Every beat of my heart, la poesia
Il libro più bello dell’anno
Così Ungaretti definì “Il Porto Sepolto”, la sua prima raccolta poetica di cui ricorre quest’anno il centenario della prima edizione. Sulla scia del saggio di Leone Piccioni dedicato a questa ricorrenza, Roberto Mussapi rilegge “Veglia”…
Il Porto sepolto è uno dei libri e dei momenti più alti della poesia del Novecento. Il titolo, magico per l’addormentarsi della “r” e della “t”, consonanti forti, roboanti e battenti della parola Porto – che indica salpare e approdare – e nella liquidità dell’aggettivo Sepolto, non è, come potrebbe anche essere considerato legittimamente, un ossimoro: in parole povere, un’espressione che contiene due affermazioni opposte, al fine evidente di una sintesi complessa e intuitiva. È titolo più archeologico, pensando alla storia dell’uomo: il porto – da sempre luogo di partenza, avventura, pensiamo a Genova, alle Repubbliche Marinare, alla Londra elisabettiana, e di ritorni attesi, sperati, pregati, spesso forieri di beni, tesori, o merce (aimè, anche schiavi), comunque vita proveniente da lontano – è “sepolto”: come dalla sabbia desertica evidentemente operante nella poesia di Ungaretti, italianissimo nato in terre arabe, memore di distese sabbiose e di pulviscolarità dell’essere.
La guerra, il dolore, addormentano, seppelliscono il porto. Ungaretti, il giovane grande poeta militare, al fronte, accanto al soldato suo commilitone ucciso. Compagno al suo fianco è lacerato, straziato.
Bellezze della guerra.
Ma il poeta soldato in quello strazio, in quella notte infinita scrive solo pagine d’amore. Non è mai stato così attaccato alla vita.
Su queste pagine abbiamo già letto del saggio fondamentale di Leone Piccioni Ungaretti e il Porto Sepolto (edito da Succedeoggi, Roma, vedi https://www.succedeoggi.it/wordpress2016/06/cera-una-volta-il-porto-sepolto/). Libro esile e memorabile. Storia di letteratura e, come dicevano i tromboni di un tempo, “di un’anima”. Ma ci prendevano, nella sostanza, se si pensa a certi cronisti di oggi.
Soffici, Apollinaire, Pascoli, D’Annunzio, Piccioni mescola maestri e commensali di Ungaretti, da saggista completo, capace di giungere all’unicità di un libro e di un autore. Ci racconta la storia di quello che Ungaretti definì «il libro più bello dell’anno».
Un rimpianto: che peccato, per poeti della mia generazione e anche di quella precedente non avere avuto lettori e custodi e messaggeri spirituali come Leone Piccioni. Fortunato il grande Ungaretti.
Veglia
Cima Quattro il 23 dicembre 1915
Un’intera nottata
buttato vicino
a un compagno
massacrato
con la sua bocca
digrignata
volta al plenilunio
con la congestione
delle sue mani
penetrata
nel mio silenzio
ho scritto
lettere piene d’amore.
Non sono mai stato
tanto
attaccato alla vita
Giuseppe Ungaretti
(Da Il Porto Sepolto)