Fa male lo sport
Hi, Mr Ice Borg!
Bjorn Borg compie sessant'anni. Auguri al campione che ha rotto gli schemi, le racchette, le magliette educate, lo stile inglese e le riverenze agli arbitri. Insomma, auguri all'artefice di una rivoluzione aristocratica
Buon compleanno, Orso. Buon compleanno, Bjorn Borg. 60 anni vissuti da numero 1, nella buona e nella cattiva sorte. Racchette e palline, rovesci e diritti, donne e fan, cocaina e sesso, il buio e la luce. A guardarlo adesso, un borghese tranquillo e pieno di fascino, nei suoi blazer comodi e sicuri, la chioma lunga e ben curata, tutta bianca, ti dà la sensazione dell’antico gentiluomo che ha raggiunto la serenità. Buon compleanno a te, Mr.Borg, che hai reinventato il tennis. Tu che usavi la racchetta come fosse una mazza da hockey, il rovescio a due mani che rabbrividiva i puristi e scaldava gli aficionados. Tu, per primo,inondato didollari dagli sponsor.Tu e quei matchcon John McEnroe, pochi, accidenti, 14 in tutto, 7 vittorie a testa. Semidei di fronte. Come Alì contro Frazier, Prost contro Senna, Usa contro Urss nel basket, Brasile contro Argentina nel calcio.
McEnroe il pazzo, il linguacciuto, il ragazzino che ti vide giocare come un Re quando faceva ancora il raccattapalle. McEnroe contro Borg, Fire and Ice. Tu, il Viking, l’uomo di ghiaccio, tu che non ti scomponevi mai, ti mettevi laggiù in fondo al campo e aspettavi che l’altro crollasse infilzato dai tuoi colpi. Bjorn, l’Orso; Borg, la Cittadella: l’Orso della Cittadella.
Tu che sembravi una rockstar, tu come i Beatles quando venivano rincorsi da sciami di ragazzine vocianti. Ci fu la Beatlesmania, ci fu la Borgmania. Tu che nascesti a Stoccolma il 6 di giugno del ’56, a sud della città, vicino a dove era nata Greta Garbo. Entrambi divi. Come lei, sparisti all’improvviso. Senza salutare.
Fu al termine di quel match con McEnroe. Un’altra finale svanita a Flushing Meadows, New York. Prima c’era stato Jimmy Connors a mazzolarti. Ora il ragazzo riccioluto. Era il 13 settembre dell’81. Ti trascinasti per i campi ancora per un po’, il ritiro scritto negli annali fu certificato un anno e mezzo dopo, marzo ’83, nella suite rossa e regale di Montecarlo, di fronte un giovane Henri Leconte, un passante incrociato finito fuori.
Invece il sipario calò proprio lì, agli US Open. Stringesti la mano a SuperMac, prendesti la tua borsa e sparisti nel sottopassaggio. Un’automobile ti aspettava fuori la porta di servizio. E ti portò in albergo. Fine.
Dicesti: «La mia vita è stata tennis, tennis, e poi tennis. Non so se ero stanco di giocare o se mi avesse stancato tutto quello che ruotava attorno al tennis. Quel che è certo è che volevo una vita mia». Mats Wilander insinuò: «Quando McEnroe fece la sua comparsa, Bjorn si rese conto che c’era qualcuno in grado di batterlo e la cosa non fu facile per lui». Mariana Simionescu, la tua prima moglie, ipotizzò una overdose di tennis.
Tu eri un poster nella camera del giovane John. Contro di te, non diede mai fuori di matto. Pareva un chierichetto. Quando c’eri tu dall’altra parte della rete, McEnroe non lanciava quel grido di guerra che emetteva spesso rivolto all’uomo in alto sulla sedia, il giudice supremo che aveva osato chiamare out qualche palla: «You cannot be serious?!», non starai facendo sul serio… E un giorno John fece sul serio e ti chiese di fargli da testimone di nozze: impalmava Patty Smith mica Loredana Bertè. «La decisione di Borg di ritirarsi è stato uno dei grandi dolori della mia vita», arrivò persino a dire di te il nuovo fenomeno con sangue irlandese nelle vene.
Non sei stato sempre docile, Ice Borg. Anzi fu proprio a New York sempre nell’81 – ma a gennaio e al Madison Square Garden, Volvo Masters – che ti mettesti a fare il McEnroe. Un giudice di sedia inglese, Mike Lugg, aveva battezzato una palla fuori e tu non la prendesti bene. Eh, no. L’inglese ti disse: «Ho visto la palla fuori, il punteggio è 4-3, torni a giocare». Anche McEnroe era stupito, osservava la scena e non credeva ai suoi occhi: tu che contestavi la chiamata, non tornavi a giocare, non ascoltavi, non ti muovevi, ripetevi invariabilmente: «Chieda al giudice di linea, chieda al giudice di linea…». Eri una statua di sale in piena trance. Quello ti affibbiò due penalità ed era sul punto di squalificarti ma si trattenne, perdesti il set. Solo allora riprendesti a giocare. E nel fine settimana, battendo Ivan Lendl, afferrasti anche quel torneo.
