Un racconto inedito
Lui, Mime Van Osen
«Ci siamo conosciuti all’Ippolita il giorno del compleanno di Samantha. I nostri sguardi si sono incontrati mentre brindava con il suo uomo. Occhiate reciproche. Non riuscivamo a smettere»
A volte non riesco a fare un discorso di senso compiuto. È successo anche durante l’ultima intervista televisiva, dovevo parlare del nuovo progetto sul complesso di abitazioni di piccola taglia per gli immigrati e i senzatetto della città appena approvato all’urbanistica. La struttura dell’ex manicomio in centro e nel verde sarà l’abitazione degli ultimi. Senza filo logico annaspavo in un labirinto di parole prive di costrutto. Incapace di essere me stesso, di dare degna rappresentazione alla mia professionalità di architetto etico.
È l’una di notte. Rimugino sulle mie apnee comunicative, sul mio lavoro, su Samantha che dorme accanto a me. L’ho conosciuta l’estate di quattro anni fa al Prado mentre ammiravo la Maja desnuda. Un caldo insopportabile e pochi visitatori. Ero alle sue spalle davanti alla tela. I capelli ben raccolti e intrecciati dietro la nuca fissati da un fermaglio vintage. Il corpo intrigante e maestoso mi hadistratto dall’impareggiabile trasgressione sensuale di Goya.
Girò verso di me lo sguardo bruno, vellutato e ironico, cominciammo a parlare e ci avviammo verso l’uscita. Mi raccontò la sua vita a Verona, i sacrifici per mantenersi agli studi, poi l’ingresso nel mondo dell’arte: la pittura, le mostre e le recensioni del critico famoso. Sognava un atelier come quello di Cézanne ad Aix-en-Provence. Continuammo il nostro giro in Spagna e poi in Portogallo. Alla fine delle vacanze venne a vivere nel mio appartamento di Pescara sul Porto Canale. Con lei mi sono liberato di tanti tabù, ma negli appuntamenti importanti della vita riemergono sentimenti di disagio, di indegnità e inadeguatezza nei confronti degli altri. Quasi a riconfermare la litania incalzante e schernente di mio padre: “Non sai combattere. Non hai le palle!” Sto pensando di riprendere le mie sedute dall’analista.
Il giorno del suo trentesimo compleanno, circa un anno fa, per festeggiare siamo andati sulla costa, a San Vito. Ci piace quello scorcio dell’Adriatico: gli azzurri e i verdi. Il silenzio selvaggio, i profumi del mare, i frutteti e gli oliveti. Qui, tra la spiaggia e gli scogli, palafitte sul mare, si ergono i trabocchi. All’Ippolita abbiamo consumato il nostro guazzetto di pesce bollente. Il brindisi e la pizza dolce. Poi ci siamo diretti verso l’eremo del vate. A picco sul mare.
È poco distante la piccola costruzione malandata che abbiamo acquistato per farne un centro d’arte e d’architettura lontano dal traffico. Siamo saliti percorrendo il viottolo delle ginestre. Quando siamo arrivati ha stralunato gli occhi davanti alla smagliante ristrutturazione con mattoni riportati a vista. “Per il tuo compleanno!” le ho detto. Incredula e gli occhi umidi. Un regalo inaspettato. Qualche giorno dopo, l’inaugurazione. Al pianterreno il mio plastico sul recupero dell’ex manicomio. Al primo piano le sue tele astratte. Bella festa e molti amici.
È l’una di notte. Non riesco a prendere sonno. Penso a Genny.
Ci siamo conosciuti all’Ippolita il giorno del compleanno di Samantha. I nostri sguardi si sono incontrati mentre brindava con il suo uomo. Occhiate reciproche. Non riuscivamo a smettere. Il suo compagno si chiama Arturo. L’ho visto qualche volta all’ordine. Ho saputo che mi chiama Spada nella roccia. Dice che sono uno che non molla, che so raggiungere gli obiettivi. Vorrei che lo sentisse mio padre. Prima di uscire dal ristorante sono venuti al nostro tavolo. “Piacere”. “Arturo, Genny” “Enrico, Samantha.” Arturo si occupa della ricostruzione di alcune basiliche di L’Aquila distrutte dal terremoto. Mi ha chiesto un incontro per qualche consiglio. Ci siamo scambiati il numero di telefono.
Né lui né Genny si aspettavano l’invito all’inaugurazione. Quando sono arrivati mi sono sentito il viso rosso di colpo. Un adolescente alla prima cotta. Più tardi, impacciato, ho cercato Genny tra gli ospiti. Mentre gli mostravo il progetto per i senzatetto ho azzardato: “Ci vediamo?” Ha annuito senza esitazione. L’appuntamento per la settimana successiva. Avevo il nodo alla gola e la sudorazione alle mani mentre lo attendevo sulla porta in tuta sportiva. E’ arrivato in blu. La sua figura longilinea si stagliava nell’azzurro terso. Indossava jeans, dolce vita, giacca e sciarpa di seta. “Ciao”, la voce gli tremava un po’. Genny mi ricorda il primo amore nei bagni della scuola. Rimanevo lì anche un’ora con Massimo. Finché non ci beccò il bidello. ”Fai schifo. Sei una checca”, urlò mio padre quando rientrai a casa. Fuori di sé, con tutta la forza di un uomo di novanta chili, mi afferrò per i capelli con una mano e con l’altra mi sferrò un pugno nello stomaco. Caddi svenuto. Mia madre chiamò l’ambulanza. Avevo quindici anni. Da allora solo disistima per me. Quando ha saputo di Samantha ha detto a mia madre che forse si era sbagliato. Che suo figlio non poteva essere che maschio. Come lui!
Ho preso Genny per mano e siamo entrati. Non abbiamo detto parole. Via la sciarpa, la giacca, i pantaloni. Via la tuta. I nostri corpi comandavano nel letto mio e di Samantha. Dopo tanta finzione ero felice di essere me stesso. Genny invece non ha mai dovuto fingere. “I bambini nascono giusti è la società che è sbagliata!”, lo rassicurava la madre quando a scuola qualche insegnante o i compagni lo deridevano per le sue movenze. Anche Genny è felice accanto a me, nell’abbraccio il suo corpo stretto al mio non può mentire.Gennaro è l’uomo vitruviano in carne e ossa. Proporzioni perfette, ogni muscolo scolpito. Nei gesti emana qualcosa di sacro. Da quasi un anno ci incontriamo nello studio sulla costa. Siamo clandestini. Non saprei come dirlo a Samantha che è innamorata e vuole un figlio. Anche Arturo non reggerebbe il colpo. Quel giorno all’Ippolita lui e Genny stavano festeggiando la data del loro matrimonio in Spagna. Che Genny ora rinvia di stagione in stagione. Non sappiamo cosa decidere. Non vogliamo sofferenza intorno a noi. Ma ci siamo trovati e non rinunceremo.
Sono davanti allo specchio, mi osservo. Gli occhi verdi lunghi un po’ malinconici risaltano nell’incarnato scuro, due ciuffi neri ricadono laterali sulla fronte. Ho qualcosa del ritratto di Mime Van Osen.
Ho detto a Samantha che la settimana prossima vado a Barcellona, mi hanno nominato nell’équipe europea che lavorerà a al Portico della Gloria della Sagrada Familia, Genny mi accompagnerà per la documentazione fotografica. Ho comprato due papillon.