Italia, primo agosto/12
Senza un caffè
La giornata di un italiano nel grande Nord, dove la natura si impone come se fosse un grande reperto storico. Anche se la mattina bisogna sempre rinunciare a qualcosa...
Il primo agosto comincia male, malissimo, nel peggiore dei modi, quando un italiano resta senza un caffè nel raggio di chilometri. Sono ad Akranes, cittadina dell’Islanda sudoccidentale che in questa domenica addormentata sembra non volersi proprio svegliare, men che mai offrire qualcosa al turista di passaggio. Di passaggio, certo, anche perché onestamente non c’è granché da vedere. Località di pescatori, colonizzata già nell’880 da due fratelli irlandesi, poi dal Seicento scalo commerciale di una qualche importanza, vanta soprattutto un enorme cementificio in cui viene utilizzata sabbia ricavata, a quanto pare, da gusci frantumati di molluschi. Tanta sabbia, un’infinità di molluschi, dice la mia guida, al punto da soddisfare il fabbisogno di cemento dell’isola intera; ma nient’altro, e soprattutto niente caffè, non di domenica, non di mattina presto. Non per un italiano abbacinato e travolto dalla luce del grande Nord.
In questi frangenti, se si è davvero costretti dalle avversità, si fa quel che si detesta maggiormente: nel mio caso, mettermi in macchina contrariato e guidare a digiuno (che per me significa: senza aver preso un caffè!), alla ricerca di posti più accoglienti. La strada verso Borgarnes scorre liscia e monotona, per lunghi tratti come tracciata con il righello: l’ideale per conciliare nuovamente il sonno, non fosse per l’inverosimile bellezza dei paesaggi e per i cavalli islandesi lasciati liberi al pascolo, che ti costringono quasi a fermarti sul ciglio della strada per fotografarli e si avvicinano curiosi e disinvolti, ma al tempo stesso diffidenti. Un solo gesto della mano, se appena brusco o non abbastanza meditato, basta a farli allontanare, a ispirare un senso di minaccia. Cosa vorranno mai questi estranei? Con i loro modi tranquilli e le Reflex bene in vista promettevano ben altro: un quarto d’ora di notorietà, magari, o almeno un paio di zollette di zucchero. E invece sono a mani vuote, e vagamente irritati, per di più.
A Borgarnes si arriva percorrendo un breve istmo che taglia il fiordo: il segreto – me ne renderò conto in seguito – è resistere alla tendenza di piegare a destra per il villaggio, e prendere invece a sinistra, come faccio grazie a una specie d’istinto, verso la punta occidentale. Anche qui è tutto chiuso, naturalmente, salvo le stazioni di servizio che a volte consentono anche di fare colazione, ma prima di rassegnarmi al triste destino di confondere nella mente benzina senza piombo e caffè, carburante per la macchina e per l’uomo, decido di andare avanti, di circumnavigare ancora, alla ricerca di santuari del caffè inesplorati. Il mio sforzo, mi dico, verrà certamente premiato; agosto non può piantarci in asso. È o non è il mese più propizio alla vacanza, il mese del rifondatore Augusto, che per eguagliare il luglio di Cesare ha sottratto un giorno al povero febbraio, prolungando l’estate? E allora, non può mica tradirci così, fin dal suo esordio…
Sulla sinistra, infatti, scorgiamo il Centro della colonizzazione o Landnámssetur, che dispone di un museo e di un negozio, nonché, al primo piano, di una sala ristorante. È aperta, o almeno sembra, invece no, forse, ma sì, si vede una luce, è aperta eccome; e per una specie di miracolo, unici avventori quali siamo, riusciamo a farci preparare un caffè, anzi un espresso, come si dice ormai ovunque salvo che da noi. La tazzina arriva solenne, aroma e gusto corrispondono alle aspettative, e la malinconia, quella vischiosa sensazione di precario e d’irrisolto che ci accompagnava, si allontana rapidamente, balugina e scompare insieme ai rimasugli dello zucchero di canna lasciati a testimonianza del nostro passaggio. A ridestarci, non è certo un semplice alimento o un genere di conforto, come l’ha catalogato l’OMS, ma una droga potente: onore in ogni caso all’arcangelo Gabriele che lo propose a Maometto, mettendo d’accordo, per una volta, religioni diverse e i loro litigiosi adepti.
Mi aspettano, d’ora in avanti, blocchi di lava, crateri, grotte con stalagmiti millenarie, fonti e cascate, pareti di basalto da scalare, poi lunghe ore di guida verso nord, fino al punto estremo, il villaggio di Blönduös, da cui la Ring Road volgerà verso Est, ma niente può arrestarmi, niente può più spaventarmi. Il mondo è di nuovo a portata di mano, una strada lunga e diritta da percorrere senza indugi, simile, in questo, alla scanalatura di un chicco di caffè.