A proposito di “Un dio ti guarda”
Dio, Patroclo e Zoff
Sandro Veronesi insegue l'epica dello sport e la raggiunge attraverso il ritratto di campioni (acclamati, mancati o dimenticati) che sovrappongono la vita all'agonismo
A che cosa somiglia un libro che raccoglie articoli di giornali sullo sport pubblicati nel corso degli anni? Ad un album di ricordi, ad un calendario capriccioso, ad una antologia personale, oppure è il semplice tentativo di salvare dall’oblio emozioni che fecero battere il cuore, sgranare gli occhi e mettere mano alla penna? Il libro di Sandro Veronesi Un dio ti guarda (La nave di Teseo, 201 pagine, 17 Euro) è tutto questo, perché in queste pagine vive una passione capace di trasformare l’emozione in inchiostro e lo sport in epica.
Ora noi sappiamo che l’epica viene da lontano, è linguaggio antico ma vivo, corale e prorompente ancora oggi. Si intreccia con la guerra ma nel suo lato festoso da vigore allo sport, fissando nel tempo quello che era frammento, bagliore, luccichio di muscoli. Chi non ricorda i passi dell’Iliade dove in onore di Patroclo si scontrano due pugili al cesto e uno dei due fa volare i denti all’altro? Immagine questa che ritorna nello scontro fra Ali e Foreman, come sottolinea Veronesi quando Alì colpisce Foreman: «Una rapidissima combinazione lo centra in pieno volto, generando una delle fotografie più leggendarie della boxe, quella del suo volto stupito circondato dagli spruzzi del sudore schizzato a raggiera per il contraccolpo». E Achille che trascina il corpo di Ettore sotto le mura di Troia, non ricorda i giri di campo delle squadre vittoriose con la coppa in mano, il rovinare per terra dei giocatori, come ad invocare la forza dalla madre terra, gli urli dagli spalti dei nemici, ecc. ecc.? Frammenti, scene, piccoli racconti, storie di vita, riflessioni (bellissime quelle sulle seconde file della Juventus e sul numero 12) di questo è fatto il libro, cercando nell’economia dello spazio messo a disposizione dal giornale di ricreare quella magia che solo un gesto eroico sa dare.
Se dovessi paragonare lo sport ad un mese dell’anno, lo paragonerei al mese di Aprile, quando l’inverno è passato, la primavera è matura e davanti si vede l’estate radiosa, ma lo scrittore di sport è invece simile ad ottobre, il mese della vendemmia quando egli raccoglie l’uva e la trasforma in vino, per farlo maturare nel lungo inverno della lettura. Trasformare l’uva in vino è compito di chi lavora con le parole e deve trovare nella cronaca sportiva domenicale quella cosa che trasformi il fatto in storia e se il fermento delle parole è stato fatto ad arte, capace di trasformare la storia in epica. Ed “epici” sono molti ritratti che Sandro Veronesi inanella nel suo libro: quello di Isabel Letham, l’australiana che per prima si alzò in piedi su una rozza tavola da surf nel 1914; del portiere Zoff; dell’allenatore di calcio Lippi; dell’attaccante Baggio, del ciclista Cipollini; del navigatore solitario Tabarly; del tennista Federer; dello sciatore Tomba; del paracadutista Patrick de Gayardon, colui che ispirò l’invenzione della tuta alare, che trasforma l’uomo in un kamikaze che solo all’ultimo secondo fa lo sberleffo alla morte aprendo il paracadute.
Questi ritratti sono epici, ossia destinati a fissarsi nella mente del lettore, ma viene da chiedersi a quale lettore si rivolge Veronesi. Ecco, io credo che con queste pagine egli continui il suo rapporto con gli amici di Prato con i quali ha condiviso l’adolescenza, perché le cose che egli mette in evidenza in ogni pezzo sono quelle che piacciono ai giovani sognatori. Insomma, in questa scrittura soffia un vento di strada che raccoglie i gerghi popolari e fa risuonare la prosa di un vocio simile a quello che si sente quando un gruppo di amici si siede ad un “bar sport” qualunque e commentano, giornale alla mano, le notizie di sport. Un vento di strada che raccoglie espressioni del tipo «Tabarly non si legava mai alla barca, era come quelle pornostar che non usano il profilattico». Oppure: «Le parole se le porta il vento e le biciclette i livornesi». Ma anche: «La Gazzetta d’agosto era una voragine rosa piena di nulla». Senza dimenticare: «Mentre Rivera e Domenghini cincischiano, anche per ricordare chi sono, dove sono…», ecc. ecc. Ed è proprio questo vento fresco e polveroso che soffia nel linguaggio a dare il tono alla prosa, risultando così divertente e sbrigativo.
