Alberto Fraccacreta
L'elzeviro secco

Il fiato del mondo

Magritte e il bosone di Higgs, Democrito e Pascal: lo scienziato Guido Tonelli, che è stato ospite del Festival della Mente di Sarzana, riflette sull'asimmetria del tutto: «Siamo un vuoto che si è montato la testa»

Dalì dipingeva orologi gocciolanti a simboleggiare il tempo “materico”, Magritte corpi di luce che riflettono ciò che è alle loro spalle. Aristotele considerava l’universo come tutto pieno (secondo Montale, invece, «il pieno è il vuoto»), a Pascal piaceva il juste milieu, il giusto mezzo, l’equilibrio simmetrico. Simone Weil riteneva che «due forze» regnassero nell’universo: «Luce e pesantezza». Celebre e graffiante è il motto shakespeariano in Romeo e Giulietta: «Siamo fatti della stessa sostanza dei sogni». Per Sigismondo, iroso e animalesco personaggio della più grande commedia di Calderón de la Barca, «toda la vida es sueño, y los sueños sueños son».

Fantasticherie più o meno astruse di artisti, filosofi e poeti, che trovano oggi ampio riscontro nei nuovi indizi sperimentali, testimonianza di un fortissimo legame intuitivo tra scienza e letteratura. Attraverso audaci immagini della mente, la poesia può rappresentare, con l’ingenua naturalezza del “fanciullino” di Pascoli, una suggestione “anticipatrice”, poi confermata dalle descrizioni scientifiche del mondo che la correggono e la perfezionano solo in parte. «Il cuore rifà la vita che l’intelletto distrugge» asseriva Leopardi; mentre Dante, nel Convivio, metteva all’opera un vero e proprio «banchetto di scienza e sapienza», foriero di una visione conciliante e di compenetrazione tra le due discipline.

L’universo è nato da una fluttuazione quantistica del vuoto, che Guido Tonelli, scienziato del CERN, professore all’università di Pisa e ospite all’ultima edizione del Festival della Mente di Sarzana, chiama «singhiozzo del vuoto» o anche – molto più efficacemente – «ruttino». A seguito dell’inflazione cosmica, sgorgata sotto la spinta del campo scalare che ha subito un processo di condensazione tachionica e ha dato vita alla progressione esponenziale di una vera e propria bolla di pura energia, il bosone di Higgs, gonfiando l’urto della materia all’interno della bolla, viola l’ipotetica simmetria CP. Se tale simmetria fosse rimasta perfetta, per ogni particella originata nel Big Bang, si sarebbe prodotta specularmente un’antiparticella, che avrebbe annichilato la prima, trasformandosi in energia e mantenendo così lo stato di perenne stabilità. Tuttavia, il campo acquisisce un valore di aspettazione del vuoto non-zero e il bosone di Higgs si cristallizza: dalla superficie della bolla viene fuori rapidamente l’impulso materico. Il bosone si riveste di sé, «trae massa dall’interazione con se stesso» – spiega ancora Tonelli, tra i protagonisti della scoperta definitiva di quest’ultima tessera nel Modello Standard – e interagisce in seguito con le altre particelle, rivestendole a loro volta, cioè conferendo loro una massa. Questa “predilezione” inaspettata per la materia è ancora oggetto di indagine. Sta di fatto che il bosone, nella relazione con il fluido energetico, altera l’equilibrio e provoca il passaggio, l’orlatura dal non-luogo al tutto. È proprio nei primissimi istanti di vita dell’universo che si srotola lo spazio-tempo, e il suo costituirsi ha una data anagrafica precisa: 13,7 miliardi di anni fa. Insomma, senza lo “strappo” della simmetria di gauge elettrodebole non saremmo qui. «Siamo un vuoto che si è montato la testa» chiosa ancora Tonelli. Le cose nascono in maniera “imperfetta” e rivelano la loro ragion d’essere entro una fenditura calibratissima. Sotto il profilo filosofico, Simone Weil sostiene che, nella stessa idea di creazione, è presente – paradossalmente – il pensiero di “decreazione”, che consiste in una diminuzione di sé per lasciare spazio all’alterità. È affascinante l’idea che un non-spazio lasci spazio al luogo, alla presenza: «Un nulla che si confina, che si contiene per far sì che accada la realtà così come la conosciamo», sottolinea il fisico.

Quali sono le prospettive di vita dell’universo? Qual è il presente del suo futuro? «Un sudario di buio e di freddo», che accoglierà in sé la muta necropoli di stelle. L’accelerazione dello spazio-tempo distanzierà ancor di più le galassie, creando enormi zolle di spazi interstellari, dominate in misura sempre maggiore dall’energia oscura. «Il silenzio eterno degli spazi infiniti mi sgomenta» osservava Pascal. Esiste, tuttavia, un’altra possibilità. Analizzando la stabilità del vuoto elettrodebole, si è fotografato l’universo come sull’orlo di un precipizio, in eterno bilico tra l’essere e il non essere. Un evento lontanissimo da noi e impossibile da prevedere, potrebbe lacerare il vuoto, provocando il “fuoco d’artificio” di una nuova bolla di pura energia, in vista di un «finale meno deprimente».

È interessante notare la condivisione cosmica della precarietà, dello stato esistenziale di transitorietà, creduta dai Greci appannaggio del solo essere umano. «Magnanimo figlio di Tideo, perché mi domandi quale sia la mia stirpe? Come stirpi di foglie, così le stirpi degli uomini; delle foglie il vento getta alcune a terra, mentre altre sono nutrite al tempo di primavera dalla selva in fiore; così le stirpi degli uomini: nasce una, l’altra scompare» (Il. VI, 145-149). Il ciclo iliadico e i grandi lirici monodici, come Mimnermo, hanno cantato la fragilità della condizione umana, «simile alle foglie che fa germogliare la stagione di primavera ricca di fiori», all’interno di un universo perfetto e immutabile, un kósmos variegato e retto da ferree leggi, a metà tra mito e filosofia (da Leucippo e Democrito in poi). Invece no, qui la letteratura si sbaglia: siamo impregnati di un destino universale, il quale, per lasciare spazio alla materia e alla vita, è a strapiombo sull’esistenza. La nostra instabilità è comune alla sostanza delle cose: imperfette, asimmetriche, dolenti, poetiche, concrete e fatte di sogni, luminose, magnifiche.

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