Carolina dall'America
Last Obama’s show
Nella sua ultima cena con i corrispondenti, Barack Obama ha indossato i panni del comico, irridendo amici e nemici. Ma anche togliendosi qualche sasso dalla scarpa...
Come tutti gli anni, si è svolta a Washington la cena per la stampa con i corrispondenti alla Casa Bianca e con alcune celebrità del mondo dello spettacolo tra cui Helen Mirren e un folto gruppo di attori del film Spotlight. Tradizionalmente, è un’occasione da parte del presidente di sfoggiare un umorismo leggero che si fa gioco principalmente di se stesso in prima persona, ma anche dei politici e della stampa in generale. Quest’anno è stata per Obama l’ultima cena della sua presidenza, e dunque si è scatenato, mostrando non solo un senso dell’umorismo inconsueto e degno di un grande comico, ma togliendosi anche qualche sassolino dalle scarpe. E gettando le basi per definire la sua legacy, ha trasformato questo evento in qualcosa di diverso da quello che era in origine.
Fino dai tempi di Reagan, infatti, il modello di umorismo era quello alla Johnny Carson che, non troppo irriverente, ma abbastanza pungente, faceva di quel momento un’occasione per dire cose che non si sarebbero mai dette in altri contesti più ufficiali. E così ad esempio, Clinton facendo riferimento al suo divenire “a lame duck” (un’ “anatra zoppa”, espressione usata per significare un presidente alla fine del suo ultimo mandato e dunque ormai senza più potere) mostrava un video in cui veniva lasciato tutto solo alla Casa Bianca e veniva abbandonato anche da Hillary impegnata nella sua campagna elettorale per il Senato. E George W. Bush rammentava le sue gaffe più famose e i suoi proverbiali errori. Anche Obama non è stato da meno e ha usato questo podio per fare ironia su se stesso e sulle sue speranze inziali. Così ha detto: «In piedi qui davanti a voi non posso fare a meno di riflettere e di essere anche un po’ nostalgico. Otto anni fa ho detto che era arrivato il momento di cambiare il tono della politica. Retrospettivamente penso che avrei dovuto essere più specifico».
E poi ancora sull’ostruzionismo totale del Congresso, durante i due mandati della sua presidenza ha detto: «Tra sei mesi sarò ufficialmente un’anatra zoppa, il che significa che il Congresso non rispetterà la mia autorità. e i leader repubblicani non risponderanno neanche alle mie chiamate. E a questo mi ci vorrà tempo per abituarmi. Non so come farò».
Ma Obama è andato oltre portando la comicità ad un livello più alto, più tagliente e significativo soprattutto sul piano dei contenuti. E non è un caso che il fulcro delle sue battute sia stato quell’essere a lame duck che proprio con lui ha acquistato un nuovo significato. Anche se ha scherzato su questa sua condizione di apparente debolezza, per esempio rivelando che il piccolo principe George di Inghilterra si fosse presentato al suo cospetto con la sua vestaglietta da notte. «Questo – ha osservato Obama – è stato davvero uno schiaffo in faccia. Una chiara rottura del protocollo». Ironia che è servita tuttavia anche per fare riflettere sul fatto che in questo breve lasso di tempo il presidente ha realizzato riforme assai importanti, sfatando le dicerie sull’inefficienza degli ultimi mesi di presidenza del secondo mandato. Ha siglato l’apertura a Cuba e l’accordo nucleare con l’Iran in politica estera e ha firmato quegli executive orders che in politica interna non hanno bisogno del Congresso. Tra di essi il controllo sul background di chi acquista armi, il pagamento dei giorni di malattia e l’aumento del salario minimo. A dispetto dei repubblicani sul cui comportamento ha ironizzato anche per quanto riguarda la sua recente nomina del candidato alla Corte Suprema.
E non ha risparmiato infine delle battute su alcuni candidati alla presidenza. Principalmente su Donald Trump di cui ha ricordato le accuse nei suoi confronti a cominciare da quella di non essere davvero cittadino americano per finire a certe sue affermazioni razziste e omofobe. Ma principalmente ha colto la vanagloria e la smania di protagonismo del miliardario americano che già da sole, senza l’aiuto di Obama, rasentano il ridicolo e il cattivo gusto. «Sono offeso dal fatto che non è (Trump) qui stasera – ha affermato Obama –. Ci siamo divertiti così tanto l’ultima volta. E questo suo comportamento mi sorprende. C’è una stanza piena di reporter, di celebrità, di macchine fotografiche e lui dice no? È forse troppo di cattivo gusto questa cena per “The Donald”? Cosa potrebbe stare facendo in questo momento invece che essere qui? Stare a casa a mangiare una bistecca alla Trump, scrivere dei twitter con qualche insulto ad Angela Merkel?».
Ma non ha risparmiato neanche i candidati democratici. Cosi ha accusato Hillary di non avere appeal tra i giovani e Sanders di snobbarlo. «In fondo, questo è qualcosa che non si fa a un compagno» riferendosi alle accuse mosse nei suoi confronti da molti repubblicani di essere un socialista. E la sua conclusione degna di un‘icona hip hop alla fine della carriera è stata: «Con ciò ho solo altre due parole da dire Obama out». E mettendosi due dita sulla bocca ha lasciato cadere a terra il microfono che reggeva con l’altra mano. Breve, di grande impatto e di vero stile. E soprattutto che enfatizza il suo legame con la cultura nera.