“La Traviata” all’Opera di Roma
Non solo Valentino
Tutto convincente nella messa in scena romana dell’opera di Verdi, già celebre per i costumi-opere d’arte firmati dal grande sarto e dal suo atelier, e per la regia di Sofia Coppola. Brave Violetta e Flora, apprezzabile la direzione d’orchestra, incisivo il coro
Durerà sino a fine giugno la serie di repliche de La Traviata, all’Opera di Roma. Traviata prodotta per la parte scenica da Valentino Garavani, il celebre creatore di alta moda, e Giancarlo Giammetti, mentre il versante musicale è stato naturalmente gestito dal Teatro dell’Opera. Chiaro che la presenza e l’importante impegno produttivo della Maison Valentino abbiano costituito l’evento, e indotto un’attesa febbrile, anche per il contemporaneo debutto nell’opera lirica della regista statunitense Sofia Coppola. Un incontro di grandi nomi, che non ha mancato di mobilitare, alla prima, il bel mondo e star internazionali.
Al di là delle aspettative spasmodiche, nell’insieme la messa in scena è apparsa senz’altro decorosa. Un po’ ha sorpreso l’impianto tradizionale della regia, a dispetto del nome altisonante; ma non è la prima volta che un regista famoso, al suo esordio nell’opera e in un clima questa volta reso stressante dall’occasione, si guarda da avventure e colpi di teatro. Pur optando per una scelta figurativa e convenzionale, Sofia Coppola ha messo a punto, con luci di Vinicio Cheli, una regia curata anche nei dettagli e nei movimenti di fondo scena, lontana da disattenzioni e scivolate da trantran. Il suo gusto cinematografico ha ottenuto dallo scenografo britannico Nathan Crowley, firmatario di diversi film, un impianto di sicuro impatto. Ecco quindi il monumentale scalone dal quale, al preludio dell’opera, lentamente discende Violetta, ecco i ricchi tendaggi e le ampie, panoramiche vetrate dietro le quali si intravedono le videoanimazioni. E proprio lo scalone ha creato l’effetto che occorreva per apprezzare il meraviglioso abito di Violetta, nero e arricchito da un mantello verde scuro con lungo strascico, primo dei quattro costumi che, per la protagonista, ha disegnato Valentino in persona: bianco il secondo, rosso Valentino il terzo, delicatamente tortora il quarto, per lo struggente finale. Vere opere d’arte, va detto, non soltanto di altissimo gusto in sé, ma ognuna perfettamente in tono con i successivi momenti della vicenda. Splendidi anche gli abiti di Flora, sobri ed eleganti quelli del coro, disegnati, come quelli dei danzatori, da Maria Grazia Chiuri e Pierpaolo Piccioli, direttori creativi dell’Atelier, e realizzati impeccabilmente dalla sartoria del Teatro.
Detto di Valentino – perché questa è la “sua” Traviata -, la direzione d’orchestra di Jader Bignamini si è fatta complessivamente apprezzare, tenendo bene in pugno le redini musicali di un allestimento così importante. Fraseggio, colori, scelte ritmiche hanno, nell’insieme, funzionato nell’economia di un’edizione che ha visto la giovane bacchetta italiana far fronte a un cimento particolarmente impegnativo. La trevigiana Francesca Dotto, giovanissima Violetta, dopo le difficoltà del primo atto, con forzature negli acuti e asperità nelle colorature, nel seguito ha poi trovato accenti intensi ed emozionanti, grazie alla morbidezza del registro centrale. E se dovrà meglio calibrare equilibrio e definizione interpretativa del suo personaggio, avvantaggiandosi dell’esperienza in un ruolo che sta molto eseguendo, le va dato atto che, superate le ansie di un “prima” certo elettrica, in replica ha saputo apertamente commuovere. Il tenore Antonio Poli, al suo fianco, se ha esibito bei mezzi vocali, pieni e omogenei in ogni registro, non ha però saputo attribuire corrispondente espressività al suo Alfredo Germont, poco scandito nei chiaroscuri dell’animo. Magnifico il baritono Roberto Frontali come Germont padre, con tutte le sue mielose sfumature e pieghe. E molto brava anche Anna Malavasi, convincente Flora. Incisiva la prova del coro, del quale è a capo Roberto Gabbiani. Particolare merito va inoltre riconosciuto alla coreografia di Stéphane Phavorin, che ha saputo trarsi fuori con elegante leggerezza dai rischi oleografici delle danze di zingarelle e toreri, guidando gli elementi del corpo di ballo del Teatro a una partecipazione più che convincente.