Dopo il terremoto
Le parole della terra
La terra che trama contro la vita è un mistero che scandisce le paure e le speranze. Non basta la scienza a capire quale sia linguaggio attraverso il quale la natura comunica
Il terremoto, sia esso di grande o di piccola intensità, è il fenomeno naturale che più spaventa per la sua imprevedibilità, e forse proprio per questo si può vedere come una terribile metafora della vita. In un attimo, senza alcuna ragione apparente, si sprigiona un vento sotterraneo così devastante da distruggere tutto, edifici, muri, strade, montagne, persone. E la devastazione il più delle volte è capricciosa, perché colpisce in modi diversi larghe fette dello stesso territorio. Questa immane forza non la vedi, la senti soltanto, ma l’attimo in cui la senti può essere già troppo tardi. Si dice che prima di un terremoto gli uccelli tacciano, i gatti siano nervosi e gli animali si muovano in modi inconsueti. La ragione di queste improvvise rotture dei comportamenti abituali dipende dalla loro capacità di intendere il misterioso linguaggio della terra. La quale terra prima di esplodere comincia a mormorare parole che gli uomini non riescono a capire, a liberare silenziose doglie che preparano l’ultimo velenoso travaglio.
Quando poi la terra comincia a battere i denti di roccia e a far stridere le sue orribili mascelle, gli uomini nel subire tanto orrore si chiedono perché mai all’improvviso la natura abbia voluto rompere quel rapporto di fiducia che fino ad allora li teneva uniti. Lo sconvolgimento è tale che tutti si chiedono perché mai quella terra alla quale si sono consegnati come ad una madre, all’improvviso sia diventata ostile. Perché noi siamo figli della terra, figli del luogo dove siamo nati, della terra dove andiamo ad abitare, la quale però ogni tanto sembra uscire di senno!
Queste stesse riflessioni. fatte al mattino del 24 agosto guardando le macerie di Amatrice, le avevo fatte quando sentii il terremoto del 23 novembre 1980 a Salerno, ma soprattutto quando giravo come volontario fra macerie e disperazioni. La mia terra, la mia città alla quale pensavo e penso anche quando sono lontano, voleva uccidermi. Il luogo dal quale parte ogni filo dei miei pensieri mi voleva annientare! Quali le ragioni di questo tradimento? Non potevano essere ragioni legate ai miei comportamenti, perché non ero capace di commettere colpe così malvagie tali da provocare devastazioni di questa portata! Ed allora perché la madre terra si vendicava con crudeltà contro di noi?
Non ho mai dato risposte a queste domande e ancora oggi non so che cosa rispondere, a parte ripetere le ragioni della scienza. Ma in attesa che venga scritta una scienza così dettagliata che spieghi la frenetica causalità della vita sulla terra, penso alla misteriosa grandezza dell’universo, al vuoto siderale che circonda la terra, ai nostri desideri grandi quanto l’oceano ed alla fragilità del corpo umano. Immaginare questi abissi non mi riappacifica con la paura, mi fa solo sentire come una barca che naviga senza rotta su acque sconosciute.
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Anni dopo il terremoto del 1980 sono stato travolto da un diverso terremoto causato non dalla madre terra, ma dal mio corpo che della terra è figlio. Anche in quel caso, prima vi furono parole mai capite, poi avvertimenti non presi in considerazione, infine una violenta manifestazione. A un certo punto ebbi la stessa sensazione di un nuovo tradimento, questa volta operato dal mio corpo contro se stesso. Sotto la scorza della pelle si erano accumulati tanti velenosi detriti che minavano in modo irreparabile la sua stessa sopravvivenza. Insomma, ad un certo punto della vita, ebbi coscienza che al mondo esistono alfabeti invisibili scritti nelle viscere della terra o nelle viscere dei corpi degli uomini, alfabeti primordiali da sempre scritti nelle pagine della natura, che ad un certo punto si rendono manifesti e guidano la nostra vita verso destini sconosciuti.
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La natura! Che cos’è la natura? Una enorme realtà, sulla quale noi uomini come formiche annaspiamo frenetici ed inconsapevoli. Sulla scorza della terra vivono gli uomini, mentre sotto di essa un abisso di rocce possenti, di fuoco inestinguibile ruggisce da sempre. E questa sfera potente e immortale corre lungo orbite disegnate da sempre nel cielo. Di fronte a queste rivelazioni, io mi ritraggo sgomento e mi chiedo come sia possibile vivere fra tanti misteri, come un granello di sabbia sulla riva del mare accecato dal sole fra un’onda e l’altra.
Il mondo è nato prima di noi e continuerà a vivere dopo che l’avremo lasciato, in questo veloce battere di ciglia che è il nostro passaggio sulla terra l’unica cosa che possiamo fare è quello di cercare di capire i segni di questi alfabeti misteriosi, in modo da rendere meno devastante lo stupore nei confronti dell’apocalisse quando all’improvviso arriva.
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La televisione trasmette le immagini del campanile e le lancette dell’orologio fermo alle 3.37. Perché si insiste tanto su questo orologio, sulle lancette oramai ferme e sul tempo oramai immobile? Certo, quella icona – che verrà poi ripresa da tutti i giornali ed i canali televisivi – racconta che in quel luogo il tempo si è fermato. Così mi vengono in mente i calendari di fine anno con le ragazze che ad ogni mese fanno vedere il loro corpo fresco che sembra vivere al di sopra di tutto. Che differenza c’è fra l’orologio dissanguato ed il calendario pieno di vita? Il calendario non ferma il tempo, ma lo dilata nel futuro, e i corpi delle ragazze invogliano ad immaginare trame fantasiose, mentre le lancette dell’orologio ferito, circondato da macerie polverose, inibiscono i pensieri. Cosa fare, allora: sedersi fra le rovine e guardare l’orologio immobile del campanile oppure aggirarsi fra i detriti fino a consumare tutte le lacrime della disperazione?
Ancora una volta non so rispondere a queste domande, vorrei solo che le lancette dell’orologio riprendessero a camminare e che la madre terra facesse germogliare un futuro pieno di alberi, fiori e belle ragazze. Nel frattempo vedo il tempo come un fiume capace di trasformare il cielo in una palude e le stelle in piccoli diamanti.