Ritorna il festival “Memorie Urbane”
Iranian Street Art
La sperimentazione in Iran mescola l'antica calligrafia e l'arte della ceramica e del tappeto con i graffiti metropolitani. Ne parliamo con due protagonisti di questo fenomeno: Nafir e FRZ. Alla vigilia di una loro mostra in Italia
Nel 2016 è partita la quinta edizione del festival di Street Art “Memorie Urbane”. Negli anni, il festival è diventato il più grande d’Italia, con oltre 30 artisti invitati provenienti da tutto il mondo. L’evento ha coinvolto i comuni di Gaeta, Terracina, Fondi, Formia, Itri, Valmontone, San Cosma e Damiano, Arce, Caserta, Cassino, Ventotene. Si è creato un laboratorio artistico a cielo aperto con più di 150 interventi realizzati. Succedeoggi ha incontrato due degli artisti coinvolti, gli iraniani Nafir e FRZ, che saranno protagonisti di una mostra collettiva, insieme ad altri colleghi iraniani, che aprirà domenica allo spazio “Street Art Place – Urban Gallery” a piazza Traniello a Gaeta. I due artisti dipingeranno anche alcuni murales per le strade della città.
Quando è nata la street art in Iran?
FRZ: È iniziato tutto dieci anni fa a Teheran vicino all’”Ekbatan Complex” nel 2002, con un gruppo chiamato “A.k.a. Tanha” and “Street ratz”. Per la prima volta si è fatta street art con competenza. Io ho iniziato a Tabriz nel 2006 con un gruppo chiamato “Ice punkz”. con un gruppo di amici che ora vivono a New York. Facevamo skate board, eravamo in 5 e abbiamo iniziato a fare stencil e street art.
Nafir: Tutto iniziò all’Ekbatan perché è un posto isolato e quindi era più facile che la municipalità non cancellasse subito tutto. Poi abbiamo incominciato ad uscire per strada.
Come reagiscono le persone quando vedono opere di street art?
Nafir: Non sono ancora molto abituati, le persone sopra i trent’anni generalmente pensano che sia o una pubblicità, o un opera di vandalismo, se non addirittura che uno stia scrivendo non “buttare la spazzatura in questo luogo”. Per fortuna le cose stanno cambiando con le nuove generazioni, il cinquanta per cento di loro comprendono che cosa stiamo facendo. È difficile avere reazioni faccia a faccia, di solito fotografiamo e poi carichiamo tutto su internet. Chi ci vede lì però già ci segue e quindi ci ama. Per il resto la municipalità cancella tutto quasi subito, quindi diventa molto difficile sapere che cosa la gente pensa.
FRZ: Dipende molto dalle persone. Ci sono signore di cinquant’anni che viaggiano e sanno cosa siano i graffiti, che ci aiutano preparandoci da mangiare mentre lavoriamo o in altri modi. Molti poi si interessano per capire quello che stiamo facendo, per loro è una novità. Ci sono reazioni molto diverse tra di loro. In generale comunque tentiamo di lavorare in momenti in cui la gente non ci vede per non avere problemi.
Qual è per voi il giusto equilibrio tra un’arte globale come la street art e quella iraniana tradizionale?
FRZ: Per prima cosa noi vogliamo parlare alla nostra gente, ogni tanto mandiamo dei messaggi globali, ma di solito tentiamo di fare opere comprensibili prima di tutto agli iraniani. Per esempio scriviamo in persiano e non in inglese. Se usciamo dall’Iran tentiamo di utilizzare linguaggi diversi che possano parlare ai popoli dei paesi in cui siamo ospiti.
Nafir: In Iran i graffiti esistono come arte da non più di dodici anni. Inizialmente erano sempre scritti in inglese. Anche per me il mondo della street art parlava inglese. Mi ispiravo a Jef Aeresol , Black le Rat e Banksy. Ma poi, parlando con mio padre che è un esperto dei tappeti tradizionali e lavora in quel settore, ho compreso che potevo mischiare le arti tradizionali dei tappeti, della calligrafia e della ceramica, con l’arte dei graffiti. Queste forme d’arte, al contrario di quello che la gente pensa oggi, non sono solamente decorative, ma esprimono una filosofia ben precisa. Penso che sia fondamentale elaborare una forma d’arte che sia anche consona al mondo da cui si proviene.
Quindi partite dalle geometrie e forme che hanno reso celebri la calligrafia o l’arte della ceramica e del tappeto iraniana per fare street art?
FRZ: Tutti gli artisti di street art iraniana sono sperimentali, non escono dall’accademia, al massimo hanno studiato arte. Ma siamo consapevoli che la cultura iraniana è stata importante nel mondo proprio per la calligrafia, i mosaici, la ceramica e i tappeti, tutte forme artistiche in cui la parte grafica ha un’importanza immensa. Mi sono accorto nel tempo che in molti di questi lavori, apparentemente geometrici, si nascondevano facce, animali e storie. Nel tempo l’arte figurativa nel mondo islamico è diventata sempre più nascosta se non mimetizzata dietro a geometrie. Ho quindi voluto incominciare a lavorare su questo aspetto. Lo faccio per mostrare i volti e le storie dietro a queste geometrie.
