Periscopio (globale)
Borges e Shakespeare
A trent'anni dalla morte di Borges, rileggiamo il suo ultimo racconto, dedicato alla "memoria di Shakespeare". E a quella sua idea di letteratura come finzione per sfuggire la vita reale
A trent’anni dalla morte di Jorge Luis Borges (avvenuta il 14 giugno 1986) e nell’anno consacrato a Shakespeare, è quasi inevitabile l’invito a rileggere l’ultimo, intenso racconto di Borges, dedicato alla memoria di Shakespeare. Memoria in senso stretto, non intesa come ricordo od omaggio, ma come insieme delle esperienze di vita del Bardo.
L’origine del racconto, a quanto riferisce Ricardo Piglia, sarebbe legata a un sogno fatto da Borges durante una notte agitata in una stanza di hotel. Nel sogno, un uomo senza volto gli offriva la memoria di Shakespeare, non nel senso della fama o della gloria, ma proprio dei ricordi personali. Il dormiente Borges, cioè, da quel momento avrebbe avuto a disposizione tutti i ricordi di Shakespeare, esattamente come se fosse stato lui stesso a vivere le esperienze da cui essi avevano avuto origine.
Il racconto s’ispira al sogno e non se ne discosta troppo. Al protagonista, uno studioso tedesco di nome Soergel, nel quale non è certo difficile riconoscere lo stesso Borges, un certo Thorpe offre la memoria di Shakespeare, che detiene da quando l’ha ottenuta a sua volta in un ospedale orientale da un soldato. A lui è servita a poco, spiega Thorpe: ha scritto una biografia romanzata del Bardo ignorata dalla critica, che ha avuto tuttavia – aggiunge Borges ironicamente – un discreto successo di vendite negli Stati Uniti. Soergel, che si occupa di Shakespeare da una vita, non può certo perdere quest’occasione d’oro e accetta il dono, di cui Thorpe vuole comunque sbarazzarsi.
Thorpe lo avverte che la memoria non va sollecitata; una volta installata nella coscienza dell’ospite si attiverà da sola non appena ve ne sarà l’occasione. Ed è infatti quanto accade a Soergel, che improvvisamente fa sogni strani popolati da volti e ambienti sconosciuti, ricorda melodie mai ascoltate prima e brani di Chaucer che non gli sembra di conoscere, senza che le due memorie – quella di Shakespeare e quella di Soergel – si mescolino mai.
Come sempre in Borges, il racconto va letto naturalmente su diversi piani. Intanto, la memoria, che sulle prime il protagonista accoglie in sé con entusiasmo, non è una benedizione, ma una condanna: ognuno di noi è costretto a sopportare un carico crescente di ricordi, che possono diventare un peso insopportabile. Nel caso dell’anziano Borges, cieco come il suo protagonista Soergel e relegato nel suo studio-labirinto, non si può non chiedersi quanto la memoria, che per lui è tutto, non rischi di diventare anche troppo, qualcosa d’insostenibile da cui non si può fuggire. La paralizzante impossibilità di dimenticare.
Al medesimo argomento, nel 1942, Borges aveva dedicato nel volume Finzioni un altro famoso racconto, Funes, il cui protagonista, a seguito di un incidente di cavallo, si ritrovava costretto all’immobilità e detentore di una memoria prodigiosa che gli faceva ricordare e rivivere ogni istante della sua vita, impedendogli però al contempo di viverla. Anche la riflessione gli era preclusa: perché la riflessione è capacità di sganciarsi dai dettagli e di astrarre, cosa che Funes non poteva più fare. Nel racconto, in definitiva, Borges gioca con il tema della memoria in una rivisitazione nostalgica ma ancora una volta ironica della memoria universale e della saggezza divina. Non a caso, per l’interpretazione di Funes è stato tirato in balle anche il Nietzsche delle Considerazioni inattuali, in cui il filosofo immaginava un uomo sprovvisto della capacità di dimenticare e dunque condannato a far parte di un flusso storico interminabile che non può controllare.
Lungi dall’essere una somma, la memoria è per Borges “un desorden de posibilidades indefinidas” con “grandes zonas de sombra”. Ed è in queste grandi zone d’ombra, le parti della propria memoria che lo stesso Shakespeare non amava, che il protagonista cerca di penetrare, rendendosi però ben presto conto che ciò che gli viene rivelato non sono altro che le circostanze vissute da Shakespeare, non la sua particolarità come poeta.
Come ha ricordato fra gli altri Antonio Tabucchi, la narrativa di Borges è caratterizzata dal rifiuto dell’identità personale, da cui discendono tutti i grandi motivi dell’opera, labirinti, specchi, sogni, la circolarità del tempo, il tema del doppio, libri che sono mondi e mondi racchiusi in un libro nonché, per l’appunto, il tema della memoria. Un altro esempio è un racconto del 1975, L’altro, confluito nella raccolta Il libro di sabbia, in cui Borges, avvalendosi fra l’altro della metafora del fiume (evidente immagine eraclitea), incontra se stesso giovane che lo interroga sulla sua vita, le sue letture, tutto ciò che ne ha costituito la storia personale e ne caratterizza l’unicità. A tutte queste domande il vecchio oppone prima un senso di smarrimento, poi un salutare oblio come strategia di sopravvivenza.
La memoria di Shakespeare, di poco successivo, può essere letto come la summa della riflessione borgesiana su memoria e oblio. Come dicevamo, si tratta del suo ultimo racconto, dalla genesi piuttosto travagliata. Maria Esther Vázquez racconta, in un articolo apparso su La Nación nel 1990, che Borges le aveva parlato dell’intenzione di scriverlo già nel 1964, durante una visita nello Yorkshire e subito dopo aver partecipato a un convegno dell’UNESCO per le celebrazioni dei quattrocento anni della nascita di Shakespeare. Poi il progetto era stato accantonato, ma nell’autunno del 1977, invitato nuovamente a parlare di Shakespeare (stavolta a Washington), Borges l’aveva ripreso in mano, per poi cominciare a dettare il racconto nel 1978, lasciarlo, riprenderlo ancora, fino a terminarlo nel marzo del 1980. Il 15 maggio dello stesso anno sarebbe poi apparso come supplemento al giornale argentino Clarín.
Non è forse un caso se proprio nel 1980 Borges fece pubblica ammenda dell’appoggio dato pochi anni prima alla giunta militare argentina, firmando sempre sul Clarín una petizione a favore dei desaparecidos. L’instaurazione della dittatura seguita alla deposizione dell’ultimo, corrotto governo peronista era stata accolta da Borges, da sempre oppositore di Perón, come un’occasione di rinascita spirituale del paese. Ma anche in questo caso, il peso della memoria era stato fuorviante e l’aveva indotto all’errore, e ora quella complicità con i generali era diventata a sua volta una parte della memoria che Borges avrebbe volentieri cancellato. Non fosse che in noi domina appunto, come dicevamo, la paralizzante impossibilità di dimenticare.
Per Borges, la pratica della letteratura, che comprende lettura e scrittura, è allora l’unico possibile antidoto alla manipolazione di noi da parte della nostra memoria, che nel costruirci come individui al tempo stesso ci opprime con il suo peso e ci paralizza. La memoria posticcia che ciascuno di noi crea, albergando in sé, attraverso la lettura, esperienze altrui deve diventare molto più reale dell’esperienza vissuta, deve diventare la nostra più vera identità. Creando un universo parallelo che ha il compito di sottrarci, per quanto possibile, al reale e alle sue spesso orribili figurazioni.