Fa male lo sport
Fantasmi nazionali
Non solo Messico '70: le sfide tra Italia e Germania sono un romanzo dello sport che tracima nella società e nella politica. Dai tempi di Pozzo a quelli di Balotelli. Passando per Riva, Rivera, Grosso...
Non si contano i fotogrammi che hanno fatto la storia di Italia-Germania. Rivera buttato giù da Riva e dagli altri compagni festanti dopo aver sigillato sul 4-3, el partido del siglo del 17 giugno 1970 alla stadio Azteca; l’urlo di Tardelli dopo il gol del 2-0 e Pertini che si sbraccia rompendo ogni etichetta, Juan Carlos da un lato e il cancelliere Schmidt qualche fila dietro, nella finale del Mundial spagnolo del 1982; Balotelli che fa l’incredibile Hulk nella semifinale dell’Europeo del 2012 (l’ultima partita da protagonista da lui disputata).
Il calcio sarebbe più povero di emozioni se non si fosse mai giocata Italia-Germania. Partita classica che chiamano il derby d’Europa. Una porzione di mondo che si sta squagliando tra brexit e depressioni. Dentro il confronto c’è sempre stata tanta altra roba. Anche adesso. Come se sul prato verde scorressero, con il pallone, la storia, la cultura, e il modo di essere dei due paesi. Con le mutazioni a cui vanno soggetti gli uomini e i fatti. Al punto che ora i tedeschi sembrano più fantasiosi ed eclettici, gli italiani più ordinati e organizzati.
È un romanzo, questo tra le due squadre nazionali, che comincia nel 1923. In quei primi anni di confronti e, più avanti, con l’Italia di Pozzo bicampione del mondo e oro olimpico, prevale l’azzurro con lo scudetto dei Savoia. Tanto maestra la scuola italiana da andare a vincere due volte in casa loro quando gli stadi erano rivestiti di croci uncinate. Poi nel novembre del ’39 Pozzo si presenta a Berlino con una nazionale sperimentale: via i Foni, i Rava, i Meazza, i Piola e dentro altri giocatori non all’altezza. Finisce 5-2 per i bianchi di Germania, che avevano al centro dell’attacco Franz Binder (3 gol in quell’occasione) che non era tedesco ma austriaco come un altro paio di compagni. Perché l’Austria non venne cancellata soltanto dal mappamondo politico, ma anche dai campi di calcio. Era quella la grande Austria del Wunderteam, la squadra delle meraviglie, di Hugo Meisl. Binder fu costretto a giocare per Hitler, Matthias Sindelar, l’altro straordinario attaccante danubiano, non volle mai alzare il braccio di fronte ai gerarchi nazisti e si uccise, o forse, molto più probabilmente, venne ucciso.
Loro, quelli che una volta sfottevamo come panzer e si chiamavano Germania Ovest, non ci hanno mai battuto nelle grandi competizioni. E questo dato statistico pesa come una maledizione. Non vedono l’ora di scrollarsi di dosso il maleficio. L’incantesimo potrebbe rompersi già a Bordeaux per questo Europeo di Francia. Erano sicuri di farcela però anche il 4 di luglio di dieci anni fa, Westfalenstadion di Dortmund. La corsa di Grosso dopo la rete è rimasta meno impressa nell’immaginario degli italiani di quella di Tardelli al Santiago Bernabeu ma il difensore azzurro, che sblocca il risultato ad un minuto dai calci di rigore, è ancora lì, scuote la testa e corre impazzito di gioia verso la panchina azzurra. Fu un invenzione di Pirlo a far crollare i padroni di casa, la pennellata d’artista a liberare sulla destra Grosso: sciabolata e gol. Subito dopo Del Piero andò ad ingrossare il tabellino: 2-0 per andare alla finale con la Francia. E i tedeschi ci rispettano che le balle ancor gli girano, perché quello era il loro mondiale, gli stadi colmi, Deutschaland, Deutschland über alles. Così si poteva affermare la supremazia anche nel calcio come nell’economia e nella politica. Più del 4-3 messicano, è questa la ferita più profonda nei ricordi delle platee gonfie di birra.
Si sono rifatti con gli interessi. I tedeschi hanno cambiato ogni cosa dopo l’umiliante Europeo nel 2000. Hanno investito sui giovani, 96 milioni all’anno nei vivai, la nazionale che può pescare tra un movimento vasto e pieno di talenti. Sono diventati campioni del mondo. Un percorso inverso a quello dell’Italia, ferma e incapace di programmare.
Germania e Italia sono nei titoli di testa del calcio: tutte e due mettono insieme 8 titoli mondiali (4 per parte). Un confronto che gronda retorica ed enfasi, fantasia e potenza. Al punto che gli inviati dei giornali hanno scritto che nel ritiro della squadra di Joachim Löw le pareti sono tappezzate dalle immagini dell’ultimo trionfo azzurro contro l’Italia: 4-1 a Monaco, alla fine dello scorso marzo. Per esorcizzare i fantasmi e caricarsi.