Poiché non posso commentare tutto il libro, voglio sottolineare tre cose. La prima si riferisce a Cassius Clay, la seconda al portiere Zoff ed al golden gol e la terza al marciume dello sport.
Abbiamo detto epica e l’epica nasce con le parole e si prolunga nelle parole parlate della radio, chi non ricorda i versi di otto sillabe che Ferretti pronunciò alla radio nel giugno 1949: «Un uomo solo è al comando, la sua maglia è bianco celeste, il suo nome è Fausto Coppi»? Ma oggi l’epica è anche immagine grazie prima alla fotografia e poi alla televisione. Dei disastri e delle meraviglie che la televisione ha fatto allo sport non possiamo parlare, ma di alcune immagini le sono grato: della fotografia delle Olimpiadi di Città del Messico del ‘68, quando i due velocisti neri Tommie Smith e John Carlos alzano il pugno con un guanto nero; della partita Italia-Germania a Città del Messico del 1970, di cui si parla varie volte nel libro; della splendida immagine di Cassius Clay, già divorato dal Parkinson (malattia venuta a causa dei cazzotti di Foreman di cui si parla nel libro di Sandro Veronesi) che accende la fiaccola olimpica ad Atlanta nel 1996. In quella immagine gioventù, onore, gloria e fragilità umana si mischiano e rendono immortale quell’uomo malato. Chi ha detto che la malattia uccide lo sport? Come è evidente nelle paraolimpiadi che si tengono a Rio in questi giorni. Per essi è valido davvero il motto di De Coubertin, l’importante è partecipare, perché già esserci è una grande vittoria. Per questo non ho capito ill rifiuto di Pelè nell’accendere la fiamma olimpica: la vecchiaia o il tremore delle mani avrebbe fatto diminuire le vendite degli articoli da lui griffati?
Zoff è un monumento, inutile dirlo. Sobrietà, disciplina, pudore, talento si mischiano insieme ed il ritratto che ne fa Veronesi mette in luce tutti questi aspetti, dando al libro lo stesso titolo che campeggia sul pezzo scritto per il portiere. Ma non so perché, quando parlo di Zoff mi vengono in mente i coltelli lanciati dietro la schiena, gesto presente anche nel brano di Veronesi. Infatti, la famigerata regola del golden gol era una vera e propria pugnalata alla schiena. Quella che subimmo contro la Francia agli europei del 2000 fu simile, (Dio mi perdoni per il paragone!) all’uccisione di John Lennon da parte dello squilibrato David Chapman nel dicembre del 1980. «La via è quello che ti succede mentre stai facendo altri progetti», aveva scritto Lennon nella sua biografia. Ed era proprio quello che gli successe. Lui usciva da un albergo per i fatti suoi ed uno squilibrato l’ammazza. Questo fu il golden gol della partita Italia-Francia del 2000. L’Italia giocava bene, poi il tradimento del gol, ma più tradimento ancora fu il commento di Berlusconi il giorno dopo. Seconda pugnalata alla schiena. Il presidente del Consiglio che redarguisce l’allenatore della Nazionale. Zoff si dimise ma come sottolinea Veronesi le dimissioni furono frettolosamente accolte.
Per quanto riguarda il marciume nello sport, in queste pagine non se ne parla molto, ma c’è un episodio significativo che sottolinea il fenomeno: quello della pornopattinatrice Tonya Harding che nel 1994 fa rompere il ginocchio con un manganello alla sua rivale Nancy Kerrigan, per vietarle il sogno delle olimpiadi. È questa una cronaca allucinante di uno scontro fra due atlete che sognano la gloria, la popolarità, il danaro. Sulla qualità umana delle atlete ma anche delle varie giurie meglio stendere un velo pietoso, a ricordare che se anche nelle paraolimpiadi che si tengono a Rio sono stati esclusi atleti a causa del doping, allora in questi casi l’epica diventa cronaca nera, e la partecipazione alle olimpiadi un comitato d’affari.
Nei casi di marciume nello sport non possiamo dire che l’eroe sportivo è l’uomo che mette splendore nelle sue azioni, e pertanto viene guardato da un dio, ma l’eroe corrotto è uno che mette marciume nelle sue azioni e fa girare il volto di Dio da un’altra parte.