Every beat of my heart, la poesia
Che Billy sia con voi
Il monologo di Tatiana, regina delle fate, da “Sogno di una notte di mezza estate” con l’augurio che lo spirito del Bardo ci aiuti a guardare con simpatia ai nostri disturbi quotidiani. E anche con un po’ di poesia…
Parla Titania, regina delle fate: protesta, o battibecca, con il marito Oberon, loro re. Gelosie coniugali tra i due, tutte piuttosto fondate ma esilaranti, e rivelazioni sconvolgenti: nel Sogno di una notte di mezza estate Shakespeare comprende e svela come il mondo naturale della superficie (mare e maree, fiumi, campi, giardini, e con loro noi umani), è in realtà agito da esseri magici che vivono in questa nostra mezza altezza. Vi sono i messaggeri del cielo (il volatile, gentile Ariel della Tempesta), demoni inferi (le streghe di Macbeth), ma anche esseri rasoterra, elfi, fate. Dalla loro armonia noi abbiamo armonia nel mondo, mare quieto, fiumi gorgoglianti, messi rigogliose e frutti adeguati per ogni stagione. Così i nostri umori, la nostra salute. Se elfi e fate bisticciano, come qui accade sempre per colpa del geloso e rognoso Oberon (secondo la versione della moglie, naturalmente), ecco il disordine.
In una commedia geniale, in cui si svela come la nostra vita e i suoi intrecci siano tramati dal sogno, un sogno reso più dolce dalla mezza estate, Shakespeare manifesta la realtà di presenze intermedie, spirituali ma viventi e quotidiane, che agiscono sul nostro destino.
Mentre leggete il monologo indispettito e rivelante della regina delle fate, prendete con simpatia i disturbi quotidiani, cedete all’incanto onirico della commedia di Shakespeare, la vita come un sogno di una notte di mezza estate.
E, congedandoci qui, in every beat of our heart, per la pausa di agosto, portate lo spirito di questo sogno fino alla piena stagione, anche oltre, fino alla fine dell’estate.
Queste sono invenzioni della gelosia:
e immancabilmente, ogni volta,
quando all’arrivo della mezza estate
noi ci incontriamo in valli, colline, foreste o prati
sui ciottoli di una sorgente, o tra i giunchi di un ruscello
o sulle sabbie della riva del mare
danzando in cerchio al sibilare del vento,
sempre, immancabilmente tu mandi tutto a monte,
guastando con le tue scenate il nostro svago.
E così i venti, stufi di soffiare invano,
per vendicarsi hanno succhiato dal mare
vapori mefitici che scendendo sulla terra
hanno tanto gonfiato l’ultimo fiumiciattolo
da farlo straripare,
il bue ha trascinato invano il suo giogo
si è perduto all’aratro il sudore dell’uomo
e il grano verde è marcito prima
che la sua giovinezza avesse barba;
l’ovile è vuoto nel campo allagato,
e i corvi ingrassano col gregge ammalato;
lo spazio dei giochi degli uomini è un mare di fango
e i labirinti ingegnosi nei prati verdeggianti
non sono più praticati e riconoscibili.
Gli umani non sanno come rallegrare l’inverno,
Non c’è più notte benedetta con inni o canti:
quindi la luna, padrona di maree,
pallida d’ira, allaga tutta l’aria
pullulano malattie reumatiche di ogni genere…
Per questi squilibri climatici vediamo
le stagioni alterarsi: brina canuta
scende nel fresco grembo della rosa rossa
e sulla corona sottile e gelata di un vecchio inverno
è sistemata, come per scherno, una ghirlanda odorosa
di dolci boccioli dell’estate: la primavera, l’estate,
il fruttifero autunno, il rabbioso inverno,
si scambiano le consuete livree, e il mondo esterrefatto
non distingue più dai frutti una stagione dall’altra.
E tutta questa progenie di mali proviene
dai nostri litigi e dalle nostre discordie:
ne siamo noi i genitori e l’origine.
William Shakespeare
(Da Sogno di una notte di mezza estate, traduzione di Roberto Mussapi)