di Manzanares la mia vista si era abituata allo spettacolo e iniziavo a capire i ruoli e le regole che lo animavano. Per tutto il secondo turno, nel quale si avvicendarono nuovamente i matadores con altri tre tori, mi godei lo spettacolo, non direi divertita, piuttosto affascinata dalla bravura degli uomini nell’arena. Colsi finalmente lo spettacolo bello per gli occhi, che diverte e unisce la folla nella plaza de toros. La mia vista gradualmente si abituava a quello che vedevo, mi sentivo sempre meno estranea e sempre più coinvolta. Ciò che cambiò la mia percezione dei giochi furono le gesta degli uomini in arena: se inizialmente non riuscivo a vedere altro che il toro e gli spettatori sugli spalti e sui terrazzi circostanti la plaza de toros, ben presto mi accorsi che per capire il punto di vista degli spettatori avrei dovuto prestare maggior attenzione agli uomini in arena e non al toro. Nella corrida de toros lo “spettacolo” si costruisce attorno all’abilità del torero nel giocare con il toro, nel chiamare la sua attenzione e poi schivarlo abilmente, nel tenere con il fiato sospeso chi guarda, un po’ come avviene in altri giochi o spettacoli ma con due differenze importanti: la prima, evidentemente non trascurabile sotto diversi aspetti, che lo spettacolo non esisterebbe senza il toro; la seconda, che la corrida de toros non è uno spettacolo come altri ma è la manifestazione della piena identità spagnola per molti, se non per tutti. Alla fine della corrida, mentre il pubblico applaudiva e lanciava fiori sui tre matadores che attraversavano vittoriosi l’arena, Manzanares lanciò sugli spalti una specie di fiaschetta dalla quale aveva bevuto poco prima provocando la gioia di quanti, nella sua direzione, speravano di accaparrarsela. Appena fuori notai due camion con il portellone aperto; all’interno le carcasse dei tori uccisi poco prima, appesi al soffitto della cella refrigerata dalle zampe posteriori. Alle mie spalle, il gruppo di animalisti era ancora li, aveva aspettato la fine della corrida e probabilmente avrebbe accompagnato con le stesse rivendicazioni anche quelle dei giorni successivi.
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Sono Marta Troiano, ho 26 anni e mi sono da poco laureata in Management e comunicazione all’Università degli Studi di Teramo. Al momento sono impegnata a costruire il mio futuro. Ho sempre pensato di scrivere e pubblicare qualcosa di mio e per questo motivo ho preso parte con entusiasmo al corso di scrittura creativa tenuta da Andrea Carraro e Guendalina Di Sabatino. Il mio sogno più grande è quello di essere ricordata per aver lasciato qualcosa al mondo attraverso la scrittura, si tratti di un contributo di utilità sociale o di qualche ora di svago.