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I numeri illuministi
La matematica di Eulero e lo spirito illuminista; i segreti (politici) della Cecenia raccontati da Irena Brezna e i racconti di terapia di Irvin D. Yalom. Tre libri per restare con i piedi per terra
Disputa. Il tema continua a essere di pregnante attualità. Parliamo dei rapporti e dei contrasti tra scienziati-filosofi fedeli al Cristianesimo e pensatori illuministi. I primi insistevano nell’affermare che la ragione non può spiegare tutto a meno che non abbia come premessa la fede. I secondi negavano il trascendente come strumento di comprensione. Francesco Agnoli, docente e scrittore, torna sulla figura del matematico filosofo svizzero Eulero (cognome latinizzato con la “o” finale) con un libro breve ma densissimo edito dall’editore Cantagalli: Leonardo Eulero, il matematico dell’età illuminista, 91 pag., 8 euro). Leonhard Euler (1707-1783) è da considerarsi “il Mozart della matematica”. E non tutti sanno che fu il principale creatore del calcolo delle variazioni e delle equazioni differenziali, e precursore della geometria differenziale.
Nato a Basilea soggiornò a San Pietroburgo e Berlino. In Germania lavorava anche Voltaire (1694-1778). Uomo molto mite, si scaglia però quando il pensatore francese attacca la sua fede e la Bibbia. Non condivide affatto le critiche alla Rivelazione e, soprattutto, rigetta il materialismo dei cui esponenti parla di “saggezza immaginaria”. Voltaire lo prende ripetutamente in giro alla corte di Federico II. L’autore ricorda giustamente alcune asserzioni di Voltaire, il quale predicò il “newtonismo per tutti”, definì gli ebrei come “il più abominevole tra i popoli della terra, popolo barbaro e crudele” e invitò a “schiacciare l’Infame”, ovvero il Cristianesimo. Odiava profondamente la “Bibbia ebraica” e “assurdità” come la fratellanza tra bianchi e neri. Questo effettivamente ce lo scordiamo e dimentichiamo la sua intolleranza ideologica. Così forte da definire “antropofagi” i giudei. L’illuminista francese fu autore di una frase come questa: «Dobbiamo screditare gli autori che non la pensano come noi; dobbiamo abilmente infangare la loro condotta, trascinarli davanti al pubblico come persone viziose». Non c’è male data la sua successiva fama. Euler ribadisce che «la massima perfezione dell’Intelletto consiste in una perfetta cognizione di Dio e delle Opere sue». E ancora: «Gli uomini sono unicamente capaci di giungere a un piccolissimo grado di tal cognizione». Si spinge più in là sostenendo che «l’Universo non è eterno, e che, come insegna la Bibbia, non solo è nato, perché creato, ma anche destinato a finire». In tal modo anticipa la disputa sul Big Bang e della morte termica vista il progressivo avvicinamento della Terra al Sole. Altra stoccata di Euler contro la «fazione de’ libertini e dileggiatori della Rivelazione» i quali, precisa, si definiscono a torto razionalisti visto che «vogliono bandire dal mondo l’esistenza degli spiriti, cioè degli esseri intelligenti e ragionevoli».
Cecenia. A parte le scorse fiammate di cronaca, che compresero atti di terrorismo e dura repressione da parte della Russia di Putin, chi si ricorda più della Cecenia? È uscito un libro storicamente molto interessante di Irena Brezna (Le lupe di Sernovodsk, Keller editore, 211 pag., 16 euro). Brezna è scrittrice e giornalista svizzera giunta a Mosca per scrivere reportage. Una sua frase, riportata da Anna Politkovskaja, uccisa da sicari: «I reporter, per come la vedo io, se non vanno in Cecenia e non protestano, sono complici». La città di Sernovodsk, si legge nel libro, «è indicativa della Cecenia intera». Qui alcuni vittime sono diventate kamikaze, «portatori di una bomba di cui volevano condividere l’esplosione». Ma come sono arrivati a gesti così estremi e – aggiungo io – così esecrabili? Il regime moscovita seguiva la tacita legge del gulag maschili: «…un prigioniero viene violentato, se ne cancellano la mascolinità e l’umanità, diventa un essere non-umano, lo si chiama “pisello” o “rottinculo”». Le forze armate di Putin «danno il via alle perversioni: agite secondo la legge criminale e non verrete puniti…il popolo ceceno diventa ufficialmente un bottino dichiarato». A proposito delle donne ribelli e “martiri” in un paese femminista, leggiamo: «Le orfane che all’epoca avevano dieci anni ora sono spose della morte e si fanno saltare in aria in nome della purezza…la sentono così piena di macchie, la loro vita. Sono nate in una cultura della vergogna». E ancora: «Essere bombardati è umiliante, essere saccheggiati pure, è umiliante avere una figlia con il braccio monco, è umiliante essere violentati, è così umiliante che la donna desidera morire; trovare la madre disonorata nel cortile di casa è umiliante da far perdere i sensi…la gente che si vergogna la si può facilmente manipolare».
Psicoanalisi. Noto per aver pubblicato testi affascinanti come La cura Schopenhauer, Le lacrime di Nietszche, Il problema Spinosa e Il dono della terapia, Irvin D. Yalom, docente e psichiatra, raccoglie nel libro Il senso della vita (edito da Neri Pozza, 291 pag., 17 euro) sei racconti di terapia. Particolarmente importante è il quinto, ove Myrna, attraente e ossessionata dai soldi pur essendo benestante, all’inizio non riesce a parlare liberamente di sé. Casualmente ascolta una cassetta dove il terapeuta, inavvertitamente, registra i suoi giudizi, esatti e brutali, su di lei, verso la quale ammette di avvertire impulsi sessuali. Lei si sbocca, ma al tempo stesso coltiva il desiderio di fargliela pagare. È l’inizio di un nuovo rapporto paziente-psicologo, con quest’ultimo che pare trovarsi in una posizione di cautela e timidezza. Situazione quindi non proprio ortodossa. Nel contempo, l’autore narra di un incontro, con colleghi e con un anziano “maestro”, dedicato al controtransfert. Quanto è utile la seduta collettiva? In parte lo è, ammettiamolo. Anche se c’è una valanga di parole su particolari non del tutto primari. Tutto questo induce il lettore a pensare, e non a torto, che la psicoterapia è sovrabbondante di parole, non del tutto essenziali. Inevitabile la domanda: la tecnica del lettino inventata da Freud davvero serve ancora? Oppure: quanti sono i pazienti che alla fine possono definirsi “curati” e lontano da piccole e grandi ossessioni? Infine: in quanti casi la psicoanalisi sostituisce il fattibilissimo “cura te ipsum”? Mi viene in mente un libro del famoso James Hillman, di scuola junghiana, intitolato Cento anni di psicoterapia e il mondo va sempre peggio.