La nuova raccolta poetica di Marco Molinari
Città in versi
Come un flâneur a cui si accompagnano nel cammino solo stupore e incanto, il poeta si aggira per città, piccoli paesi, vie catturando l’attimo di un evento fortuito che si imprime in lui. “Occasioni” che si fanno canto…
«Non lasciatemi da parte paesaggi / fatemi posto in una fotografia da lontano / sono stato qui con voi anche il muro / mi ha visto e la bifora e la vipera». Questi pregnanti versi di Marco Molinari, tratti dalla sua ultima raccolta intitolata Città a cui donasti il respiro (Il Ponte del Sale, 96 pagine, 14 euro), potrebbero benissimo introdurre alle tematiche che dominano la stessa, incentrate sulle «occasioni» costituite dal rapporto dell’autore con le città visitate. Ma la suggestione montaliana risulta fuorviante, in quanto Molinari ha come referenti autori che spesso compaiono citati, se non addirittura fanno capolino, tra un verso e l’altro: Paul Celan, cui è dedicata Rue des Écoles, Dylan Thomas «che si abbronza con la bottiglia di gin / al fresco», Franz Kafka ricordato in una poesia su Bologna dove compare l’affittacamere Grubach, padrona di casa di Josef K. nel romanzo Il Processo.
Nell’era in cui i viaggi intercontinentali sono diventati la norma è salutare che i poeti riscoprano una realtà a lungo vituperata come quella degli itinerari compiuti tra mura amiche (si pensi a Xavier de Maistre, il quale sosteneva che il viaggio più costruttivo è quello compiuto intorno alla propria camera) o in località a noi prossime. Con un garbo che si pone controcorrente rispetto alla poesia gridata di tanti autori contemporanei che mascherano in questo modo la loro pochezza intellettuale, Molinari (nella foto) ci invita a riscoprire città o vie che hanno catturato «un segno / dell’aria d’infanzia», periferie in cui «il cielo diviene vetro». Città a cui donasti il respiro è una raccolta che, al di là dell’aspetto programmatico presente in ogni opera che si rispetti, tende a riscoprire una dimensione cittadina che non inficia il tema della modernità, recuperando, al tempo stesso, quei fotogrammi della memoria da cui sono rigorosamente banditi monumenti o luoghi celebri per accogliere, invece, situazioni sfuggenti, quasi anonime, che per l’autore hanno avuto però particolare importanza.
Il flâneur presente in questo libro può ricordare, a tratti, certe escursioni compiute da Maurizio Cucchi o Umberto Fiori all’interno della città o lungo le coordinate di qualche topografia suburbana, anche se in Molinari, come osserva Milo De Angelis nella prefazione, tale aspetto si risolve in una dimensione più «ariosa»: «Questo è un libro arioso, un vortice di mille correnti, folletti, creature volanti, un libro solcato dalla metamorfosi dei colori e delle stagioni, dai moti del cuore che si avvicendano in un soffio incessante». Si incide così il particolarissimo punto di vista di un poeta che non disdegna un afflato spesso straniato e straniante – quasi allucinato – nei confronti di luoghi con i quali ha avuto modo di entrare in contatto, ricorrendo magari a riferimenti antiletterari e inusuali come «il figlio di Tex legato al palo».
Nelle prime due sezioni, rispettivamente intitolate Mappa provvisoria e Stazioni di sosta, il tema stesso delle città risulta quasi pretestuoso, tantoché si potrebbero a volte invertire i titoli delle singole poesie (Lucca, Ferrara, Ascoli ecc.) senza avvertirne la sostanziale differenza e senza che l’impianto originale della raccolta venga in tal modo snaturato. Come avverte infatti l’autore nella nota finale si tratta di poesie «appese, per sopravvivere, a quei riferimenti di città, piccoli paesi, vie dai nomi veri e inventati in cui ho trascorso qualche minuto».
Spesso i versi fungono da istantanee, catturando l’attimo in cui un evento fortuito si imprime, chissà perché e chissà come, nella memoria del poeta, producendo una sorta di peculiare cortocircuito. A Carrara sarà la «cara fuggevole bambina / la mia volubile sposa di un giorno» baciata «lì davanti al Duomo», a Roma e Milano l’ombra della poetessa Giovanna Sicari, prematuramente scomparsa, a Verona uno spettacolo teatrale di Marco Paolini ecc. Ma Molinari non disdegna di descrivere località molto prossime a quelle in cui vive, come Mantova, Canneto sull’Oglio, il camposanto di Sustinente («non si fa carriera non è futuro / questa ossessione malata dei morti»), persino Asola dove l’autore lavora nel settore dell’assistenza agli anziani cui, non a caso, sono dedicati questi versi: «Ho visto i vecchi milioni di vecchi / quelli che piano vanno con la giacca / quelle con lo scialle e le spalle strette / quelle con la borsa nera di vimpelle / con lo sguardo di sfida che non cede». Molinari si confronta con una realtà dai tratti multiformi, enigmatica, spesso sfuggente, come nella terza sezione della raccolta, intitolata Vie da scegliere in cui una toponomastica vera (Via Parma, Via Virgilio, Via Castello) si contrappone a una inventata (Via dell’imbrunire, Via dei giorni luminosi, Via dell’aria piena di parole).
Daniele Piccini ha osservato in maniera quanto mai pertinente, in una recensione apparsa su La Lettura, inserto culturale del Corriere della Sera, che «Molinari si muove lungo il crinale di una perlustrazione acuminata. Le sue mappe dispiegano planimetrie interiori, passano per la ricomposizione di istanti che all’improvviso svelano un senso autentico e definitivo. Non si tratta di cartoline ma di fotogrammi enigmatici».
Le ultime due sezioni accolgono componimenti di più ampio respiro, in cui la forma del poemetto, più narrativamente distesa, che ricorda certi esiti dialettali come quello di Raffaello Baldini, si sposa con la dizione dell’ultimo De Angelis che sembra recuperare una leggerezza di tono che inizialmente gli era preclusa. Molinari ha infatti interiorizzato, metabolizzato la lezione dell’autore di Somiglianze al fine di rendere il suo percorso ancora più vero e autentico. Lo stesso De Angelis asserisce: «Il poeta cammina senza pausa, si ferma, scruta, esita, si ritrova, riprende la via. I suoi unici compagni sono lo stupore e l’incanto. Basta un nonnulla per entrare in un luogo favoloso e carico di risonanze. Basta un uomo che succhia lumache, ad Ascoli, perché si avvicini a grandi passi il significato dell’esistenza, basta un cappello di paglia argentata, in una piazza di Mantova».