Visto al Napoli Teatro Festival Italia
Il dolore/spettacolo
“David è morto", il nuovo spettacolo di Babilonia Teatri spettacolarizza quattro suicidi per normalizzare l’inaccettabile malattia, la vergognosa e limitativa disabilità, la crudele morte
David è morto. Il come e il perché poco contano. Quello che è certo è che David è morto suicida e dopo di lui, sua sorella Iris ne ha copiato le gesta, e poi suo padre, e poi sua madre. Tutti suicidi mossi dalla proprie motivazioni che decidono consapevolmente di mettere fine alla farsa familiare in cui vivevano. La loro morte diventa spettacolo. Tutto fa spettacolo e audience. A raccontarcelo sono gli stessi protagonisti. E proprio David comincia. Alle sue spalle, un grande cuore formato da neon a luci rosse. Al centro, il vuoto, così come vuoto è il cuore dei cinque protagonisti. Sì, cinque, perché alla saga familiare si affiancherà Alex, una pop star caduta in depressione per il timore di non essere più all’altezza del successo raggiunto.
Ma andiamo per ordine. Una voce narrante presenta al pubblico personaggi e fatti. Per ognuno una musica di introduzione come nella migliore tradizione melodrammatica. Per David c’è Tender dei Blur. Ma per David c’è anche un pallone da basket col quale entra in scena palleggiando e dal quale battere veloce scandisce il tempo della propria storia. Una storia narrata senza alcuna agogica; in maniera amorfa. Monotono. Unica differenziazione è l’intensità di frequenza con la quale sceglie di accentuare e diminuire, rendere quindi acute e gravi, alcune parole chiavi. Prima fra tutte ‘rosso’, perché rosso è il colore disprezzato dal padre e lui per la sua morte si sarebbe vestito interamente di rosso, tagliato le vene in verticale (perché quelli che se le tagliano in orizzontale – dirà David – in realtà vogliono essere salvati e meritano solo disprezzo perché non rispettano le sacre regole del sapere suicidarsi); e riversato su un letto di sangue.
Così come ha fatto Iris, sua sorella che prima di impiccarsi ha estratto con una siringa dal suo corpo tutto il sangue possibile e con lo stesso ha tinto le pareti della sua stanza. Casta Diva cantata dalla Callas fa da colonna sonora all’incontro tra Iris e David, morti, al chiaro di luna, seduti sulla riva di un fiume. Si fanno il solletico. Ridono. Sono finalmente felici. La loro è stata la scelta migliore che potessero fare per migliorarsi la vita. Per Iris, stessa tecnica recitativa: asettica con picchi in grida su una lunga metafora scandagliata nel racconto tra il fare colazione con cibi salati ai quali è meglio preferire i dolci perché – come dirà Iris – «ti addolciscono il giorno».
Il rock alternativo dei Placebo accompagna l’amplesso coreografico della disperazione dei genitori quando scopriranno la morte dei loro figli. Qui la recitazione muta registro. Il racconto è all’unisono. Le due voci si sposano scorrendo per gradi congiunti alla stesse altezze. Il sentimento è il medesimo: dolore e vergogna. O vergogna e vergogna, per essere stata una famiglia così disgraziata ed ora in bocca a tutto il paese. Del padre si sa che odia il rosso, che ama David più di Iris, ma che finge di amare Iris più di David; della madre, che folle dal dolore, ogni sera cucina per quattro e apparecchia per quattro. Tutto sembra essere normale, ma in frigo conserva un barattolo di sperma. Quei figli sarebbero rinati e tutto sarebbe ricominciato.
Il cuore viene calato. Croci sparse riempiono il palco. Anche al cimitero i genitori sono lontani dai figli. Il quadro finale li vedrà tutti insieme riempire il vuoto del grande cuore posizionato a terra. Sipario. La voce fuori campo ordina di chiudere tutto. È il suo momento. Al centro palco compare d’improvviso un uomo. È un cantante la cui ultima canzone è stata un successo plateale, racconta. Ma preso dal timore di deludere le aspettative del pubblico compie il gesto estremo non dopo avere prima composto la sua ultima canzone dal titolo David è morto. Il sipario si riapre. La famiglia diventa una rock-band. Ognuno impugna la sua chitarra elettrica e finge di suonare. Suonano e fingono tutti fino alla morte, sepolti da una fitta nevicata. Sipario.
Lo spettacolo David è morto, presentato al Napoli Teatro Festival Italia, è stato scritto e diretto da Valeria Raimondi e Enrico Castellani, fondatori della compagnia Babilonia Teatri, due volte vincitrice del Premio Ubu (2009 e 2011) e di un leone d’argento per l’innovazione teatrale alla Biennale di Venezia (2016). È tecnicamente corretto citare gli autori dello spettacolo all’inizio del racconto.
Il motivo per cui sono stati menzionati solo alla fine è chiaro: uno spettacolo di tale bellezza poteva solo portare la firma dei Babilonia Teatri, da anni attenti e profondissimi studiosi della meccanica della malattia, della disabilità e della morte, reale e apparente (Pinocchio fu altro mirabilissimo spettacolo con protagonisti «Gli amici di Luca», l’associazione/compagnia di sopravvissuti al coma).
Il loro teatro non scopre nulla di nuovo ed in questo sta la loro bellezza. Fa esattamente quello che il teatro ha (o dovrebbe aver) sempre fatto e cioè parlare del nostro tempo e stimolare lo spettatore alla riflessione, a porsi delle domande. A darsi delle risposte. Non un teatro “sperimentale” o di “ricerca”, ma “pop”, non nel senso di genere, ma abbreviazione di popolare. Di popolo e non ghetto elitario come a volte può crearlo il teatro contemporaneo. Infatti per il progetto David è morto, i Babilonia hanno richiesto tramite la loro social pagina Facebook un self-video a chiunque fosse interessato a lavorare con loro. Unico requisito voluto: nessuna tecnica attoriale, ma solo verità da esprimere nelle oramai caratteristiche salienti del teatro di Babilonia: il recitato da rap sincopato, il flusso di coscienza, parlare per elenco, lo stile talent-show con topos della voce fuori campo del narratore/presentatore delle storie non create, ma solo riportate dalla realtà in scena; la tecnica dell’immedesimazione che si alterna con l’estraniamento più totale, ma soprattutto la conoscenza profondissima di ciò che si racconta perché vissute personalmente.
Tutto questo rende gli spettacoli dei Babilonia Teatri emozionanti. Indimenticabili. Tutto questo ancora all’insegna di un teatro socialmente utile in cui lo spettatore, sempre protagonista perché chiamato a partecipare attivamente allo show, sì, show, perché malattia, disabilità e morte non sono mai trattati con pietismo e patetismo, ma dissacrati in chiave pop-rock.
E la dissacrazione dei Babilonia Teatri consiste nel normalizzare l’inaccettabile malattia, la vergognosa e limitativa disabilità, la crudele morte. Se vi fosse amore tutto sarebbe più sopportabile. La malattia e la disabilità non più fardelli. La morte non più liberazione. Ma per l’amore non basta ancora il teatro. Per quello ci vorrebbe un miracolo.
Degli attori, David è Filippo Quezel; la sorella Iris è Chiara Bersani; Alex il musicista è Emiliano Brioschi; Alessio Piazza, il padre; la madre, Emanuela Villagrossi, un solo aggettivo: straordinari!
Le foto sono di Eleonora Cavallo