Pasquale Di Palmo
Italia, primo agosto/15

L’ex libris di Brodskij

«Attraversando il dedalo di calli prospiciente le Fondamenta Nuove, la mia attenzione venne attirata da un piccolo oggetto in una vetrina piuttosto tetra e angusta: un ex libris»

Brodskij amava i gatti. Ci sono varie istantanee che lo riprendono mentre accarezza gli amati felini. I gatti a Venezia la fanno da padroni, rappresentando il simbolo miniaturizzato, a suo modo casalingo, dell’emblema stesso della città: il leone di San Marco.

Non è un caso che la copertina di A part of speech riproduca quell’animale mitico, mostruoso e, al tempo stesso, rassicurante, come dichiara lo stesso Brodskij in un’intervista a Solomon Volkov che gli chiedeva il perché di tale scelta: «Perché è un animale che amo: prima di tutto perché il Vangelo di Marco mi interessa più degli altri Vangeli. Secondo, perché è piacevole: è una bestia feroce con le ali. Non che io mi ci identifichi, ovviamente, però… Terzo, perché è un leone istruito, che legge un libro. Quarto, perché penso sia una meravigliosa versione del mito di Pegaso (dal mio punto di vista). Quinto, perché se gli togliamo le ali, è il segno zodiacale di una persona che mi è particolarmente cara, anche se per volare fin lassù le ali sono sicuramente necessarie. E infine, perché è troppo bello! È proprio un animale magnifico!».

Parecchi anni fa stavo un po’ a casaccio attraversando il dedalo di calli prospiciente le Fondamenta Nuove quando la mia attenzione venne attirata da un piccolo oggetto, seminascosto in una vetrina piuttosto tetra e angusta. Mi fermai a osservare e mi accorsi che si trattava di un ex libris.

Lessi il nome e trasalii: ex libris Joseph Brodsky. Sopra la scritta figurava il disegno di un piccolo gatto appoggiato sopra un libro aperto (chiaro richiamo al leone di San Marco). Io posso privarmi di un paio di scarpe ma una chicca del genere, essendo un bibliofilo assatanato, non potevo farmela scappare. La tipografia (in quanto si trattava proprio di una piccola tipografia) era rigorosamente chiusa, nonostante fosse un giorno feriale. Aspettai una decina di minuti che il titolare, o chi per esso, potesse rientrare. Senza esito. Me ne andai con il proposito di tornare in un futuro non troppo remoto a recuperare l’ex libris del poeta russo, scomparso da pochi mesi.

Ebbene, mi trovai a più riprese a ripassare dalle parti delle Fondamenta Nuove. Cercai inutilmente la piccola calle e la tipografia. Non ero stato abbastanza previdente perché non avevo trascritto né il nome della calle né il relativo civico. Continuavo a girare a vuoto, come una falena che si approssimi troppo a una lampada e ripiombi, subito dopo, nell’oscurità. Dopo qualche tentativo infruttuoso rinunciai all’idea di acquistare quel rettangolino di carta che per me era diventato così prezioso. Addirittura cominciai a dubitare di essermi mai imbattuto in quella tipografia d’altri tempi, come se si trattasse di un singolare abbaglio della memoria.

A distanza di molti anni eccomi ancora dalle parti delle Fondamenta Nuove. Si trattava di un primo agosto e la giornata era estremamente limpida e assolata. Avevo voglia di camminare evitando la solita ressa dei turisti. Desideravo solo un po’ di quiete e solitudine, associate ai colori tenui di un paesaggio da acquerello.

Dopo aver percorso la Fondamenta dei Mendicanti che costeggia l’ospedale dei Santi Giovanni e Paolo, mi appoggiai alla spalliera di un ponte e osservai il panorama. Avevo di fronte l’isola di San Michele con la sua corona di cipressi di un verde tendente al nero, sulla sinistra affioravano dall’acqua le cime azzurrine delle Dolomiti, la laguna era di un verde-cilestrino con striature ramate. Mi veniva in mente quel passaggio delle Pietre di Venezia in cui Ruskin descrive un’escursione in gondola in una limpida giornata d’inverno mentre osserva, ammirato, affiorare dalla laguna le cime innevate delle montagne.

Nell’isola di San Michele riposano le spoglie di Brodskij. Mentalmente lo salutavo, recitavo una preghiera. Avevo visitato qualche tempo prima la sua tomba, immacolata, ricca di rose e rampicanti, dove alla base qualche anima pietosa aveva deposto una manciata di sassi, alla maniera ebraica.

Siccome era presto decisi di mettermi alla ricerca della fatidica tipografia. Trovai un paio di netturbini che, scopa rovesciata in mano, chiacchieravano in un campo limitrofo e chiesi loro se esisteva da quelle parti un bugigattolo di tal genere. Mi indirizzarono in una  calletta di cui non ricordo il nome e, dopo vari tentativi, mi imbattei nella tipografia. Lì per lì non mi sembrava la stessa, avevo l’impressione che fosse situata in un posto meno angusto rispetto a quello che ricordavo. Presumibilmente si trovava in una nuova sede, più aerea e spaziosa rispetto alla precedente.

In vetrina non figurava più l’ex libris. Entrai. Il titolare, oltre a varie chicche tra cui alcuni rari cimeli del Manuzio, a precisa mia richiesta aprì una cassettiera e mi mostrò gli ex libris desiderati. Mi raccontò che il poeta russo, durante uno dei suoi soggiorni veneziani, si recò da lui insieme a un amico (presumibilmente il conte Girolamo Marcello che lo ospitò a più riprese nella sua casa) chiedendo appunto di ricavare degli ex libris dal disegno di un gatto sdraiato sopra un libro aperto.

Si tratta di un piccolo rettangolo di cartoncino, di cm 7,5 x 6, che riproduce lo schizzo di un gatto soriano stilizzato in inchiostro rosso. Di fronte al prezzo irrisorio propostomi ne acquistai una decina di copie con l’intento di regalarne qualcuna agli amici (ma solo agli amici meritevoli).

Andandomene mi sovvenne il passaggio di Fondamenta degli Incurabili in cui Brodskij si paragona a un gatto, descrivendo il percorso inverso compiuto rispetto a quello che avevo intrapreso io per trovare il suo ex libris: «Camminai per mezzo chilometro lungo le Fondamenta Nuove – un piccolo punto in movimento in quel gigantesco acquerello – e poi voltai a destra all’altezza dell’ospedale dei Santi Giovanni e Paolo. La giornata era calda, piena di sole, il cielo azzurro, tutto incantevole. E voltando le spalle alle Fondamenta e a San Michele, rasentando il muro dell’ospedale, quasi strusciandolo con la spalla sinistra e strizzando gli occhi per guardare il sole, ebbi all’improvviso una sensazione: Io sono un gatto. Un gatto che si è appena pappato un pesce. Se qualcuno mi rivolgesse la parola in questo momento, risponderei miagolando. Ero assolutamente, animalescamente felice».

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