Roberto Mussapi
Every beat of my heart, la poesia

Visione di Giulietta

L’età elisabettiana, pari all’Atene del V secolo, un’epopea di meravigliosi poeti… Ma a un certo punto entra in scena un certo Shakespeare che supera tutti, i tutti di sempre. Ecco i versi proferiti da Romeo quando la sua amata appare al balcone

È l’inizio della storia d’amore più grande di ogni tempo. Culmine del teatro e della poesia amorosa. Molti oggi hanno dimenticato che il teatro, nella sua origine e nella sua quintessenza, è poesia. Come ancora ricordava Thomas S. Eliot, la poesia nasce in tre generi: lirica, epica e drammatica. Accanto a Saffo Omero, accanto a Omero Eschilo. La tragedia greca è scritta obbligatoriamente in versi, e tratta obbligatoriamente argomenti alti: le origini del mondo e della vita, il destino, Amore e Morte. A un certo punto le strade si diversificheranno, con la nascita del teatro borghese, ma il periodo più fulgido che la scena abbia mai conosciuto, pari a quello della tragedia greca, e cioè l’età elisabettiana, è un’epopea di meravigliosi poeti, da Marlowe a Ben Johnson, che scrivono per la scena, moltiplicando il proprio io in tanti personaggi. Pari, all’Atene del V secolo, l’età elisabettiana… fino a un certo punto, perché vede entrare in scena un certo Shakespeare, che supera tutti i tutti di sempre.
Riflettiamo su come qui, nell’apparizione di Giulietta al balcone, la suprema lirica si fonda con la più profonda cosmologia. Romeo la vede più luminosa della luna, non sua ancella: dall’antichità la luna è l’astro opposto al Sole, Shakespeare non ancora appreso dalla scienza come questa sia un satellite, materia grigia, della stessa sostanza della terra. Anche se capace di riflettere, ma non di generare luce. È un incanto, non un astro. Shakespeare non dovrebbe ancora saperlo, ma lo sa già: Giulietta, donna meravigliosa, ma di carne e ossa (e infatti condannata a morire, sacrificata alla violenza cosmica del cosmo-Verona) è della stessa sostanza materiale della luna, e la supera. Non può superare le stelle, che sono luce autoprodotta, splendore assoluto ed eterno. Ma le stelle, a noi irraggiungibili, forse sono dentro di lei. Non le può superare, ma esserne abitata, come può accadere agli umani dal divino.
Romeo sta in basso, nel buio, contempla lei in alto. Gli uccelli, per lo splendore di Giulietta si ingannano, credono che la notte sia finita, con la sua apparizione, cantano.
Giulietta è più della luna. La sua luce non è fredda e riflessa, è il miracolo dei suoi occhi, da cui nasce Amore.

 

 

shakespeare

Romeo e Giulietta
(Atto primo, scena seconda – Giardino casa dei Capuleti)

ROMEO (venendo avanti) – Non brucia cicatrice dove non sanguinò ferita.

(Entra Giulietta in alto)

Ma piano. Dalla finestra… che luce, che luce appare?

È l’Oriente, e Giulietta il sole!

Sorgi, bel sole, e uccidi la luna invidiosa,

già pallida e ammalata dal rancore

che tu, sua ancella, sia infinitamente più bella.

Non puoi più essere sua ancella: ti invidia.

Il suo abito di vestale è verde e spento,

solo le stupide lo possono indossare. Via!

Lei è la mia signora… il mio amore!

Potesse, potesse saperlo, anche lei!

E parla… Eppure non dice niente. Che importa?

Il suo occhio parla, a lui risponderò.

Esagero. Non è a me che parla.

Due delle più luminose stelle di tutto il cielo

prese in altre cure chiedono ai suoi occhi

di splendere nelle loro sfere fino al ritorno.

E se i suoi occhi fossero lì, e loro nella sua testa?

La luce della sua guancia umilierebbe quelle stelle

come quella del giorno cancella una lampada.

I suoi occhi splendono così luminosi nel cielo e nell’aria

che gli uccelli cantano pensando che non è notte.

Guarda come posa la guancia sulla mano…

potessi io essere un guanto su quella mano,

per poter io toccare quella guancia!

William Shakespeare
(Traduzione di Roberto Mussapi)

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