Consigli per gli acquisti
Montalbano sogna
La realtà nera e la coscienza ferita di Montalbano nel nuovo Camilleri. Poi, il recupero di Emmanuel Bove, scrittore francese del (primo) Novecento, innamorato della tristezza
Disagio. C’è un eccellente autore francese di origine russa, Emmanuel Bove (1898-1945), che continua a essere ignorato dalla stragrande maggioranza dei lettori italiani. E ciò malgrado la più che meritevole iniziativa di alcuni nostri piccoli editori, gli unici, a parte una singola uscita della Feltrinelli, a scovare gioielli letterari attorno ai quali c’è o nulla o scarsa attenzione dei grandi gruppi. In questi giorni è uscita una sua raccolta di racconti, pubblicata da Fusta (di Saluzzo). S’intitola Una visita serale (122 pag., 13 euro). Il nesso tra un brano e l’altro è molto palese. Come scrive acutamente nella postfazione Claudio Panella, è lecito affermare che tutti i sette racconti (fino a oggi inediti in Italia) hanno come incipit questo interrogativo: «Come mai ero così triste?». È un tratto autobiografico di Bove, narratore molto stimato da molti, tra cui Colette.
La vita dell’autore non è stata facile, eppure è stato molto prolifico, apponendo la sua firma a una trentina tra romanzi e raccolte di racconti. E questo in soli vent’anni di attività. Quanto annota il postfattore è ancora più vistoso se si legge in Viaggio intorno a un appartamento. Il protagonista è Pierre Vilbert, che scrive «sempre con grande difficoltà». Ha svariate ossessioni: «nessuno deve toccare il mio tavolo…so orientarmi nel mio disordine», «il telefono non lo sopporto» e così via. Fa passare molte ore senza la penna in mano anche se avverte l’esigenza di «dare corpo alla sua professione immateriale». Vive con la moglie Marguerite, che è custode del suo altalenante lavoro incoraggiandolo a produrre testi per giornali e riviste e adoperandosi, con un certo piglio, perché lui si muova in un clima di ordine. Salvo che nel finale-che non sveliamo, ovviamente)-la donna, con una sola frase frantuma quel che il lettore potrebbe aver immaginato a proposito dell’armonia coniugale.
Migranti. Sempre più spesso Andrea Camilleri, riporta i sogni del suo commissario Montalbano. Sogni a volte premonitori, a volte intrisi di simboli che però sono facilmente decifrabili, come la morte e la vecchiaia. Lo fa anche nel suo centesimo libro (auguri di lunga vita, caro Camilleri: sappiamo che la vista la sta abbandonando) che s’intitola L’altro capo del filo, edito da Sellerio ( 298 pag., 14 euro). Avviene un delitto, vittima è una sarta raffinata che il protagonista ha conosciuto giorni prima. Caso molto difficile, intricato perché gli indizi sono esigui. Oltre a questo nodo impegnativo, c’è un contorno sociale drammatico: l’incessante sbarco a Vigata (invenzione geografica) di centinaia di migranti. Scattano l’urgenza e le difficoltà organizzative, cui Montalbano, nei suoi limiti, cerca di rimediare. Una sequela di casi umani molto toccanti. Arriva sulla costa siciliana, per esempio, un uomo vestito assai meglio degli altri che rivelerà poi di essere un musicista, con alle spalle varie tournée di prestigio. In piccolo, si fa per dire, Camilleri fotografa bene la realtà del nostro meridione, meta di barconi di disperati e di scafisti delinquenti. E l’autore, immedesimandosi nei pensieri di Montalbano, scrive: «La sò disciplina di sbirro gli consintiva di fari quello che doviva fari, ma a la so anima d’omo non ce la faciva a continiri tutta ‘sta tragedia». Catarella, il poliziotto che storpia comicamente ogni parola, la dice giusta quando chiama i migranti “sfollati”. Montalbano all’inizio nega il raffronto, ma poi gli dà ragione: se gli sfollati della seconda guerra mondiale si allontanavano dalle bombe e dalle sparatorie, la differenza sostanzialmente non sta in piedi. Altre curiosità. La fidanzata del poliziotto, la genovese Livia, diventa sempre più petulante e arrogante. Il commissario fuma più sigarette. Infine Montalbano, come del resto fa sempre, è un buon consumatore di libri. In questa vicenda legge un poliziesco italiano, storia di un vice-questore romano trasferito ad Aosta, confessando a se stesso che certe trame televisive rischiano di far capire poco.
Il pallone. È pur vero che gli Europei di calcio sono finiti, con la gradevole vittoria a sorpresa della squadra portoghese, ma di calcio si continua a parlare. È uno sport che non conosce soste, se non altro per gli acquisti e le cessioni di (fin troppo) milionari campioni. Nella raccolta di racconti edita dalla Sellerio (Il calcio in giallo, 337 pag., 14 euro) con il pallone s’intrecciano casi polizieschi. Gli autori, sempre della medesima casa editrice, sono: Aykol, Costa, Giménez-Bartlett, Mavaldi, Manzini, Recami e Savatteri). Al di là della vicenda in sé, è interessante quanto scrive il primo autore, un turco noto anche all’estero. Facendo muovere una libraria di origini tedesche, Esmahan Aykol descrive molto bene (che viva tra la Germania e la Turchia) il clima che si respira a Istanbul, clima che in questi giorni si è di molto deteriorato. Annota la protagonista: «Ho pensato che l’unico scopo per cui le piazze erano state sistematicamente eliminate non poteva essere il lucro, o una sbagliata concezione urbanistica, I regimi totalitari e dittatoriali ce l’avevano proprio con le piazze, luoghi dove la gente si raduna».