Dopo il no ai giochi del 2024
Elegia olimpica
È stato detto che ancora paghiamo i debiti delle Olimpiadi di Roma del 1960. A parte il fatto che i dati storici contraddicono questa affermazione, perché non si ricorda che quell'evento ha fatto da volano morale, culturale, politico ed economico alla rinascita della nostra etica?
I grandi sogni non restano impressi nella memoria se non vengono accompagnati da una canzone. Quando poi la canzone li anticipa, come una profezia illuminata, allora pure le pietre sono capaci di ricordare. È quella che successe con le Olimpiadi di Roma del 1960. La canzone che profetizzò l’evento fu Volare, cantata da Domenico Modugno nel 1958 e il sogno che durò quindici giorni fu La Grande Olimpiade che si continua a vedere, a raccontare, a sognare ancora oggi. «Penso che un sogno così/non ritorni mai più/, mi dipingevo le mani/ e la faccia di blu/, poi d’improvviso venivo/dal vento rapito,/ e incominciavo a volare/ nel cielo infinito». Perché la Grande Olimpiade anticipata dalla canzone Volare può essere vista come una vera e propria rincorsa verso il futuro?
L’edizione dei XVII Giochi Olimpici, che si svolsero dal 25 agosto fino all’11 settembre 1960, sembrò lievitare nell’aria perché convennero a Roma 5346 atleti provenienti da 83 paesi del mondo, l’organizzazione perfetta fece intravedere il dinamismo del boom economico degli anni ‘60 e la televisione che allora era composta di un solo canale fornì centinaia di ore di filmati che a su volta furono replicati in tutto il mondo, ma soprattutto anticipò di un anno i festeggiamento per l’Unità d’Italia e in quella occasione l’Italia fu davvero unita e grande nel mondo, proprio come l’avevano sognata i padri fondatori. È sbagliato pensare che all’inaugurazione fossero presenti non solo gli eroi del Risorgimento, ma anche i soldati della Prima guerra mondiale, i soldati ed i partigiani della seconda, ma in special modo tutti i nostri emigranti sparsi per il mondo?
In Italia, l’avvento di questa competizione comportò l’acquisto di un gran numero di apparecchi televisivi (cosa che favorì il veloce abbandono del linguaggio radiofonico per il commento degli eventi sportivi) e la nascita di una nuova memoria nazionale costruita sulle immagini riprese in diretta. La città di Roma si vestì dei suoi abiti migliori: fu costruito l’aeroporto di Fiumicino, inaugurata la metropolitana, furono costruiti il Palasport, il velodromo (ora in rovina) la piscina delle Rose, lo stadio delle Tre Fontane, fu abilitato il lago di Castel Gandolfo per gli sport acquatici e furono attrezzate le terme di Caracalla per la lotta greco-romana e la Basilica di Massenzio. Insomma per il gran numero di paesi partecipanti, per il fatto che si svolsero nella città eterna fra le rovine dell’impero romano, ebbero quel carattere spettacolare, basato sulla fusione fra antichità della storia e modernità della recnologia, che non si è ripetuto in nessuna edizione successiva. A gennaio, inoltre, era uscito nelle sale cinematografiche il film di Federico Fellini, La dolce vita ed i due eventi costruirono quell’ immagine feconda della città che non l’avrebbe più abbandonata: rovine antiche e mondo del cinema, pietre consunte dalla storia e immagini fugaci che la finzione cinematografica rendeva durevoli nell’immaginario collettivo.