Nafir: Anche l’arte geometrica delle moschee è molto interessante perché è ipnotica. In questo caso la calligrafia o le geometrie ti portano in modo concettuale a Dio. Nell’arte dei tappeti invece è diverso, dietro ogni geometria c’è un animale, una forma vegetale, una leggenda. Noi stiamo tentando di riprendere questi concetti analizzandoli in modo contemporaneo. É lo stesso concetto che molti portano avanti nella musica. I giovani iraniani spesso non amano la musica tradizionale e preferiscono l’elettronica o la trans. Nonostante questo molti artisti creano brani che miscelano sapientemente la musica tradizionale a quella moderna. E il risultato è molto bello perché crea ponti tra generazioni che hanno vissuto in secoli diversi.
Vi sono anche temi personali, oltre che sociali nei vostri lavori?
Nafir: All’inizio dipingevo velocemente e raccontavo storie molto personali. Nel tempo ho completamente cambiato il modo di lavorare. Ho capito che fare stencil molto veloci mi interessava meno. Avendo lavorato nel bazar dei tappeti di Teheran mi sono reso conto che per gli iraniani oggi un tappeto è più che altro un oggetto decorativo. Nei secoli scorsi era però tutto l’opposto, un tappeto era un messaggio, nascondeva una storia e una filosofia. Mio padre, che è un esperto del settore, può riconoscere da che villaggio viene un tappeto solamente guardando il particolare di un disegno o di un colore. Dalla trama e dai nodi è capace perfino di capire se lo ha tessuto una donna o un uomo. In un tappeto ogni piccolo dettaglio è ripetuto per centinaia di volte, c’è una poetessa Forough Farokhzad che dice che la vita “è un ripetersi del ripetere”. Io ho ritrovato questo concetto nei tappeti come nella ceramica. È un questione numerica, dietro questa ripetizione verso l’infinito si cela il circolo della vita. Non è in realtà una ripetizione sempre uguale, come potrebbe sembrare all’inizio, ma semplicemente uno scorrere circolare del tutto simile a quello dell’esistenza. Inizialmente nei miei lavori ho tentato di rompere questa ripetizione, ma in una seconda fase sono ritornato al concetto del circolare. All’inizio la mia arte era veloce, adesso è lenta. Ci vuole molto tempo per portare avanti questa ripetizione. Questo perché solo così si può andare nella profondità di un concetto.
FRZ: I miei lavori partono dall’esigenza di esprimere un mio problema o una problematica sociale. Anch’io ho iniziato a riflettere sul concetto dei tappeti e dei mosaici. In Iran purtroppo non abbiamo tempo per fare un lavoro lentamente perché dobbiamo farlo di nascosto. Ma il concetto di ripetizione è nel nostro sangue.
Dietro al concetto della ripetizione presente nell’arte iraniana si nasconde la filosofia sufi?
Nafir: Sicuramente sì. Lo troviamo nelle poesia di Omar Khayyam come di Hafez, o in tanti riti sufi, come i dervishi rotanti. Sembra una ripetizione, ma questo ripresentarsi all’infinito non è mai ripetizione, ma sempre una cosa nuova. Certo, in passato un tappeto, una ceramica o vassoi incisi su metallo, avevano anche un uso quotidiano, per mangiare o altro. Noi, al contrario, facciamo oggetti che non hanno un secondo utilizzo, ma solo il lato artistico. Per entrambi però si può parlare del concetto di ripetizione sufi.
Tra il mondo della street art e quello della poesia vi è un nesso?
Nafir: Certo che c’è, un iraniano ha la poesia nel sangue. Quando vedo i lavori di molti amici street artists, io vedo prima di tutto delle poesie. La poesia ha nel nostro paese una storia millenaria. Amo molto anche la poesia moderna iraniana, come quella molto cupa di Forough Farokhzad.
Alcuni cantanti hip hop iraniani le sono molto debitori, come lo sono delle poesie sufi di Omar Khayyam, per esempio il cantante Bahram.
FRZ: Noi siamo cresciuti con la poesia a scuola come nella vita. Hafez, Rumi, parlano di vita e amore. Khayyam vi aggiunge un pensiero filosofico e scientifico, parla della verità di questo mondo. Ecco perché mi ha cambiato davvero la vita. Uso molto le sue poesie nel mio lavoro, perché contengono ancora insegnamenti validissimi. Nel profondo i problemi di ieri, sono gli stessi di oggi. Cambiano i linguaggi, le regole, ma non i problemi interiori degli essere umani.
Parlando di circolarità, Teheran è una megalopoli con più di 20 milioni di abitanti, tra città e zone limitrofe. Una megalopoli cosi circolare non esiste in Europa o in Nord America: è una realtà puramente asiatica
Nafir: Per prima cosa a Londra un lavoro di street art rimane per dieci anni, a Teheran lo cancellano subito, quindi il passato è stato cancellato e il futuro non esiste. Vi è solo un breve presente. Ecco di nuovo il concetto di circolare. Solo un mio lavoro è sopravvissuto per tre anni, su una strada molto importante. Rifletteva sul tema dei murales legali contro quelli illegali. La parte che rappresentava la legalità era raffigurata da degli uccelli molto graziosi, la parte illegale era un ragazzino che tirava un sasso contro gli uccellini. Il pezzo è rimasto lì per tre anni e l’ho visto fotografato su molti giornali di cronaca, la gente lo amava. Poi hanno buttato giù il muro per costruire una fermata della metro.
FRZ: Essendo Teheran una città enorme si cerca di lavorare nelle strade più importanti per raggiungere più persone possibili. La municipalità questo lo ha capito, quindi si concentra proprio su queste zone e cancella tutto. Per fortuna più aumenta la consapevolezza su questa forma d’arte e più persone la fanno, più diventa difficile cancellare tutti i lavori.