Cartolina dall'America
L’arma della paura
La strage di Orlando ha due mandanti: il terrorismo islamico e le lobby dei produttori di armi. Entrambi puntano tutto sulla paura diffusa tra la gente comune americana
Con un dolore che toglie il respiro e un’indignazione ormai ridotta a piaga permanente che non fa mai in tempo a rimarginarsi, sono a raccontarvi un nuovo massacro negli Stati Uniti: quello di Orlando in Florida. Il più grande nella storia del paese dove 49 vite sono state recise e dove ci sono 53 feriti ricoverati in ospedale a causa di una violenza insensata. Compiuto da un cittadino americano di origini afghane di 29 anni, di religione musulmana e affiliato recentemente all’Isis nel cui nome ha rivendicato l’attentato: Omar Mateen. Il feroce atto ha avuto luogo al Pulse, una discoteca gay della cittadina dell’intrattenimento per eccellenza quella dove c’è Disney World, meta di famiglie con bambini che possono vedere in carne ed ossa i personaggi e gli eroi della loro fantasia. Quelli che popolano le loro storie, i loro cartoon , i loro sogni. Quelli che anelano a conoscere e con cui, quando li incontrano, possono anche giocare. In questa città i sogni di tanti bambini divengono realtà. Oggi purtroppo la realtà qui però è un’altra.
È il simbolo di un’America sofferente che ormai da tempo ha perso la sua innocenza e che vede incrinata la sua capacità di sognare. Anche se dimostra di non arrendersi e di battersi con tenacia e determinazione per non cadere in trappole pericolose. Come quelle di certo populismo deteriore fatto di ricette semplicistiche, tranchant che la ricaccerebbero indietro nel tempo e nella storia. E che, ad esempio, e non si può fare a meno di ricordare che siamo in periodo di campagna elettorale, ci propina quotidianamente Donald Trump che se la prende con i rifugiati siriani che niente hanno a che vedere con un cittadino americano di origini afghane. O quelle di chi non si rende conto che la combinazione esplosiva di terrorismo islamico e di facilità di procurarsi armi, è mortale. Perché se è vero che il responsabile dell’attentato si è dichiarato parte del Jihad è anche vero che la possibilità (per Mateen che era una guardia giurata e aveva il porto d’armi e dunque, anche se era stato indagato dall’FBI per ben due volte, poteva procurarsi un’arma molto facilmente) di avere a disposizione armi automatiche che possono sputare centinaia di proiettili in pochissimo tempo ha reso il tragico evento di facile programmazione.
Perciò se il sangue che ha reciso tante vite innocenti è sulle mani dell’Isis è allo stesso tempo su quelle dell’americanissima NRA (National Rifle Association), la lobby delle armi, e su quelle del Congresso che ha lasciato scadere il divieto di imbracciare armi pesanti già dal 2004. Nonostante Obama abbia ripetuto più volte che si doveva fare una legge per regolamentare i principi di quel secondo emendamento che dà diritto al possesso e all’uso delle armi da parte di privati cittadini; e nonostante, riferendosi alle caratteristiche di questo terrorismo, il presidente abbia parlato di “homegrown terrorism” (terrorismo cresciuto in casa) anche se di ispirazione esterna, e pertanto difficile da scoprire e da prevenire. Dunque apparentemente un terrorismo tutto costruito in casa. Un “fai da te” le cui istruzioni di montaggio mettono in pericolo non solo gli Stati Uniti, ma il mondo. E che per certi versi danno luogo a fenomeni da baraccone come Donald Trump.
Il che pone un problema interno agli Stati Uniti che ormai di vivere sulle contraddizioni hanno fatto una disciplina da circo come gli acrobati del trapezio che si esibiscono senza rete di protezione. Ma mentre prima questa era un’arte, oggi non c’è più quella professionalità dell’artista da circo e neanche l’amore per un mestiere fatto di tenaci tentativi nella speranza di riuscire, di vincere la paura assumendosi conseguentemente il rischio di fallire. Paura superata con tanto allenamento che tuttavia non può rappresentare un deterrente sicuro nei confronti della caduta. Questo era il bello del sogno americano, quella speranza sottesa al rischio che se delusa non portava mai all’autodistruzione o tantomeno al risentimento. Ma tutto ciò è cambiato.
Basta guardare la punta di diamante della cultura popolare, le serie televisive, per capire che da dopo l’11 settembre c’è un’inversione di tendenza nella direzione dell’ottimismo americano. Non esiste una serie senza personaggi o eroi negativi. Come se si scoprisse tutto a un tratto la presenza di un male che giaceva addormentato entro ognuno di noi. Quello stesso male apparso improvvisamente con la profanazione del territorio nazionale e manifestatosi appieno poi nel 2008 con la grave crisi economica che tante vite ha profanato e distrutto. E che fa sì che il pugnale da arma di difesa ha invertito la direzione e, come in un atto di hara kiri, si rivolge contro il corpo dell’eroe, di quel comune cittadino che è la spina dorsale di ogni sogno americano e che l’aveva impugnato fino a quel momento per difendersi dal “cattivo”.
E la gente ha paura. Anche del vicino, del simile, dell’americano che ti vive accanto. Cosa mai successa prima. Quel sentire generale pieno di speranza, di solidarietà e di valori positivi ha subito un’inversione di 360 gradi. E questa volta il pugnale acuminato, come nelle mani di un serial killer, colpisce nel profondo. Again and again senza fermarsi. Una specie di cupio dissolvi che porta all’autodistruzione, ma che, allo stesso tempo, lascia ancora intravedere qualche possibilità di sopravvivere. Mostra infatti attraverso le storie di vita della gente comune incline alla tolleranza, alla misura, al rispetto dell’altro, tenui segnali di resistenza a quegli istinti suicidi. Come ad esempio quell’America che sabato scorso ha celebrato, con migliaia di persone scese in strada spontaneamente per tributare l’ultimo saluto a Muhammad Ali, un eroe americano che aveva rischiato tutto pur di realizzare il suo sogno, dando generosamente anche tanto di quello che aveva ricevuto e che non aveva risentimento per quella vita che lo aveva fatto ammalare.
Ma la strada per invertire questa tendenza è lunga e passa, tra le altre cose, certamente attraverso la correzione delle ingiustizie sociali ed economiche, il rispetto dell’altro, del suo sentire e una redistribuzione della ricchezza che alcuni politici, come Sanders e la stessa Clinton, stanno prendendo in considerazione come elementi centrali nelle loro piattaforme politiche.
Quello che colpisce viceversa è che l’oggetto di quello che il presidente Obama ha definito un “atto di odio” sia proprio il mondo LGBT (Lesbiche, gay bisessuali e transgender) che è stato oggetto, specie in passato, di discriminazioni e di attacchi da parte non solo del pensiero dominante occidentale e dunque anche di una parte consistente dell’America puritana e bacchettona, ma anche di larghi settori del mondo islamico dove le donne hanno uno statuto di cittadinanza di serie B e la sessualità , qualunque essa sia, come espressione di libertà, viene repressa. Un mondo quello di LGBT che fa paura perché mette in crisi certezze millenarie e sottopone al tarlo del dubbio le identità di tutti noi, permettendo che ognuno possa esprimersi secondo parametri nuovi e diversi da quelli assegnati una volta per tutte. Un mondo che destabilizza la supremazia maschile in senso classico e apre un universo multiforme che mal si concilia con i principi di società chiuse e retrograde come quella in cui vive l’Isis.