Avevi un caratteraccio, altro che!, sentenziò Lennart Bergelin, il tuo coach che ti aveva visionato quando avevi 13 anni: «Rompeva le racchette, gettandole per terra». Lo confermasti: «È vero, tra gli undici e i dodici anni imprecavo e sbattevo in terra le racchette. Ma dopo che il mio club mi cacciò per sei mesi, imparai a stare zitto, a non aprire bocca».
Non avevi allenatori agli inizi, né padri padroni. Eri felice. «Per i primi tre anni non ho avuto chi mi allenasse. È per questo forse che avevo dei colpi poco convenzionali. Tutti mi dicevano di smetterla di giocare in quel modo ma io sentivo che era così che dovevo giocare. Quello che importa è non come colpisci la palla, ma se la palla passa o meno la rete. E quando ci riesci, è bellissimo. Se ti inventi un colpo tutto tuo, un colpo che funziona, e se ti piace giocare così, continua a tirarlo allo stesso modo, anche se non è “classico”. Non cercare di cambiarlo».
Ti sei preso sei Roland Garros, e cinque Wimbledon di seguito. Quella tua fascetta di spugna, multicolore, sulla fronte, a tenere i lunghi capelli biondi. La maglietta bianca a righe della Fila: una foto, una icona, uno spot. Facevi il capellone quando non si usava più, e ti lasciavi crescere la barba prima dei grandi tornei: così ammaliavi, stregavi, incantavi. Hai avuto tre mogli, un po’ di figli. Anche periodi terribili. La Bertè ci ha raccontato che sniffavi di brutto, che eri un uomo distrutto dal tuo mondo, che con lei non facevi più sesso, che eri bigamo. Sei arrivato borderline: una volta hai tentato di chiudere anche con la vita, un’altra volta ci ha provato lei. È successo anche che la tua azienda andasse in malora, che volevi mettere all’asta le coppe e le medaglie, troppi debiti. Che provasti a tornare in pista, affidandoti a qualche guru.
Borg, sei stato davvero un uomo di ghiaccio? Adriano Panatta, uno dei pochi che ti ha battuto a Parigi, due volte, sosteneva di no: «Un uomo di ghiaccio, Bjorn? Date retta, solo apparenza. A Roma ci siamo divertiti tanto». Certo, sei stato un uomo debole e fragile. Diverso da quello che scendeva in campo.
Gianni Clerici ha scritto che hai lavorato duramente per issarti in cima a mondo: «Senza quelle straordinarie gambe da miler e la capacità polmonare di un sub, tanta accanitissima fatica avrebbe forse nociuto ma, la volta che per gioco corse i 1000 contro Edwin Moses, Borg giunse primo». Il vecchio vate dei “Gesti Bianchi” proseguiva così: «Ad aiutarlo nella sua cocciuta insistenza anticonformista, Bjorn trovò certo coach illuminati: ma, di suo, ci mise la testardaggine dei predestinati. Acconsentì a privarsi del diritto bimane solo perché rendeva meno dello schiaffo ad una mano, ma giurò al contempo di tenersi per la vita quel suo inimitabile rovescio. Gli venne offerto, il diritto, dalla consuetudine del ping pong, lo sport di papà Rune. Il rovescio bimane, tanto diverso da quelli tradizionali, alla Evert, era un’eredità dell’hockey, l’amato sport d’avvio… Quel che sorprese anche i suoi estimatori, fu la capacità di adattarsi all’erba. Prese a vincervi quasi si fosse d’improvviso trasformato, da terricolo e regolarista, in giardiniere patentato».
Fu lì, 1980, su un Centrale con l’erba spelacchiata, te ne ricordi vero?, che tu e McEnroe avete messo in scena quel tie break infinito che è diventato un classico della storia di questo sport.
Qualcuno (Malcom Folley) ha notato che quando cominciasti, primi anni Settanta, c’erano i laburisti al numero 10 di Downing Street e, poi più tardi, quando dominavi il court, il presidente degli Usa era Jimmy Carter. Invece, quando te ne andasti, il primo ministro inglese era Margaret Thatcher e Ronald Reagan governava l’impero a stelle e strisce. E, quel che è peggio, Mark Chapman aveva già sparato a John Lennon. Avevano sparato anche ad un Papa, se è per questo. Il mondo aveva fatto testa-coda. Pure allora. E tu stavi già mettendo la Donnay nella borsa.
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Le citazioni e altri materiali utilizzati in questo articolo sono tratti da Borg vs McEnroe. La più grande rivalità del tennis moderno di Malcom Folley.Effepi Libri, 2006. 500 anni di tennis di Gianni Clerici. Mondadori , 2004.