Ancora su Paolo Di Paolo
Parentele stilistiche
Evoca Truman Capote l’autore di “Una storia quasi solo d'amore”, e non solo in questo suo ultimo romanzo. Per la comune, segreta geografia spirituale, che si esprime in un terreno animato di figure, voci, stanze, umori, climi…
C’è un passaggio nell’ultimo coraggioso e innovativo romanzo di Paolo Di Paolo (Una storia quasi solo d’amore, Feltrinelli, 176 pagine, 15 euro, vedi anche https://www.succedeoggi.it/wordpress2016/04/le-apparenze-quotidiane/) che mi ha richiamato alla mente l’epigrafe del mio racconto Ristorante Kafka tratta da una delle Lettere a Milena dello scrittore praghese, nato esattamente cento anni prima del nostro: «I bambini sono seri e non conoscono l’impossibile». Nel romanzo di Di Paolo, in un significativo colloquio con Nino, Teresa afferma: «No, e infatti le domande fondamentali se le fanno anche i bambini. Soprattutto i bambini. Tu quando hai smesso?». Qui come in ogni romanzo di Paolo Di Paolo le domande sono più importanti delle risposte (penso al bel volume di don Luigi Pozzoli Vincerà la Parola?, così calorosamente recensito a suo tempo su «Ragguaglio Librario» da Luigi Santucci). Fondamentale è poi il rapporto fra il teatro e la vita: «Quand’è che siamo diventati stronzi, come abbiamo fatto a non rendercene conto? Qualcosa sopravvive – il talento che diventa mestiere: più raffinato, più disinvolto. Ma lo stupore?».
Tutta l’ambientazione è, a ben vedere, di carattere teatrale. C’è Grazia, che è stata un’attrice e che ora gestisce una scuola di recitazione, c’è Nino (ventidue anni) che, di ritorno da Londra, per incarico di lei è chiamato a occuparsi di un laboratorio teatrale per anziani e a rappresentare Le false confidenze di Marivaux, e c’è Teresa (trent’anni), nipote di Grazia, venuta a lavorare a Roma da Terracina, con la sua dimensione di autenticità che spiazza il protagonista. Non a caso Grazia, il deus ex machina della storia, richiama esplicitamente con le sue stesse parole la signorina Collier al cui funerale si reca Marilyn Monroe nel racconto di Truman Capote Una bellissima bambina, citato già dallo stesso Paolo Di Paolo (nella foto) in un suo articolo. A chi legga Altre voci altre stanze non potrà sfuggire questa parentela del nostro con il giovane Capote, quel tema comune di una segreta geografia spirituale, di un terreno animato di figure, voci, stanze, umori, climi.
Ricordiamo: «Era troppo bello, troppo delicato, troppo pallido; i suoi lineamenti erano troppo perfetti e sensibili, e una dolcezza femminea addolciva i grandi occhi neri». E ancora: «Joel amava ogni genere di ricordi ed era nella sua natura conservare e catalogare anche le inezie». E infine: «Senza timore, senza esitazioni, sostò solo al limite del giardino, dove, quasi avesse dimenticato qualcosa, si fermò e guardò indietro al crepuscolo calante, sfiorito, al ragazzo che si era lasciato alle spalle».
E ricordiamo quanto scriveva Emilio Cecchi a proposito del primo Parise: «Leggendo mi veniva in mente Altre voci altre stanze di quell’altro giovanissimo allucinato: Truman Capote. Altre voci era stato tradotto nel 1949. Io non pensavo tuttavia a nessun diretto rapporto di derivazione. Pensavo piuttosto che, come dopo l’inflazione neorealistica in America, il gusto simbolista, con Capote, era rientrato dalla finestra, qualcosa di simile sembrava che stesse accadendo in Italia con Il ragazzo morto».
Già in Come un’isola. Viaggio con Lalla Romano, Di Paolo fa riferimento a questo «inventario di imperfetti» nel capitolo intitolato I ricordi, la neve e poi nell’altro, Fare in tempo. In Raccontami la notte in cui sono nato, con la suggestiva foto del bambino che si volta, è un altro riferimento esplicito a Capote, quello che introduce la parte conclusiva della vicenda. Nella nuova postfazione al romanzo si citano le parole di Julien Green in Se fossi in te («Volevo essere tutti») quasi ad anticipare il titolo del successivo romanzo di Di Paolo, Dove eravate tutti?, di cui basterà qui ricordare il passaggio centrale: «Dovresti tracciare una cronologia universal-personale. Guarda intensamente questa pagina, questo titolo. Questa piccola pubblicità. Le previsioni del tempo. A questo punto, prova a ricordare. Dov’eri tu. Dove eravamo tutti». È interessante comunque almeno sottolineare come Paolo Di Paolo abbia presente il Saul Bellow di quel delizioso racconto, L’iniziazione, che è un inno alla giovinezza e alla memoria.
Infine di Mandami tanta vita con il motivo degli elenchi se ne noti anche un altro che ancora di più, a nostro giudizio, richiama alla mente Truman Capote. Leggiamo: «Adesso che l’impiegato batte forte il timbro sull’affrancatura, vorrebbe dirgli Mi scusi, devo fermarla, avrei una frase da aggiungere, è una frase che mi è tornata in mente adesso, l’ho scritta una volta sola, è passato qualche anno, ma l’ho pensata spesso, l’ho pensata sempre, era per la mia fidanzata, che adesso è mia moglie e la madre di mio figlio, se ricordo bene diceva così: Una lettera di Didì è la vita sai? Quindi mandami tanta vita».
E si pensa al Capote di Altre voci altre stanze, al piccolo Joel che deve cercare Dio, pregare accanto al letto del nonno: «Ma non vi era preghiera nella mente di Joel; o meglio, nulla che si potesse chiudere in una rete di parole, perché, salvo un’eccezione, tutte le sue preghiere nel passato non erano state che domande concrete: Dio, dammi una bicicletta, un coltello con sette lame, una scatola di colori a olio. Come, come si può chiedere qualcosa di indefinito, di così senza senso come: Dio, fa che sia amato».