Ma dove lo spirito della canzone Volare si concretizzò in modo indelebile nella storia fu nella costruzione dei miti, anticipando così lo spirito del ‘68. Quelle due settimane generarono miti indelebili, ancora oggi degni di attenzione. Voglio elencarne alcuni: Cassius Clay vince la medaglia d’oro che poi butterà nel fiume Ohio, perché non potè entrare a mangiare in un ristorante della città di Louisville, Kentucky, e come è stato detto, la vita di questo pugile ha aperto la strada all’elezione di Barak Obama; la gazzella nera Wilma Rudolf, vincitrice di 3 medaglie d’oro (100 metri, 200 metri e staffetta) che da bambina era stata poliomelitica aprì il campo alla riflessione sul rapporto fra sport e malattia, e forse offrì lo spunto al film Forrest Gamp; Livio Berruti che vince i 200 metri, accompagnato nella sua gara dal volo delle colombe, anticipa i successi di Pietro Mennea; a Roma, nella “città eterna” successe un evento rivoluzionario che subito trascese la dimensione ludica per diventare “simbolo” di un nuovo rapporto culturale fra nord e sud del mondo: mi riferisco alla gara della maratona che fu corsa il il giorno 10 settembre con partenza dal Campidoglio alle ore 17.30 da parte di 69 atleti e terminata due ore, quindici minuti e sedici secondi dopo sotto l’arco di trionfo di Costantino, avanti al Colosseo dall’etiope Abebe Bikila. Il quale con questo tempo stabilì il nuovo record olimpico, migliorato ancora a Tokio quattro anni dopo.
L’impresa di Abebe Bikila (che in lingua amarica significa fiore che cresce) riportò le Olimpiadi al mondo di Fidippide, a quell’eroismo umile che spesso segna le tappe della storia. Non mi riferisco solo al fatto che la gara fu corsa fra le rovine della Roma antica, (riportandoci quindi alle radici del mondo occidentale) ma perchè egli, in pieno boom economico, rivalutò il valore della povertà come scorciatoia per il successo. Correre senza scarpe (come oggi riflettere sui migranti), significava aprire le porte ad un mondo, l’Etiopia, che aveva come guida la sua cultura millenaria. Figlio di un pastore di capre, sergente della guardia imperiale, finito alle Olimpiadi per caso (perché il titolare Wami Biratu aveva avuto un incidente), fece la sua gara concedendosi appena il lusso di uno spicchio d’ arancia come rifornimento. La sua vittoria era avvenuta percorrendo la via dei Fori imperiali, negli luoghi dove Mussolini nel 1936 aveva dichiarato guerra al suo paese e arrivò primo sotto l’arco di Costantino, unendo così passato e futuro, dichiarando che l’Africa e l’Europa hanno un destino comune. Bikila non vinse solo per il suo paese ma per tutta l’Africa, infatti era il primo atleta africano a conquistare una medaglia d’oro alle Olimpiadi.
Oggi il sindaco Raggi dice che vi sono ancora i debiti in danaro da pagare fatti in occasione di quell’Olimpiade (affermazione che alcuni esperti hanno sostenuto essere priva di fondamento, per altro), ma perché non dice che quell’evento memorabile lasciò una eredità morale, di valori e d’immagini ancora oggi inesauribile? Una medaglia olimpica non è solo un pezzo di metallo più o meno prezioso, ma sono modelli di vita, valori, obelischi luminosi che possono guidare i giovani nelle strade sassose della vita!
Le Olimpiadi del 2024 se fossero state fatte a Roma avrebbero dovuto seguire il copione scritto 56 anni fa, con una aggiunta di cui si è parlato poco: le paraolimpiadi. Nel 1958 il medico italiano Antonio Maglio, direttore del centro paraplegici dell’Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli infortuni sul lavoro lancia l’idea di accodare i giochi dei “diversamente abili” all’edizione del 1960 della XVII Olimpiade. Da allora, la manifestazione ha preso piede e nelle città dove si svolgono sono uno stimolo per rimodellare il tessuto urbano secondo le necessita dei cittadini diversamente abili disabili. Forse l’appuntamento del 2024 a Roma avrebbe potuto diventare l’incentivo a “rammendare la città” come dice l’architetto Renzo Piano, secondo le esigenze di tutti i suoi cittadini.
Perché quindi non pensare alle Olimpiadi del 2024 per far sapere al mondo che gli italiani hanno un progetto politico e culturale per uscire dalla crisi, hanno ricostruito la città di Roma secondo le esigenze di tutti i suoi cittadini, hanno una politica lungimirante per l’Africa e quando si dipingono il viso e le mani di blu, lo fanno perché credono nei valori dell’Europa ma soprattutto sono capaci di “serrare le fila” e di muovere all’attacco della trincea del futuro?
Volare oh, oh
cantare oh, oh
nel blu dipinto di blu
felice di stare lassù
e volavo, volavo felice più in alto del sole
ed ancora più su
mentre il mondo pian piano spariva lontano laggiù
una musica dolce suonava soltanto per me!